Lezione per il corso "Donne, politica, istituzioni" - Pisa, 2005
Copyright © 2005 Maria Chiara Pievatolo
Questo documento è soggetto a una licenza Creative Commons
14-10-2005 12:57:15
Sommario
Per contrastare l'idea che i problemi degli uomini sono i problemi di tutti, mentre i problemi delle donne sono solo problemi da donne, non è sufficiente ripetere che i problemi delle donne sono i problemi delle donne, ma bisogna mostrare che i problemi delle donne sono i problemi di tutti.
La filosofia politica si interroga sul senso della vita collettiva degli esseri umani e sulle strutture che potrebbero renderla più ricca e più giusta.
Una buona metà dell'umanità è composta da donne. Ma la filosofia politica, nella sua storia, se ne é interessata assai poco, con le uniche, rilevanti, eccezioni di Platone e di John Stuart Mill. Soltanto nel Novecento si sono sviluppate correnti di pensiero femministe - con il limite che quasi sempre si tratta di filosofie accademicamente "specializzate", separate dalla filosofia politica generale, la quale si occupa dei problemi che interessano "tutti". E abbastanza tipicamente, nella vita politica italiana, avviene analogamente che le donne vengano relegate in un gineceo, ad occuparsi di famiglia e pari opportunità, e gli uomini facciano la politica di interesse "generale".
Per evitare di cadere in questa trappola, non parlerò della filosofia politica femminista recente, se non in via incidentale. Parlerò, invece, del modo in cui uno dei padri della filosofia occidentale, Platone, vissuto ad Atene fra il V e il IV secolo avanti Cristo, ha per la prima volta affrontato il problema delle donne come problema di tutti. La maniera in cui le tesi platoniche vengono accolte, o rifiutate, produce due modi diversi di interpretare la questione femminile.
Platone non era un femminista, o, perlomeno, non apprezzava la cosiddetta femminilità: personalmente viveva in un mondo misogino – Sparta era una scandalosa eccezione – e condivideva le idee dei suoi contemporanei, per quanto ammettesse anche le donne alla sua scuola. Niente lo obbligava, perciò, ad occuparsi delle donne. Si trovò tuttavia a doverlo fare, e non per motivi sentimentali. Ma, da filosofo, non ebbe timore a seguire la necessità del discorso, anche quando lo condusse verso conclusioni molto lontane dalla sua cultura.
Il progetto della Repubblica è un progetto di giustizia, nel quale si pone il problema di quello che noi oggi chiameremmo conflitto di interessi per i governanti. Platone propone una soluzione drastica: l'economia deve essere subordinata alla politica – gli imprenditori non devono governare perché sono legati alla necessità del bisogno e di interessi particolari – e in chi governa deve essere rimossa la causa del conflitto di interessi. Le classi governanti, pertanto, non devono avere né famiglia né proprietà privata.
Nel mondo antico l'oikos, la comunità domestica, era una struttura schiavistica e patriarcale che fungeva da cellula essenziale dell'economia, cioè, alla lettera, dell'amministrazione delle casa. La politica era invece il luogo in cui si realizzava l'autonomia politica collettiva, che era la massima libertà pensabile in quel mondo, Esisteva, dunque, un contrasto fra la sfera privata e la sfera pubblica - un contrasto che Platone sentiva come politicamente pericoloso. 1 Se ho degli interessi privati - che a loro volta si sono formati in una sfera priva di libertà, perché oppressiva e disuguale - come faccio ad essere veramente libero, nella mia veste di cittadino? Come faccio a prendere decisioni che vadano nell'interesse di tutti?
Platone risolve questo problema eliminando la famiglia. Questo rende impossibile giustificare - come tradizionalmente si faceva - la discriminazione delle donne sulla base del loro ruolo domestico. Che ne dobbiamo fare? Platone non credeva nell'esistenza di una differenza sessuale assoluta, e risponde semplicemente così: alle donne deve essere data la stessa istruzione, gli stessi diritti e gli stessi ruoli che vengono dati ai maschi. E così si vedrà quello che sanno fare. Non importa come le donne sono ora: per sapere come possono essere dobbiamo dar loro le stesse possibilità reali degli uomini – lo stesso accesso alla politica e la stessa educazione – e quello che saranno dipenderà da loro (Repubblica, 455d).
