BFP - Home | Titoli :: schede di lettura: E. Wolgast, La grammatica della giustizia
E. Wolgast, La grammatica della giustizia
(The Grammar of Justice, Cornell University, 1987).
Indice
Introduzione
Un mondo di atomi sociali
Diritti sbagliati
Il sé al governo
Incaricare un altro
La pornografia e la tirannia della maggioranza
Perché la giustizia non è un ideale
Male intollerabile e necessaria punizione
Punire uno dei nostri
Giustizia e "forma di vita"
Una scheda di lettura
Nei nove saggi del volume Elisabeth Wolgast affronta il tema della giustizia e della sua 'grammatica', intendendo con essa la varietà di pratiche connesse all'uso del termine. Con Wittgenstein, la Wolgast ritiene che esistano legami cruciali tra la cultura, il ragionamento e l'apprendimento della lingua madre, a mostrare come il linguaggio non si riduca ad uno strumento scientifico di comunicazione.
L'autrice si propone di prendere in esame il funzionamento del ragionamento morale in relazione ai giudizi politici, con particolare riferimento ai principi sui quali si fonda la politica statunitense. Se il pensiero, afferma l'autrice, muove da occasioni specifiche per poi collegare i casi e le priorità in uno schema razionale soddisfacente, in mancanza di un inizio teorico assoluto non possiamo vedere le cose sub specie aeternitatis ma dobbiamo ragionare dall'hic et nunc.
Nei primi quattro capitoli la Wolgast traccia il quadro teorico dal quale a suo parere nascono i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico nordamericano: il concetto di contratto sociale, i diritti individuali, la libertà, il governo della maggioranza e la rappresentanza.
In primo luogo l'analisi si concentra sulla nascita e lo sviluppo della logica alla base del modello di atomismo sociale che pone al centro l'individuo umano e razionale, autonomo e privo di legami. Il principio individualista che dissocia gli individui dal contesto della famiglia, della religione, della classe o della razza e che quando si collega all'idea di eguaglianza fa proprio il relativo principio di intercambiabilità, è di difficile applicazione, soprattutto relativamente alle differenze di sesso. Come è possibile, si domanda l'autrice, far quadrare l'egualitarismo del modello con una società che attribuisce rispetto a diversi tipi di individui? A suo parere l'atomismo offre una griglia di riferimento che esclude parti della realtà.
L'impostazione che vede i diritti come possesso e come proprietà morale pone al centro l'individuo con i suoi bisogni e desideri; il modello mostra però contraddizioni, come nel caso del rapporto medico paziente, in cui si vede come la relazione di dipendenza non possa basarsi su un equilibrio.
Il difetto del modello è quello di tralasciare la molteplicità dei rapporti con cui le persone si assumono la responsabilità e la cura di altre; "Il nucleo familiare è un congegno agevole per salvaguardare i contorni dell'atomismo. Ma trattare una famiglia - composta da più di una persona - come un individuo singolo che agisce 'nel proprio interesse' contraddice altresì le premesse dell'atomismo: 'nucleo familiare', trasformando la famiglia in una persona fittizia, riesce a salvare le pretese dell'atomismo" (pag. 48).
L'autrice prosegue nello studio del rapporto tra atomismo e democrazia.
Se l'obbligo per il singolo nasce dal fatto che è lui stesso a darsi le leggi, il governo della maggioranza è un governo del privilegio a favore della maggioranza numerica che permette una tirannia su una minoranza. In questo scenario, l'abisso tra giustizia e interessi personali appare incolmabile. I diritti fondamentali, che mostrano la sfiducia nella maggioranza, mettono in luce il pericolo della democrazia, che consiste in una maggioranza soddisfatta di sé. La tirannia diventa morale. Mentre la società, scrive l'autrice, offre possibilità di soddisfazione alla persona moralmente autonoma, la moralità e la giustizia sono dubbie e lo stato non ha gli strumenti per assicurare che la propria politica sia giusta.
In che modo la qualità morale di un'azione individuale è collegata a quelle eseguite dai suoi agenti e in particolare dal suo governo? La Wolgast invita a riflettere su tre versioni della parabola del buon samaritano. La prima è quella originale; la seconda ne è una versione corretta: il samaritano incarica un proprio servo di occuparsi dell'uomo bisognoso. La terza infine riduce l'azione del samaritano al fatto di chiamare un'ambulanza e di far trasportare il ferito al più vicino ospedale. In che cosa differiscono le tre azioni?
Secondo l'autrice, un governo può compiere le stesse azioni di una persona, ma né un governo né un servo compiono mai, in senso stretto, ciò che sono mandati a fare: così come un servo non può esprimere i valori morali degli individui, un governo rappresentativo non richiede tali premesse.
