Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista "Linux Magazine"
13-11-2004 23:07:43
Sommario
Una tesi importante dell'ultimo libro di Lessig, Free Culture, che Bernardo Parrella sta traducendo in italiano, riguarda la certezza del diritto. Quando i giuristi parlano di certezza del diritto, alludono a due qualità che rendono diversa la legge dall'arbitrio di un padrone: la certezza della norma, e la certezza dell'applicazione. Una norma è certa quando dice chiaramente che cosa è legittimo e illegittimo fare; l'applicazione di una norma è certa, quando posso prevedere con una certa sicurezza che cosa mi succederà se la seguo o se la trasgredisco. Se in un paese ci sono leggi chiare, applicate in maniera prevedibile e uniforme, un cittadino sa che cosa aspettarsi dal potere politico e giudiziario; se invece le leggi saranno oscure e applicate a caso, il cittadino si sentirà in mano a poteri arbitrari e imprevedibili.
La rivoluzione digitale e telematica ha trasformato il copyright da questione tecnica, interna al mondo della stampa, a problema quotidiano. Se per vedere un documento o un programma sul mio computer non posso evitare di copiarlo, la chiarezza con cui viene definito il diritto di copiare misurerà un aspetto rilevante della certezza della legge. Per delimitare i confini dei terreni di proprietà privata ci sono paletti e recinti. Il mondo delle idee è invece popolato da oggetti immateriali, che “esistono” solo se sono condivisi: per questo i confini delle proprietà intellettuali sono per loro natura poco chiari.
E se questi confini incerti sono protetti da sanzioni penali severe, imposte nell'interesse dei detentori del copyright, nessuno potrà essere sicuro di rispettare la legge, quando compie gesti ormai indispensabili per la discussione e la trasmissione del sapere, come leggere un testo o guardare il sorgente di un programma. Chi vuole discutere e imparare rischia continuamente di commettere reati. Questo, scrive Lessig, è quanto sta effettivamente accadendo: moltissimi, per esempio, continuano a usare i sistemi di file sharing per condividere materiale protetto da copyright, a dispetto delle punizioni previste. La legge appare arbitraria, perché punisce comportamenti che, prima di internet, erano del tutto normali. E quando un comportamento illegale è tenuto da milioni di persone, anche l'applicazione della legge diventa arbitraria: la RIAA, la lobby dei discografici americani, non potendo colpire tutti gli utenti del p2p, ne persegue soltanto una piccolissima minoranza. I membri di questa minoranza diventano capri espiatori – come Jesse Jordan, come Brianna LaHara - (p. 200), presi a caso, che hanno la sfortuna di pagare per colpe che i più continuano a commettere.
Secondo Lessig, la forza della legge, in una democrazia, dipende in primo luogo dal fatto che i cittadini in generale la rispettano perché la riconoscono come propria (p. 202). Una democrazia in cui una larga parte dei cittadini non prende la legge sul serio e non la sente sua può ancora essere chiamata governo del popolo? Se, inoltre, la legge è tale che nessuno può esser certo di rispettarla pienamente, la maggioranza dei cittadini si troverà nella posizione di quelli che in Italia vengono chiamati pregiudicati: dei criminali potenziali, esposti a una sorveglianza speciale da parte della polizia. Di nuovo, si chiede Lessig, il regime che ne risulta può essere ancora chiamato democrazia? (pp. 206-207)
Allo scopo di ricostruire uno spazio pubblico dai confini chiari, Lessig ha reagito alle sconfitte legislative e giudiziarie di cui narra nel suo libro, inventando, sul modello della GPL, le licenze Creative Commons. La loro formulazione permette agli autori di definire con esattezza quanto vogliono lasciare libero e quanto desiderano tenere riservato. Se è vero che le parole degli uomini, come quelle delle macchine, sono la materia prima della libertà, la sua invenzione avrà influenza su quanto sapremo fare del nostro futuro.
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