Nella Repubblica questa tesi viene sostenuta con due argomenti
l'argomento della marginalità funzionale del sesso biologico: c'è motivo per assegnare funzioni differenti sulla base del sesso biologico? Se si considerano gli animali che lavorano nel contesto culturale umano, bisogna rispondere negativamente a questa domanda. Per esempio, alle femmine dei cani da guardia vengono assegnati, senza difficoltà, gli stessi compiti di caccia e di custodia attribuiti ai maschi, e non vengono lasciate in casa come adynatoi (prive di potenzialità), per la generazione e l'allevamento dei cuccioli. Nel caso dei cani da guardia, la divisione del lavoro non avviene in ragione del sesso, ma in ragione della differente forza fisica - distinzione, questa, le cui linee di confine non coincidono necessariamente con quelle del sesso. E non è possibile servirsi di più animali per un medesimo uso, se non diamo loro il medesimo allevamento e la medesima educazione. (Repubblica 451d ss) L'educazione, dunque, ha un ruolo decisivo: perfino i cani da guardia non sono creature determinate, una volta per tutte, dalla natura, ma sono tali perché l'addestramento sviluppa alcune loro potenzialità che altrimenti rimarrebbero inespresse. La stessa cultura che discrimina gli esseri umani in base al sesso biologico, tratta, contraddittoriamente, questo elemento come non essenziale quando ha a che fare con degli animali che hanno un ruolo nel suo contesto.
l'argomento della rilevanza della differenza: Platone sa benissimo che la sua tesi è audace, perché si presta alla seguente obiezione: la natura delle donne differisce da quella degli uomini, e dunque occorre destinarle a lavori diversi da quelli maschili. Che ragione c'è di derogare a questo principio di divisione attitudinale del lavoro? (Repubblica 452b ss) Platone risponde con un esempio: è vero che i calvi sono diversissimi da quelli che hanno i capelli, ma, una volta riconosciuto questo, se capita che i calvi facciano i calzolai, non c'è comunque ragione di impedire l'esercizio di questo mestiere a quelli che hanno i capelli. Infatti, l'avere o non avere i capelli è del tutto irrilevante rispetto all'esercizio del mestiere del calzolaio.
Analogamente, possiamo riconoscere che maschio e femmina sono diversi, per quanto riguarda la sfera riproduttiva. Ma questa differenza non è rilevante per quanto concerne le capacità in altri campi, a meno di voler sostenere che attività poco importanti come la tessitura e la cucina siano tipicamente femminili. Al massimo, se c'è differenza fra uomini e donne, questa differenza può essere nel grado e non nella specie, e fra individui e non fra generi.
Possiamo dunque concludere che le donne possono fare le stesse cose che fanno i maschi. Quello che sono le donne e quello che sono gli uomini non è legato a differenze assolute, ma viene in luce sempre storicamente e relativamente, in connessione a criteri che spetta a noi, di volta in volta, chiarire.
Gli argomenti di Platone sulle donne sono rimasti sotto gli occhi della tradizione filosofica occidentale per due millenni e mezzo, senza che nessuno li prendesse sul serio - con la rilevante eccezione del filosofo arabo ibn Rushd (Averroè). Soltanto a partire dall'ultimo terzo del Novecento, l'affermarsi di movimenti di pensiero femminista li impose all'attenzione degli studiosi.
In estrema sintesi, Platone ha sostenuto quanto segue:
le differenze fra i sessi sono storicamente legate all'organizzazione della società, e in particolare alla distinzione fra sfera domestica e sfera politica
se mettiamo in discussione l'organizzazione vigente della società non ci rimane nessun elemento che possa provare l'esistenza di differenze di specie indipendenti dalla storia
una società giusta trae vantaggio dall'operare perché tutti possano sviluppare le proprie potenzialità e ciascuno possa dare il meglio di sé
in generale, la discriminazione, che impedisce ai discriminati di dare il meglio di sé, non si elimina con le parole, bensì con la modificazione delle strutture sociali che la provocano
Il modo in cui le femministe accolgono le tesi platoniche è una specie di cartina al tornasole per capire se appartengono al femminismo dell'uguaglianza o a quello della differenza.
