Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista "Linux Magazine"
03-05-2005 20:35:38
Sommario
Sui beni collettivi, o commons, è stata composta, nel secolo scorso, una tragedia così fortunata che si è finito per trattarla come una storia vera. Nella tradizione giuridica anglosassone, i commons sono i beni che appartengono a collettività. Erano commons i terreni comuni recintati e privatizzati all'inizio dell'età moderna in Inghilterra; possono anche essere trattati come commons, ha insegnato Lessig, i programmi sotto licenza GPL. Perfino in Italia esiste una tradizione di commons, nota a chi ama la montagna o il diritto: la proprietà collettiva delle Regole Trentine, che governano l'uso della roba de tuti. In tutti questi casi i proprietari non sono uno o più individui determinati, indicati con nome e cognome, ma gruppi aperti a chiunque soddisfi i requisiti per farne parte.
Nel 1968 Garrett Hardin, in un articolo divenuto famoso, “The Tragedy of the Commons”, 1 scrisse che i beni collettivi sono intrinsecamente tragici: quello che li rende affascinanti è nello stesso tempo la causa della loro rovina. Se tutti i pescatori prelevando liberamente da banchi di pesce inizialmente ricchi – ed è nell'interesse di ciascuno farlo -, inevitabilmente, col passare del tempo, quella risorsa comune, la cui integrità nessuno cura, si esaurirà. E si esaurirà proprio perché è stata trattata come risorsa comune, cui tutti possono attingere. Solo la privatizzazione, o l'intervento dello stato, può evitare questo destino.
Una simile tesi ha una conseguenza politica evidente: quando si tratta di risorse economiche, non ci sono corpi intermedi, fra i privati e lo stato. Non esistono collettività in grado di amministrarsi autonomamente. Dobbiamo scegliere – e anche questa è una scelta tragica - fra il potere dei padroni e quello della polizia. Eppure, il sistema Linux su cui sto battendo questo articolo fa pensare che in questa storia ci sia qualcosa di sbagliato: che, cioè, un caso particolare sia stato trattato come un modello universale.
Secondo la scienziata politica americana Elinor Ostrom, 2 per rendersi conto dell'errore basta costruire un modello più ampio, sulla base di due domande:
Se io uso un bene, in che misura il vantaggio che ne traggo sottrae a qualcun altro la possibilità di godere dello stesso vantaggio?
Quanto è costoso escludere qualcuno dall'uso di un bene, con barriere fisiche e giuridiche?
Rispondendo a queste domande, otteniamo la seguente tabellina:
Sottrazione bassa | Sottrazione alta | |
Esclusione difficile | Beni pubblici (tramonti, informazione) | Beni condivisi (biblioteche, banchi di pesci) |
Esclusione facile | Beni associativi (asilo infantile) | Beni privati (computer, ciambelle) |
Un bel tramonto è un bene pubblico: non solo sarebbe difficile escludere qualcuno dal piacere di vederlo, ma soprattutto il fatto che uno lo contempli non sottrae a nessun altro la possibilità di fare altrettanto. Il software libero, e l'informazione in generale, ricadono in questa categoria. Se copio un programma o penso un'idea, non impedisco a nessuno di fare altrettanto. Ai banchi di pesci o alle biblioteche, invece, è facile accedere; ma chi pesca del pesce o prende un libro in prestito lo toglie, tragicamente, ad altri utenti. In questo caso, perché il bene non si esaurisca, occorre qualcuno che imponga delle regole d'uso. Quando, infine, l'esclusione è agevole, un bene può essere fruito o da un gruppo particolare, oppure, se si tratta di cose di cui si può approfittare solo sottraendole agli altri, come i computer e le ciambelle, può essere oggetto di proprietà privata.
Le tabelline sono noiose, ma aiutano a fare i conti: la tragedia dei commons non è un destino di tutti i beni usati collettivamente, ma un rischio cui si è esposti solo in un caso, sui quattro previsti. Un mondo che non sia popolato soltanto da poliziotti e padroni è, perlomeno, possibile.
Le Regole Trentine: http://www.trentinocultura.net/radici/identita/vita_quotidiana/antro_territ/proprieta_collettiva_h.asp.
The tragedy of the commons. voce della Wikipedia.
[1] G. Hardin, “The Tragedy of the Commons”, Science, 162, 1968, pp. 1243-1248.
[2] C. Hess, E. Ostrom, “Ideas, artifacts, and facilities: information as a common-pool resource”, Law & Contemporary Problems, 111, 66
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