BFP - Home | Titoli :: schede di lettura: L.
Irigaray, Speculum. L'altra donna
Luce Irigaray, Speculum. L'altra donna
(Speculum. De l'autre femme,
Les Editions de Minuit, Paris 1974)
Seconda parte: Speculum
Una scheda di lettura
"Ogni teoria del soggetto ... si trova sempre ad essere appropriata al maschile."
Si tratta allora di costruire un immaginario anche per la donna, in modo che questa non resti oggettivata ad opera del discorso maschile.
Dove vedremo ricomparire la funzione dell'altro?
Si tratta, prosegue, di rinunciare per il momento alla sovranità del pensiero per costruire utensili con cui lavorare le risorse non ancora sfruttate.
Oggi "il soggetto urta da ogni parte contro le pareti del suo palazzo di specchi, il cui pavimento per giunta comincia a tremare e crollare. [
] Se l'uomo Freud avesse preferito il gioco di due economie invece di inscriverne una nell'altra, forse non avrebbe urtato contro l'enigma del sesso e del piacere della donna".
Freud, prosegue la Irigary, indica l'uscita da una storia storico-trascendentale e apre una storia isterico-trascendentale. Egli infatti, riaffermando la proibizione dell'incesto non fa che riaffermare le condizioni di possibilità della matrice speculativa del soggetto. E intanto la donna viene (u)omosessualizzata.
La Irigaray introduce il simbolo dello speculum, specchio concavo che viene inteso come doppiezza, deformazione e non semplice specchio, copia del medesimo, piatta e uguale a sé stessa. Attraverso la metafora dello speculum la Irigaray vuole rappresentare la femminilità e sconvolgere la sintassi del discorso fallogocentrico (centrato cioè sul discorso del padre).
Quale soggetto ha mai pensato che uno specchio concavo concentra la luce e che il sesso della donna non è totalmente estraneo a questo fatto?
Nessuno l'ha fatto, come insegnano i padri del pensiero filosofico.
È la saggezza di Platone, quella del mito della caverna, che insegna a non guardare il sole in faccia. La corretta visione guarda in faccia attraverso dispositivi ottici interposti, e l'epistème fa le sue misure a partire da ombre proiettate da e su delle superfici.
In Aristotele poi l'essere non conosce genesi, la materia è già informata e la a fùsis è sempre già in atto di adeguamento ad un télos. Come la sostanza della pianta non può eccedere né trasgredire o spostare lo statuto ontologico che le è stato assegnato, così i significati dell'essere sono impassibili di divenire.
La donna resta piuttosto nella potenza non attualizzata e, lasciata nella sua infermità e nel suo vizio, la femmina desidera il maschio come il brutto vuole il bello. La sua esistenza, un fatto accidentale, diviene una mostruosità genetica.
L'idea di Plotino di materia come non essere, impassibile e incorporea sanziona il dato che la madre non genera nulla, poiché il generatore delle cose è la ragione intelligibile. La madre infatti è femmina in quanto riceve e non perché procrea.
In Cartesio, poi, il singolare è di un genere particolare: è la sostanza pensante che fa ritorno su se stessa e chiude il cerchio della (sua) soggettività e si assicura così il rapporto con l'universalità dell'essere dell'"io" pensante e parlante.
Una volta spezzato il legame con i misteri della concezione, non c'è più niente se non colui che a tale operazione può in ogni momento far ricorso.
Io pensa dunque è, scrive la Irigaray. E aggiunge: ma i corpi come si devono comportare tra loro?
Il discorso mistico o linguaggio mistico è l'unico luogo nella storia dell'Occidente in cui la donna parla e agisce.
Ma è con Kant che la filosofia decide che d'ora in poi la natura sarà sottomessa nel suo insieme allo spirito umano, e il terreno si stabilizzerà sulla base della costruzione trascendentale.
La funzione dello schema trascendentale è, secondo la Irigaray, di "mettere in negativo una particolarità del sensibile che non tornerà più ad essere tale": definitivamente precluso è il rapporto con la madre. Gli schemi regoleranno d'ora in poi l'immaginazione della scena da tanti punti di vista quanti si vuole ma sempre in pure rappresentazioni.
Nella rappresentazione kantiana dunque uno specchio risulta essere supporto precostituito per l'apprensione degli oggetti; il giudizio riflettente, come intermediario praticabile, il cui principio sia a priori, tra i concetti naturali e quello di libertà, interviene ad impedire che la spaccatura tra sensibile e soprasensibile diventi un abisso.
In Kant, inoltre, è chiaro che "gli incanti che esse suscitano (non) si basano, in fondo, (che) sull'inclinazione che l'uomo ha per lei (loro)." Ciò non è altro che un piacere nell'intelletto, che l'uomo cerca nella bellezza femminile. La donna non è altro che un oggetto.
Se il male radicale, prosegue la Irigaray, non trascina l'uomo troppo avanti nella trasgressione della legge, la primitiva disposizione al bene (l'ordine del dovere) implica la conversione; in questo modo la fondamentale perversione si trasforma in puro rispetto.
Ci si trova così con un'eccedenza dell'immaginario che oltrepassa il sapere dell'intelletto, e non è ancora riassorbito in una legislazione puramente morale, la quale esige, per esercitarsi senza scorie, una libertà pubblica di coscienza. Ciò, prosegue Kant, non è permesso in nessuna costituzione, bisognerebbe invece pensare ad una comunità di tipo familiare padre morale che governa con culti e riti.
Considerando la sofferenza che il piacere rende necessaria, conclude l'autrice, dovremmo collocare Kant vicino a Sade o a Masoch: "Che cosa potrebbe spingere il soggetto a uscire di lì? un messaggio annunciante la rivoluzione o il fatto che la casa è di vetro e il vetro è opaco. Meglio morire che continuare così. In eterno."
In Hegel il rapporto puro si stabilisce solo tra fratello e sorella, perché essi non si appetiscono reciprocamente.
La donna, custode del sangue, assicura l'er-innerung [ricordo] della coscienza di sé con la dimenticanza di se stessa. E quando dal mondo inferiore delle forze si sollevano minacciando la comunità, allora la femminilità rivendica per sé stessa il diritto al piacere, al godere, e perfino ad una attività affettiva.
E così, conclude la Irigaray, la donna non ha ancora avuto (un) luogo e resta questo niente di niente. Per evitare il vuoto tutto dev'essere (re)inventato.
Perché l'uomo non può fare a meno d'uno strumento se vuole toccarsi (la mano, la donna, o un surrogato), può recuperare lo strumento ad un altro livello, e cioè nel linguaggio e mediante il linguaggio. Di questi l'ideale è il linguaggio filosofico che privilegia il "rappresentar-sé".
La sessualità della donna però non può inscriversi in quanto tale in nessuna teoria, a meno di venire compresa ed ordinata secondo parametri maschili, perché il sesso della donna non è uno.
PROSEGUI: L'hustera di Platone
|