Il femminismo dell'uguaglianza apprezza gli argomenti platonici. Il femminismo della differenza, di contro, sostiene che Platone assimila le donne agli uomini, perché ha in mente un unico modello di eccellenza, quello maschile, e non è in grado di apprezzare la diversità femminile. Considererò una critica esemplare, fra le molte: quella di Giulia Sissa.
Secondo Giulia Sissa, 2 l'argomento contenuto in Resp. 452b ss. a favore dell'irrilevanza della differenza sessuale per l'assegnazione delle occupazioni è discriminatorio e sessista. Il Socrate della Repubblica afferma, contro un ipotetico interlocutore che fa proprio il buon senso tradizionale, che il genere è un criterio di distinzione rilevante esclusivamente per la procreazione, mentre per la divisione sociale e tecnica del lavoro contano solo le attitudini individuali. Ma “all'interno di questa identità sopravvive impunemente la peggiore delle differenze, l'ineguaglianza qualitativa, l'inadeguatezza, l'inferiorità”. Infatti le donne, nella città ideale, fanno le stesse che fanno gli uomini, ma meno bene; e Socrate, “con una grossolana decisione di non pertinenza del discorso”, liquida “la specificità e la realtà del lavoro femminile”, che ha a che vedere con la cucina e con la tessitura, e che egli si guarda bene dal valorizzare. In questo modo, la dissomiglianza sessuale viene concepita “come una variante individuale: ogni individuo sarà più o meno abile, in una data attività, secondo che sia maschio o femmina”.
Questa tesi è discutibile per due ragioni.
In primo luogo, se la differenza sessuale fosse un criterio che permette di predire con assoluta certezza l'inferiorità di un sesso rispetto all'altro, non sarebbe una variante individuale. Socrate e Glaucone, in 455a ss. affermano invece che il sesso non può essere un criterio per prevedere il grado di eccellenza individuale in una medesima attività, sebbene ritengano che le donne siano in generale inferiori agli uomini. Questa affermazione è coerente con l'idea che la physis o natura di una persona non va intesa come un intero dato, ma come qualcosa che si rivela, nelle singole attività, solo se messa alla prova. [455b-c]
In secondo luogo,nell'economia del ragionamento del V libro della Repubblica, una valorizzazione delle tradizionali attività femminili sarebbe stata non solo controproducente, ma autolesionista. Platone vuole dimostrare a un interlocutore, ipotetico nel dialogo, ma realissimo ai suoi tempi e forse anche ai nostri, che non esistono attività specificamente femminili o maschili: perciò le donne possono accedere indiscriminatamente all'istruzione, alla politica e a tutte le altre attività storicamente riservate ai maschi. A ben vedere, il filosofo fa al senso comune del suo interlocutore soltanto una concessione minima, destinate a venir superata dialetticamente: l'inferiorità femminile è tutt'al più una differenza, molto generica, nel grado e non nella specie. Anche se siamo convinti che in generale, gli uomini riescano meglio delle donne, questo non ci autorizza né a precludere alle donne le cosiddette attività maschili, né ad affermare a priori che una singola donna, in quanto donna, sia inferiore a un qualsiasi uomo semplicemente in quanto uomo. L'eventuale inferiorità, essendo una variabile individuale, non è legata né al sesso né al tipo di attività, e può essere accertata solo a posteriori, caso per caso. Ma questo richiede che tutti gli uomini e tutte le donne abbiano la stessa possibilità di venir messi alla prova: il sesso non può essere addotto coerentemente a motivo di discriminazione neppure da un misogino convinto che le capacità delle donne, in generale, siano inferiori a quelle degli uomini.
Che cosa sarebbe successo se Socrate avesse valorizzato la cucina e la tessitura, in quanto attività femminili? Il suo ipotetico interlocutore avrebbe avuto il destro di concludere che, poiché esistono attività specificamente connesse alla physis o natura femminile, allora le donne devono essere assegnate a queste, in base al principio della giustizia come attribuzione a ciascuno del compito che più gli si addice. E così, nella città, non ci sarebbero state guerriere, filosofe e regine, ma solo tessitrici e cuoche, come avveniva nel mondo di Platone, che è, per molti versi, ancora il nostro.
