L'Europa: integrazione, identità e diritti
Convegno organizzato dalla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa 28/29 giugno 2000
Nel corso di un convegno tenutosi a fine giugno 2000, la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa ha offerto la possibilità a studiosi di differenti ambiti disciplinari (dall'economia, al diritto, alla filosofia ed alla scienza politica) di confrontarsi su di una problematica particolarmente viva e complessa, quale il processo di integrazione europea.
L'attenzione è stata focalizzata sulle difficoltà connesse alla realizzazione di un simile progetto: difficoltà di definizione di una identità (politica) collettiva; di tutela dei diritti umani fondamentali e di estensione dei diritti (esclusivi) di cittadinanza; di ripensamento (da un punto di vista normativo) di concetti politici tradizionali, come l'idea di stato-nazione.
Come da
programma, i lavori si sono aperti con una sessione dedicata all'indagine delle connessioni tra i processi di Integrazione politica e integrazione economica.
Il primo intervento (Integrazione regionale: l'esperienza europea nel mondo globalizzato del dopo-guerra fredda) è stato affidato a Mario Telò (Libera Università di Bruxelles), ed è stato strutturato intorno ad una domanda fondamentale: quale realtà politica (non-statale o sovra-statale), cioè, sia possibile immaginare come sbocco normativo del processo di integrazione europea. A questo proposito, Telò ha invitato a riflettere sulle connessioni esistenti tra la proposta neo-regionalista, qui presentata, e il processo di globalizzazione. Se da un lato, infatti, la creazione di macro-regioni sovranazionali può essere letta nei termini di una sorta di tappa intermedia verso la "mondializzazione", dall'altro lato può assumere la valenza di un tentativo di resistenza nei confronti della stessa. Un altro aspetto importante connesso al progetto neo-regionalista è legato all'impatto che esso potrà avere sulla definizione delle identità politiche e culturali. Lo stato-nazione, infatti, così come è stato sinora strutturato, non sembra più essere in grado di rispondere alle richieste di riconoscimento identitario provenienti da contesti sociali sempre più compositi e complessi (a meno di non ricorrere a politiche di matrice nazionalistica). Una struttura sovranazionale di stampo regionalista, invece, darebbe vita ad un assetto politico caratterizzato dalla definizione di macro-regioni, connotate in termini culturali (e non meramente "politici"), e per questo maggiormente sensibili alle richieste di riconoscimento delle differenze, provenienti dalle singole realtà locali.
La necessità di un chiarimento a livello istituzionale, come risposta allo stato di crisi in cui versa il tradizionale modello di stato-nazione, è stata illustrata da Paul Magnette (Libera Università di Bruxelles). Nel corso del suo intervento (Europe as a Federation of States: reflections on the constitutional nature of the European Union), Magnette ha messo in risalto il bisogno di chiarificazione e semplificazione delle dinamiche politiche comunitarie, di fronte ai cittadini dei diversi Paesi. Un maggiore scambio di informazioni tra il centro e la periferia (o meglio, le periferie) potrebbe, infatti, dare il via ad un processo di socializzazione, a livello sovranazionale; alla creazione, cioè di una realtà sociale condivisa, quale base per la definizione di politiche applicabili al di fuori degli ormai stretti confini nazionali.
A commento di questi due contributi, sono intervenuti Marinella Neri Gualdesi (la quale ha sottolineato, in modo particolare, il ruolo rilevante che potrebbe avere la compilazione di una Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, come primo mattone per la costruzione di un vero e proprio sistema statale europeo) e Nicola Bellini. Quest'ultimo ha analizzato il processo di integrazione economica a livello europeo, individuandone tre forme fondamentali: i) una positiva (per la quale elementi di governo europeo si sono insinuati entro le realtà locali); ii) una di tipo cooperativo (a diversi livelli, tra gli Stati membri); e iii) una negativa (finalizzata ad impedire agli Stati nazionali di mettere in atto comportamenti anti-cooperativi). A partire da una simile analisi, Bellini ha distinto due fenomeni differenti, risultanti dallo stesso progetto di integrazione economica: i) da un lato, l'integrazione delle strutture produttive (risultato atteso e mancato, almeno per ora); ii) dall'altro lato, l'innescarsi di processi di apprendimento politico da parte delle istituzioni locali e di meso-livello, che hanno trovato, proprio nel corso di tale processo, una fonte di legittimazione e una maggiore disponibilità di risorse (risultato inatteso, ma importante).