Il quinto capitolo è uno sguardo al tema della pornografia come esempio che mostra l'inadeguatezza del modello nel momento in cui, da identiche premesse, si può giungere a opposte concezioni. Questo esempio, che vede lo scontro tra la libertà individuale di epressione e il fatto che le donne ritengano che certe rappresentazioni femminili in situazioni sessuali trasmettano un messaggio di violenza e dominazione, è teso a mostrare come non serva una visione generale della giustizia o una semplice soluzione dottrinaria, ma una via di mezzo, attentamente tracciata tra la troppa repressione e la sconsiderata libertà.
Nel sesto confuta la visione che la giustizia sia un ideale positivo. L'ideale di giustizia come equilibrio dei piatti della bilancia non può funzionare poiché il male, una volta fatto, non è cancellabile e il debito non può essere pagato. Le proteste contro l'ingiustizia implicano la richiesta di correttivo come bisogno di dissociarsi dal male da parte della comunità, ma niente è in grado di prtare l'armonia una volta spezzata. La richiesta di giustizia non è internamente collegata ad uno stato dal quale sarebbe assente l'ingiustizia; la giustizia non è una nozione originaria dalla quale discende l'ingiustizia ma è vero il contrario.
Come è possibile decidere la risposta equa e giusta al male? Provare orrore nei confronti del male è un fenomeno morale fondamentale, tuttavia la giustizia non si può prescrivere.
Il settimo e l'ottavo capitolo hanno ad oggetto la pena.
In primo luogo, perché è necessaria? Il castigo è giustificato dal fatto che l'ingiustizia è intollerabile, e l'incapacità di punire è l'incapacità di opporsi al male. La punizione, dunque, è necessaria, giustificata e obbligatoria. Ma se la riparazione è impossibile, perché pensiamo che il castigo sia una riparazione? Il nesso tra il torto inflitto e la sofferenza fa saldamente presa sul nostro pensiero. In un universo giusto come quello proposto dalla drammaturgia greca, nessuno, una volta commesso un delitto, esce indenne. L'equilibrio non riguarda cioè il pagamento, ma la sofferenza. L'esigenza di giustizia si può allora riformulare come l'imprecisata richiesta che si risponda all'ingiustizia nell'ambito di un universo morale e in maniera a noi percettibile a lungo termine. Il problema resta nel fatto che comunque la prospettiva di giustizia è indeterminata e caratterizza un universo in cui si risponde adeguatamente alle offese, e non un modello positivo.
Il concetto di giustizia ci mostra due aspetti della moralità:
il primo è un appello a una giustizia cosmica di punizione verso
il trasgressore, il secondo richiama azioni contro il trasgressore.
La prospettiva retributivista, che si fonda sul merito, e quella utilitarista,
basata sulle azioni umane, non riescono a fondersi.
In secondo luogo l'autrice offre un paragone tra il modello di punizione verso i bambini e quello verso i criminali. Il castigo lo conosciamo all'inizio dell'infanzia, e ciononostante i filosofi si occupano principalmente di pena giudiziaria, e considerano il castigo in famiglia o a scuola marginale. Il confronto permette all'autrice di interrogarsi su un aspetto centrale, ovvero come fornire un senso morale alla punizione.
Quali sono le condizioni del successo?
1. Non dev'essere solo pagamento o compensazione.
2. Non dev'essere solo ira.
Il punito (bambino) deve imparare cosa è il male, mentre allo stesso tempo la punizione implica che in un certo senso lo sappia già, poiché l'ha commesso.
Per trasmettere un messaggio morale, un castigo dipende dall'atteggiamento del destinatario.
Partendo dal presupposto che, per quanto riguarda il castigo, vi sia una forte somiglianza tra famiglia e comunità, non solo il carattere dell'offesa, ma anche quello della comunità deve servire da orientamento nel decidere le misure punitive. Il paragone tra bambini e criminali serve a modificare la nostra prospettiva e a far luce sul dibattito tra retributivisti e utilitaristi.
Nell'ultimo capitolo la Wolgast conclude occupandosi del rischio di soggettività che pone l'enfasi sul ruolo dei sentimenti nei giudizi morali. Come si arriva a esprimere e a capire giudizi morali?
Come sostiene Wittgenstein, comprendere e saper fare non sono due processi distinti; "il bambino cresce in una forma di vita" (p. 188) e ogni intenzione umana fa parte di una situazione: perciò comprendere la moralità significa accettare un ruolo e uno statuto morale. Il rifiuto del male dunque non è qualcosa di naturale ma un equilibrio di apprendimento e natura, cui contribuisce anche una certa dose di fortuna: quella di far parte di "un dato tipo di comunità con un dato tipo di istituzioni" (p. 200).
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