Per imporre le donne all'attenzione della politica il medo più semplice è produrre una descrizione della donna e delle sue eventuali peculiarità morali, riservarle dei diritti particolari e delle cariche speciali che la integrino, o, meglio, la coordinino, al mondo politico maschile - perché le donne sono diverse e la loro diversità va "valorizzata". Ma questa operazione ha delle ambiguità sia filosofiche, sia politiche. 3 In questo caso, infatti, il dato dell'esperienza viene assunto nel cielo della teoria come se fosse naturale, senza che ci si interroghi sulla sua origine storica e sociale. Per usare l'esempio di Platone: perché celebrare la tessitura e la cucina come attività tipicamente femminili, senza chiedersi come mai le donne tendono ad essere – o sono soltanto - tessitrici e cuoche? 4
In generale, la differenza sessuale può essere intesa nei seguenti modi:
la differenza sessuale è un dato biologicamente e metafisicamente originario e immodificabile
la differenza sessuale è frutto di un'elaborazione culturale e sociale; è dunque storica e soggetta alla critica e al cambiamento;
la differenza sessuale è la modalità originaria dell’identità umana, e va distinta dalla differenza di genere, che è solo la sua modalità storica, variabile e criticabile.
Chi vuole trattare la differenza sessuale come una dato originario ha due oneri. Sul piano teorico, deve dimostrare come è possibile distinguere, in uomini e donne che vivono e si interpretano in termini storici e culturali, ciò che è storicamente contingente da ciò che è invece originario. Sul piano pratico, deve confrontarsi con un gran numero di teorie e di pratiche sessiste che si giustificano se stesse appellandosi, appunto, ad una differenza sessuale concepita come originaria e immodificabile.
Chi vede la differenza sessuale come un'elaborazione storica e culturale, piuttosto che come un fondamento biologico o metafisico, può adottare il genere come un utile tipo ideale per la ricerca storica, ma non può trattare la differenza di genere come assoluta, perché rischierebbe di assumere come necessari caratteri storicamente contingenti.
Infine, chi tratta la differenza sessuale come una modalità originaria dell’identità umana, ma la distingue dalla differenza di genere, che è storica e contingente, si trova di fronte a un dilemma teorico - il quale espone questa tesi ad un'estrema indeterminatezza pratica. Delle due l’una: o la differenza sessuale ha dei caratteri propri, distinti dalla sua storicizzazione, e allora si ricade nella biologia e nella metafisica; oppure si ammette che essa esiste solo in quanto si storicizza, e allora non si dà una vera e propria differenza sessuale prima della sua elaborazione culturale.
La politica deve confrontarsi con i fatti. E' dunque sufficiente che la differenza sessuale sia un fatto, di qualsiasi natura, perché essa diventi politicamente interessante. Ma il valore da dare a questo fatto dipende anche dal modo in cui intendiamo la politica.
Chi fa politica per migliorare il mondo, deve fare i conti con i fatti, per avere speranza di successo. Ma non può e non deve trattare i fatti come valori: una situazione non è giusta semplicemente perché c'è. Una situazione è giusta solo se noi la sceglieremmo, qualora non ci fosse, essendo, inoltre, in grado di spiegare a tutti i nostri interlocutori possibili perché essa meriterebbe di venire messa in atto. Anche la diversità delle donne non è giusta semplicemente perché c'è. Come tutti i fatti, deve essere sottoposta a una critica politica.
Secondo Susan Moller Okin, una delle ultime femministe dell'uguaglianza del secolo scorso, la domanda politicamente più appropriata non è "in che cosa le donne sono diverse?", bensì "perché le donne sono state diversamente trattate?". Se vediamo il mondo della politica come frutto delle scelte che facciamo, per sottoporre un istituto a critica politica bisogna, appunto, trattarlo come un oggetto di scelta e chiedere perché mai l'abbiamo preferito, e, soprattutto, perché dovremmo continuare a preferirlo.