La seconda sessione (Un'identità sovranazionale?) è stata animata dall'intervento di Joseph Weiler (Harvard Law School), il quale si è interrogato sulla relazione esistente tra il concetto di identità europea e l'idea tradizionale di identità nazionale (European Identity and National Identity). Weiler ha notato come, tradizionalmente, l'idea di una comune identità nazionale sia stata strettamente legata alla possibilità stessa di un qualsiasi assetto democratico. Tale idea poteva essere considerata come collante per la strutturazione e la conservazione della comunità politica, quale base decisionale su cui fondare le procedure democratiche stesse. Ora, siccome allo stato attuale non è rintracciabile qualcosa come una comunità politica europea, sembra impossibile una qualsiasi legittimazione dell'autorità dell'Unione stessa. Alla luce di simili considerazioni, pare essere comprensibile, secondo Weiler, il perché molti teorici facciano riferimento ad una (ipotetica) cultura comune europea, in modo tale da poter costruire su di essa una "nuova" dimensione identitaria sovranazionale. In realtà, un simile ordine di considerazioni porta con sé non pochi problemi: per poter parlare di identità sovranazionale, infatti, si deve presupporre una chiarezza di fondo circa l'idea di identità nazionale. Un'idea, questa, tutt'altro che priva di aspetti problematici, in quanto presuppone ed implica idee di lealtà civile, di solidarietà, di impegno collettivo, che spesso vengono a mancare già entro i confini nazionali, e che, di conseguenza, sembrano essere difficilmente estendibili a livello sovranazionale.
Il secondo intervento (Unione Europea e deficit costituzionale) della seconda sessione è stato affidato a Emanuele Rossi (Scuola Superiore Sant'Anna, Pisa), il quale si è interrogato sulla possibilità di parlare propriamente di una costituzione europea. La difficoltà maggiore sembra essere legata all'impossibilità di individuare qualcosa come una vera e propria costituzione a livello europeo (che superi e integri le differenti realtà giuridiche nazionali); tuttavia si può notare come sia effettivamente in atto un progetto costituente. Inoltre, Rossi ha posto l'accento sulla questione della definizione di un popolo europeo, su cui andrebbe esercitata la sovranità definita dalla costituzione. Esclusa la possibilità di individuare una matrice etnica comune, i singoli popoli dovrebbero cementarsi intorno ad un sentimento di appartenenza ad una dimensione sovranazionale, che sia in grado di superare ogni genere di particolarismo. Il popolo europeo dovrebbe, cioè, avere un'identità politica comune, su cui si possa articolare una volontà collettiva, rappresentabile democraticamente da partiti politici europei, che non siano la mera sintesi degli interessi delle singole dimensioni nazionali.
La discussione su questi due contributi ha visto come protagonisti gli interventi di Anna Loretoni e Dimitri D'Andrea. Anna Loretoni ha invitato a considerare i concetti di identità europea e identità nazionale non come opposti, o, comunque, inconciliabili. Infatti, entro le coordinate di pluralismo, che connotano l'ambito di queste riflessioni, l'identità perde il suo carattere monolitico per sfumarsi su più livelli. L'identità europea e quella nazionale, dunque, sembrano poter coesistere, articolandosi entro un'unica identità collettiva, politicamente definita.
Nel corso del suo intervento, Dimitri D'Andrea ha sottolineato, invece, come la debolezza dell'Unione Europea dovrebbe essere rintracciata nella sua scarsa forza politica, o meglio, nella sua scarsa progettualità politico-istituzionale. Entro una simile prospettiva, D'Andrea ha suggerito come l'identità politica europea si possa delineare nei termini di una condivisione di un progetto politico, la definizione del quale resta, tuttavia, una questione decisamente problematica. In particolare, le difficoltà maggiori sembrano potersi rintracciare nella definizione di un accordo politico , che dovrebbe incontrare l'approvazione di tutti i cittadini dei differenti stati.
La terza sessione dei lavori (dedicata al tema: Essere cittadini e cittadine dell'Unione) si è aperta con l'intervento (European Integration and Citizenship Practice: a Normative Analysis) di Richard Bellamy (University of Reading). Nel corso di una complessa analisi normativa, Bellamy ha posto in risalto la natura dialogica del concetto stesso di cittadinanza. Il riconoscimento dei diritti di cittadinanza, infatti, viene presentato come il risultato di una negoziazione di relazioni di potere, tra i cittadini effettivi e gli aspiranti tali. Un simile confronto dialogico ha come fine il riconoscimento reciproco dei soggetti coinvolti, quali partners sociali, e la definizione delle norme (degli oneri e degli onori) della vita politica collettiva.
