Le macchine, la politica e la libertà

Maria Chiara Pievatolo

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista "Linux Magazine"

13-11-2004 21:32:34


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Nel 1784, alla vigilia della rivoluzione francese, il filosofo prussiano Immanuel Kant pubblicò un articolo – Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo? - che si concludeva, in maniera piuttosto scontata, con un elogio a Federico II, il despota illuminato che regnava sulla sua patria. Ma chi lo avesse letto attentamente si sarebbe accorto che Kant diceva qualcosa di rivoluzionario.

Ogni uomo, scriveva Kant, ha la vocazione a pensare da sé; e rispondere a questa vocazione è tanto più importante, se non loi fa da solo, nella sua stanza, ma in pubblico, assieme con gli altri. Chi è isolato, per pensare da sé, deve anche pensare da solo: e questo si fa con fatica, tanto che molti preferiscono affidarsi, come bambini, alla direzione di altri. Ma se qualcuno che ha fatto lo sforzo di ragionare da sé condivide i suoi risultati, sarà più facile che anche altri si convincano ad assaggiare il sapore della libertà. Un funzionario, un militare, un catechista sono ingranaggi nella macchina delle istituzioni: il loro uso della ragione è privato, cioè limitato. Ma quando parlano come scienziati, al di fuori delle loro funzioni, dovrebbero essere lasciati liberi: non trattare, in questo ambito, gli uomini come macchine, promuove la cultura ed il progresso di tutti. Per questo, secondo Kant, merita di essere chiamato pubblico solo l'uso della ragione da parte dello scienziato, in quanto si rivolge a tutti e non può asservirsi ai fini particolari di un capo o di una istituzione senza tradire il proprio impegno per la verità.

La distinzione fra uso privato e uso pubblico della ragione potrebbe essere applicata al software proprietario e a quello libero, per chiederci quale dei due rende più facile rispondere alla nostra vocazione a pensare da noi. Ma il cuore dell'articolo di Kant non era la scienza, bensì la politica della scienza. Kant elogiava Federico, un despota, perché questi, pur pretendendo ubbidienza nell'uso privato, lasciava libero l'uso pubblico della ragione. Così, perfino nella dura scorza delle istituzioni prussiane, poteva crescere il germe della libertà, che avrebbe finito per intaccare anche i princìpi del governo.

Kant non scriveva questo per adulare Federico, ma perché credeva veramente che, se si deve scegliere, è preferibile poter pensare e condividere liberamente le idee piuttosto che limitarsi ad andare a votare ogni tanto. La libertà del sapere può condurre alla democrazia mentre la possibilità di andare a votare non produce, da sé, la libertà e il gusto di pensare con la propria testa.

Oggi i molti politici – italiani ed europei – che si adoperano per la privatizzazione delle idee, promuovendo brevetti per il software, o sanzioni penali per il p2p, possono essere visti come il negativo fotografico di Federico di Prussia. Non sono dei despoti perché li abbiamo eletti noi, che andiamo a votare ogni tanto, ma sono spesso nemici dell'uso pubblico della ragione, perché rendono difficile l'informazione e la discussione al di fuori di istituzioni private il cui fine è il guadagno.

Kant era per la repubblica, ma riconosceva l'autorità morale di Federico, perché il despota aveva avuto l'intelligenza di promuovere quanto non riusciva più a contenere, Bruce Sterling, in Tomorrow now, scrive qualcosa di simile: “un governo non ha bisogno di intraprendere la strada dell'utopia per portare a termine il proprio compito; può fare progetti a lungo raggio, laddove l'industria ne è impossibilitata, estendendo i network, provvedendo alla manutenzione delle strade e costruendo aeroporti. Può favorire i sistemi aperti, che espandono le opportunità personali, rispetto a quelli chiusi, che favoriscono oligarchie e monopoli”. Non occorre essere filosofi, per capirlo. Basterebbe, soltanto, un po' di consapevolezza politica.

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Bruce Sterling. Tomorrow now. Mondadori. Milano. 2002. http://www.chriswaltrip.com/sterling/.

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