Secondo la Okin, c'è un luogo in cui esiste una differenza socio-economica che non è stata ancora sottoposta a una critica politica: nella famiglia appare naturale che le donne svolgano un lavoro non retribuito, ma fondamentale, che è il lavoro di madre, cameriera, educatrice, cuoca, contabile, baby-sitter, sarta. Gli orari di lavoro – e soprattutto le carriere - sono strutturati in modo tale da essere pensati per qualcuno “con la moglie a casa” che lavora gratis. 5 Il risultato è una sfera domestica ove vi sono persone che sono pressappoco schiave per natura, e nella quale si forma la percezione della disuguaglianza femminile, e una sfera extradomestica ove la la logica della gratuità è completamente esclusa. Capita anzi che alcuni tentativi di condivisione gratuita – di testi e musica in rete, per esempio - al di fuori delle porte di casa siano criminalizzati, quando contrastano con gli interessi di quella che paradossalmente continua a chiamarsi economia. Eppure, la gratuità del lavoro delle donne è fondamentale per l'organizzazione del lavoro e dell'economia così com'è. Se si spezzassero le mura del mondo domestico, si organizzasse il mondo del lavoro in modo da lasciare spazio per il gratuito, e, viceversa, se si riconoscesse il valore economico del lavoro di chi sta in casa, verrebbe rimossa una condizione effettiva di disuguaglianza. Ma per fare questo non è sufficiente aprire asili nido e dare pensioni alle casalinghe: occorre fare una rivoluzione nel modo in cui organizziamo la nostra vita in casa e fuori.
Platone aveva scoperto la questione femminile perché aveva messo in discussione la famiglia, e aveva deciso che, una volta eliminata quell'istituzione, non c'era motivo di negare alle donne la possibilità di realizzare tutte le loro potenzialità; Susan Moller Okin, partendo dalla questione femminile, scopre l'organizzazione dell'economia - sia nel senso antico di amministrazione della casa, sia in quello moderno di amministrazione della città - come ostacolo che impedisce alle persone di realizzare tutte le loro potenzialità, e dipende, a sua volta, da disuguaglianze difficilmente giustificabili.
Una società così organizzata, incapace di riconoscere il valore della cooperazione gratuita, e nello stesso tempo dipendente da forme di lavoro non retribuito, nel chiuso delle mura domestiche e anche altrove, è un problema soltanto per le donne, o è invece un problema per tutti?
Per la tradizione del femminismo dell'uguaglianza, una società fondata sulla discriminazione delle donne è una società ingiusta per tutti. Pertanto, una politica delle donne consapevole deve anche legittimarsi, nello stesso tempo, come politica per tutti. Ma questa prospettiva, in Italia, è propria di una corrente di pensiero assai minoritaria - che qui ho voluto presentare semplicemente come un'altra possibilità rispetto al pensiero della differenza attualmente egemonico.
III. Per uomini nati ed educati come abbiamo detto non c'è, a mio avviso, altro modo di possedere e godere rettamente figli e donne se non procedendo nel senso da noi indicato fin dal principio: nel nostro discorso abbiamo cominciato a farne come tanti guardiani, di un gregge. - Sì. - Ebbene, siamo coerenti e attribuiamo alle [d] donne analoga nascita e analogo allevamento, ed esaminiamo se la cosa ci conviene o no. - Come?, chiese. - Così. Non crediamo che le femmine dei cani da guardia debbano cooperare a custodite ciò che custodiscono i maschi, cacciare insieme con loro e fare ogni altra cosa in comune? O crediamo che le femmine debbano starsene dentro a casa. perché impedite dalla figliazione e dall'allevamento dei cuccioli, e i maschi faticare per tutte le cure degli armenti? [e] - Ogni attività dev'essere comune, rispose; con l'eccezione che li impieghiamo tenendo presente che le une sono più deboli, gli altri più vigorosi. - E' dunque possibile, ripresi, impiegare un dato animale per identici scopi, se non lo sottoponi all'identico allevamento e all'identica educazione? - Non è possibile. - Se dunque impiegheremo le donne per gli identici scopi per i quali impieghiamo gli uomini, identica dev'essere l'istruzione che [452a] diamo loro. - Sì. Ora, agli uomini si sono date musica e ginnastica. Sì. - E allora