Il secondo contributo della mattinata è stato proposto da Gian Enrico Rusconi (Università di Torino), il quale ha invitato a riflettere sul tema: Quale repubblicanesimo per l'Europa?. In modo particolare, Rusconi ha posto il problema di quale significato possa assumere l'impegno repubblicano all'amor di patria, all'interno di una prospettiva europea. Rusconi ha richiamato, a questo proposito, l'idea di patriottismo costituzionale, sottolineandone gli aspetti problematici. Innanzitutto, da un punto di vista formale, non esiste una costituzione cui prestare fedeltà. Inoltre, poiché il patriottismo costituzionale può venire interpretato come lealtà nei confronti di una Carta, ci si può chiedere se la Carta dei Diritti, che sta per essere redatta, potrà essere sufficiente come terreno su cui far crescere un sentimento di appartenenza ad un'unica identità (politica) collettiva.
A commento di queste relazioni sono intervenuti Danilo Zolo e Massimo Rosati, il quale ha sottolineato come il valore guida per ogni possibile azione, in vista della costruzione di una consapevolezza identitaria comune europea, possa essere rintracciato nel rispetto dovuto ad ogni individuo, "semplicemente" in quanto essere umano. A partire da una simile attribuzione di rispetto, sembrerebbe inoltre possibile promuovere la diffusione di alcune pratiche - fondate sul riconoscimento del valore della vita umana in quanto tale - quali, ad esempio, il rifiuto della pena di morte, o la creazione di uno stato di welfare.
La quarta sessione è stata dedicata alla discussione del tema: La tutela dei diritti umani in una prospettiva europea.
Francesco Busnelli (Scuola Superiore Sant'Anna, Pisa) ha dedicato il suo intervento ad analizzare Il principio della dignità della persona umana in una prospettiva europea. In particolare, Busnelli ha sottolineato come tale principio non possa essere circoscritto (o ascritto) ad un contesto esclusivamente europeo, in quanto si presenta come principio regolatore della cultura giuridica internazionale.
Alessandro Pizzorusso (Università di Pisa) ha preso in esame Il ruolo della "Carta dei Diritti" nell'evoluzione dell'Unione Europea. Pizzorusso ha notato come, sinora, i trattati istitutivi delle Comunità e dell'Unione Europea abbiano individuato alcuni diritti qualificabili come fondamentali. Ciononostante, non è stata ancora stabilita una competenza effettiva per la tutela generale di questi stessi diritti. Di qui l'importanza della delibera di una Carta che dovrà fissare i diritti di libertà e uguaglianza, "nonché i diritti procedurali fondamentali garantiti dalla Convenzione europea e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni degli stati membri".
L'importanza di un simile progetto a tutela dei diritti umani fondamentali, comunque essi vengano definiti nel particolare, è stata messa in evidenza anche negli interventi proposti da Andreas de Guttry e Eugenio Ripepe. Nel corso della discussione finale, la complessità di una simile questione è stata posta in risalto anche da Joseph Weiler, il quale ha sottolineato la difficoltà di individuare un nucleo di diritti umani, che possano essere riconosciuti universalmente come fondamentali. Secondo Weiler, sostenere che è diritto fondamentale il rispetto per la dignità dell'uomo significa dire, in effetti, molto poco. Tale mancanza di precisione consegnerebbe la facoltà di definire in concreto il contenuto di tali diritti nelle mani dei giudici. Questi ultimi sarebbero, infatti, chiamati, di volta in volta, a stabilire se il singolo caso abbia violato o meno la dignità di un singolo soggetto. Ecco, dunque, che una simile pratica renderebbe impossibile una qualsiasi connotazione dei diritti umani in termini di universalità.
Indipendemente dalla forma istituzionale che nel concreto verrà ad assumere, il progetto di Unione Europea sembra, dunque, imporre (soprattutto al filosofo politico) un ripensamento delle categorie con cui venivano tradizionalmente affrontate numerose istanze problematiche - dalle questioni di definizione identitaria ai problemi in materia di giustizia distributiva. Ed è proprio tra le trame di un simile tessuto teorico, che si svela la portata degli spazi di riflessione aperti da questo convegno.
Brunella Casalini
Emanuela Ceva
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