anche alle donne si devono assegnare queste due arti e i compiti bellici, e le dobbiamo impiegare con gli stessi criteri. - E' una conclusione ovvia, da quel che dici ammise. - Però, ripresi, molti punti di questo nostro discorso, se verranno messi in pratica nel modo che diciamo, forse potranno apparire contro la tradizione e ridicoli. - Certo, disse. - Di questo discorso, feci io, che cos'è che tu vedi come molto ridicolo? Non è, evidentemente, scorgere le donne far ginnastica ignude nelle palestre insieme con gli uomini, [b] non soltanto le giovani, ma perfino le anziane? Sono come quei vecchi che trovi nei ginnasi, quando, tutti grinzosi e poco piacevoli alla vista, tuttavia amano fare ginnastica. - Sì, per Zeus!, rispose; sarebbe uno spettacolo ridicolo, almeno per i nostri tempi. - Ora, dissi, poiché s'è cominciato a parlare, non si devono temere i motteggi degli spiritosi: lasciamo pure che ne dicano quanti e quali vogliono per una simile trasformazione verificatasi nei gin-[c] nasi, nella musica e specialmente nel maneggio delle armi e nell'equitazione. - Hai ragione, disse. - Ma, ora che abbiamo avviato il discorso, dobbiamo procedere verso il punto più scabroso della legge; e preghiamo questi motteggiatori di rinunciare al loro mestiere e dì comportarsi seriamente, ricordando che non è passato molto tempo da quando agli Elleni sembravano brutte e ridicole certe cose che ora sembrano tali, alla maggior parte dei barbari, cioè che si vedessero uomini nudi; e che quando i Cretesi per primi e poi i Lacedemoni iniziarono gli esercizi ginni-[d] ci, gli spiritosi di allora potevano beffarsi di tutto questo. Non credi? - Io sì. - Ma quando, come penso, durante gli esercizi sembrò più opportuno svestirsi che coprire il corpo, anche quello che, agli occhi era ridicolo sparì di fronte all'ottima soluzione che la ragione indicava. Anzi questo fatto dimostrò che è un superficiale chi ritiene ridicola tutt'altra cosa che il male; e che chi si mette a suscitare il riso guardando, come a visione di cosa ridicola, a una visione che non sia quella della stoltezza e del male, per-[e] segue inoltre seriamente anche una visione del bello con uno scopo diverso da quello del bene. - Perfettamente, rispose.
IV. - Ora, prima di tutto, non dobbiamo metterci d'accordo se siano o no possibili quelle nostre teorie? e non dobbiamo permettere, a chi lo voglia sia per scherzo sia [453a] seriamente, di disputare se la natura umana nella donna sia capace di condividere tutte le opere del sesso maschile ovvero nessuna? o possa farlo per alcune sì e per altre no, e in quale di queste categorie rientri l'attività bellica? Con tale splendido inizio, non si dovrebbe avere, com'è naturale, anche una splendida conclusione? - Certamente, disse. - Vuoi dunque, feci io, che ci sostituiamo agli altri e disputiamo con noi stessi per evitare che gli argomenti della tesi opposta vengano assediati senza poter con-[b] tare su difensori? - Nulla lo impedisce, rispose. - Ebbene, sostituiamoci a loro e diciamo: "O Socrate e Glaucone, non v'è bisogno alcuno che altri disputino con voi: quando avete cominciato a fondare lo stato, riconoscevate voi stessi che ciascuno deve adempire soltanto il suo compito secondo natura". - L'abbiamo riconosciuto, credo; come no? - "E' possibile che non ci sia un'enorme naturale differenza tra uomo e donna?". - E come non ci può essere? - "Ora, non conviene prescrivere a ciascuno dei due anche un'opera diversa, quella [c] che corrisponde alla sua propria natura?". - Sì, certamente - " Com'è dunque possibile che ora non vi sbagliate e non vi contraddiciate da voi stessi asserendo che gli uomini e le donne debbono adempire gli identici cómpiti, quando le loro nature sono profondamente diverse?". Contro queste obiezioni, mio ammirevole amico, potrai rispondere qualcosa in tua difesa? - Così sul momento, disse, non è molto facile; ma ti pregherò, anzi ti prego di farti interprete anche del nostro punto di vista, quale che sia. - Queste cose, Glaucone, ripresi, e molte altre con-[d] simili io le prevedevo da tempo e mi rendevano timoroso ed esitante ad affrontare la legge relativa al possesso e all'allevamento delle donne e dei figli. - No, per Zeus!, rispose, non sembra certo una cosa facile! - No davvero, dissi. Ma le cose stanno proprio così: si cada in una piccola piscina o nel mare più profondo, nondimeno si nuota lo stesso. - Senza dubbio. - Perciò anche noi dobbiamo nuotare e tentare di salvarci da questa discussione, sperando che ci prenda in groppa qualche delfino o si presenti qualche altra pur improbabile via di salvezza. [e] - Sembra di si, rispose. - Sù, ripresi, vediamo se in qualche modo riusciamo a trovare la via d'uscita. Noi siamo d'accordo che natura diversa deve avere occupazione diversa e che differenti sono le nature della donna e dell'uomo. Ora invece diciamo che nature diverse debbono avere identiche occupazioni. Non sono queste le accuse che ci fanno? - Precisamente. - Una forza veramente [454a] egregia, Glaucone, dissi io, possiede l'arte del contraddittorio! - Perché? - Perché, risposi, mi sembra che molti vi cadano anche senza volere e credano non di fare dell'eristica, ma di discutere; e questo perché non sono capaci di distinguere nei suoi aspetti l'argomento trattato e d'indagarlo a fondo, ma cercano di contraddire la tesi avversa riducendo la questione a pura terminologia e ricorrendo, nei loro contrasti reciproci, all'eristica, non alla discussione. - Questo, disse, càpita a molti : ma ora come ora la cosa riguarda anche noi? - Senz'altro, risposi; può darsi che senza volere ci troviamo in una con-[b] traddizione. - Come? - Con grande coraggio e ardore eristico noi cerchiamo di sostenere, giocando sui termini, che nature non identiche non devono avere identiche occupazioni; e non abbiamo invece assolutamente esaminato quale specie di natura diversa e identica intendessimo definire, e in rapporto a che cosa, quando a natura diversa attribuivamo occupazioni diverse, a identica identiche.- No, ammise, non l'abbiamo esaminato. - Per-[c] ciò, continuai, possiamo chiedere a noi stessi, come sembra, se le persone calve e chiomate hanno l'identica natura e non nature opposte; e quando riconosciamo che sono nature opposte, nel caso che dei calvi facciano i calzolai, possiamo vietarlo a individui chiomati; nel caso che lo facciano persone chiomate, vietarlo ai calvi. - Sarebbe proprio ridicolo, disse. - Ma la ragione di questo ridicolo, ripresi, non è che allora non abbiamo stabilito in una maniera assoluta l'identità e la differenza delle nature, ma abbiamo considerato solamente quella specie di diversifi-[d] cazione e di similitudine che concerne le identiche occupazioni? Per esempio, noi dicevamo che un medico e chi ha l'anima medica presentano l'identica natura; non credi? - Io sì. - Ma che un medico e un falegname l'hanno diversa? - Indubbiamente.
V. - Quindi, dissi, anche per il sesso maschile e femminile, se risultano differenti per una data arte o altra occupazione, diremo che questa arte od occupazione va assegnata o all'uno o all'altro sesso. Ma se risulta che la loro differenza è data soltanto dal fatto che la femmina partorisce e il maschio copre, diremo che non c'è alcuna [e] ragione di concludere che, relativamente al nostro argomento, la donna differisca dall'uomo; ma continueremo a credere che i nostri guardiani e le loro donne debbono attendere alle stesse occupazioni. - E avremo ragione, rispose. - Ora, proseguendo, non dobbiamo invitare il [455a] nostro contraddittore a insegnarci quale sia l'arte o quale l'occupazione, tra quelle che riguardano l'organizzazione di uno stato, che riveli non identità, ma diversità di natura tra la donna e l'uomo? - Giusto. - Forse, come dicevi poco fa, anche un altro potrebbe dire che sul momento non è facile dare una risposta soddisfacente, ma che riflettendoci bene la difficoltà scompare. - Sì, potrebbe dirlo. - Vuoi che preghiamo l'autore di queste [b] obiezioni di seguirci per vedere se riusciamo a dimostrargli che non c'è occupazione esclusiva della donna nell'amministrazione dello stato? - Senza dubbio. - " Sù, rispondi", gli diremo: "non era in questo senso che intendevi dire che una persona è naturalmente bene dotata per una cosa e un'altra male dotata, perché la prima apprende facilmente, la seconda difficoltosamente? e l'una dopo poche azioni è capace di scoperte che vanno assai al dì là di ciò che ha appreso, l'altra invece, pur avendo avuto modo di apprendere e di studiare molto, non conserva nemmeno le nozioni apprese? e nell'una le funzioni del corpo sono ben [c] subordinate al pensiero, nell'altra gli si oppongono? Esistono forse altri criteri che questi, che ti permettano di distinguere chi è naturalmente bene dotato nei singoli campi e chi, non lo è?". - Nessuno, rispose, potrà citarne altri. - Ora, conosci qualche campo dell'attività umana in cui il sesso maschile non superi sotto tutti questi punti di vista quello femminile? Dobbiamo dilungarci a parlare della tessitura, della confezione delle focacce e degli alimenti cotti dove sembra distinguersi il sesso femminile [d] e dove anzi è oltre modo ridicolo che venga sconfitto? - E' vero, rispose; in ogni campo, per così dire, uno dei due sessi è assai inferiore all'altro. Certo che in parecchi molte donne sono migliori di molti uomini, ma in generale è come dici. - Allora, mio caro, nell'amministrazione statale non c'è occupazione che sia propria di una donna in quanto donna né di un uomo in quanto uomo; ma le attitudini naturali sono similmente disseminate nei due sessi, e natura vuole che tutte le occupazioni siano accessibili [e] alla donna e tutte all'uomo, ma che in tutte la donna sia più debole dell'uomo. - Senza dubbio. - Ebbene, dovremo prescriverle tutte agli uomini e nessuna alla donna? - Come ? - Anzi, a mio parere, come diremo, ci può essere pure una donna naturalmente portata alla medicina e un'altra che non lo è, e una naturalmente portata alla musica e un'altra che ne è aliena. - Certo: - E ce ne può essere una appassionata di ginnastica e di [456a] guerra, e un'altra che ne rifugge? - Credo di sì. - E amante e nemica della sapienza? - e animosa, mentre c'è quella senz'animo? - Anche questo. - Allora c'è pure la donna atta alla guardia e quella che non lo è. Non era questa la natura da noi scelta per gli uomini destinati alla guardia? - Proprio questa. - E dunque donna e uomo presentano la stessa naturale attitudine alla guardia dello stato, con la sola eccezione che si tratta di natura più debole o più vigorosa. - E' evidente. 6
Feminist Interpretations of Plato. The Pennsylvania State University Press. University Park. 1994.
[1] Nel IX libro della Repubblica Platone scrive che un padrone di schiavi esercita un potere simile a quello di un tiranno, su un gruppo di persone che, per forza e per numero, potrebbe sopraffarlo. Ciò nonostante, il padrone non teme i suoi schiavi, perché sa che l'intera polis riconosce il sistema della schiavitù; ma ne avrebbe paura se fosse solo con loro in un'isola deserta, o se i suoi vicini non tollerassero che nessuno comandasse sugli altri. (578d ss) Per Platone, la tirannide era la forma di potere più odiosa: questa tesi suggerisce dunque che anche la disuguaglianza fra liberi e schiavi è storicamente contingente.
[2] G. Sissa, “Platone, Aristotele e la differenza dei sessi”, in G. Duby, M. Perrot, Storia delle donne, L'antichità, a cura di P. Schmitt Pantel, Roma-Bari, Laterza, 1997. pp. 72-73.
[3] Si veda l'Afterword a S.M. Okin, Women in Western Political Thought Princeton, Princeton U.P., 1979-1992, pp. 309-340.
[4] “Quando punta tutto sul sesso trascurandone le variabili economiche, sociali, culturali (che differenziano le donne al loro interno, e talvolta in modo radicale) il c.d. pensiero della differenza mostra di non avere (e di non preoccuparsene) una prospettiva generale di trasformazione della società: sicché le donne, magari rese 'visibili' nelle assemblee rappresentative e nelle posizioni dirigenti grazie al sistema delle quote riservate, continuerebbero a scontare i condizionamenti di partenza (a cominciare da quello dei carichi familiari) restando avvantaggiate dai nuovi strumenti di 'visibilità' solo quelle donne che, né più né meno come adesso, per scelta o per dono della sorte o per tutt'e due si rendono libere da tali condizionamenti. Sono i limiti inevitabili di ogni teoria che interviene sugli effetti dei fenomeni anziché nelle sue cause.” (A.M. Galoppini, Il lungo viaggio verso la parità, Pisa, Tacchi, 1992, p. 342)
[5] S.M. Okin, Justice, Gender and the Family, New York, Basic Books, 1989 (trad. it. Le donne e la giustizia. La famiglia come problema politico, Bari, Dedalo, 1999)