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Scheda: Su due frammenti del Trasimaco "storico".

Il labirinto della cattedrale di Chartres


Su due frammenti del Trasimaco “storico”.


Leggiamo i frammenti B2 e B8 attribuiti a Trasimaco:
 
B2: PER I LARISSEI: Avendo Euripide detto, nel Telefo: «Noi, che siamo Greci, serviremo i barbari?», Trasimaco, nel discorso per i Larissei, dice: «Essendo Greci, serviremo il barbaro Archelao?».
B8: DA SCRITTO INCERTO. Trasimaco in un suo discorso scrisse qualcosa del genere, che gli dei non guardano alle vicende umane: infatti, non tralascerebbero il maggiore fra i beni umani, la giustizia; vediamo infatti che gli uomini non se ne curano.
 
Questi frammenti sono dicta di cui, anzitutto, non conosciamo a fondo il contesto, e non abbiamo elementi sufficienti per derivarne l'intentio dicendi; ma, anche se ne conoscessimo l'intentio dicendi, non avremmo elementi per attribuirla all'autore del frammento, che si esprime come logografo e scrive su commissione; inoltre, passare da questi frammenti al testo di Repubblica I, con il proposito di tracciare una visione unitaria del pensiero trasimacheo, è una forzatura che incontra molti inconvenienti e, anziché chiarimenti, rischia di portare a nuovi equivoci, oppure di consolidarne alcuni già diffusi per altre vie.
 
Untersteiner sostiene che, in B2, «appare chiara l'opposizione di Trasimaco alla figura politica del tiranno» (Untersteiner, 1954, pp. 30-31n.: il contesto del brano è una logografia, sostiene Untersteiner, scritta probabilmente per un'ambasceria di Larissa venuta ad Atene, all'epoca del dominio macedone di Archelao sulla Tessaglia).
Nel frammento B8, poi, Untersteiner legge un «grido di un pessimismo radicale», di cui sarebbe stata sottovalutata, a torto, la serietà (Untersteiner, 1954, p. 37). A proposito del frammento B8, che non può essere attribuito con certezza ad una logografia, Vegetti osserva che la testimonianza di Ermia si trova a mille anni di distanza dal Trasimaco storico e, quindi, la sua attendibilità è almeno discutibile (Vegetti, 1998, p. 236: l'eccessivo affidamento su quella testimonianza sembra piuttosto una prima modalità di moralizzazione del personaggio platonico).

Insomma, l'equivocità delle testimonianze deriva dall'incertezza del contesto: quanto ci sia di “storico” nel Trasimaco di Platone è problema insolubile, e d'altra parte l'indagine filosofica deve procedere oltre, perché non importa che Trasimaco la pensasse davvero così oppure no (Platone, Repubblica, 349 a), bensì importa che la posizione del sofista in Platone può essere sostenuta e difesa, e che Socrate si trova in grave difficoltà a volerla confutare.
La linea interpretativa di Untersteiner, che abbiamo esaminato a grandi linee, segue dichiaratamente gli studi di Salomon, Levi e Rensi. Salomon scrive che quando Trasimaco «crede di dover conoscere la vita, si compie davanti ai suoi occhi il capovolgimento più grande che si possa pensare dei valori etici. Chi è quanto mai ingiusto diventa giusto e chi, in verità, è giusto, si chiama ingiusto. Così è perché, in un caso, “giusto” ha il senso di “considerato dagli altri giusto”, nell'altro caso, al contrario, ha il nome di giusto in quanto è eticamente degno di considerazione» (Salomon, 1911, p. 145, cit. in Untersteiner, 1996, p. 500). Levi, seguendo la suggestione del frammento B8, asserisce che coloro che parlano come Trasimaco «sono gli uomini che più hanno amato e venerato la giustizia» (Levi, 1940, pp. 9-12, cit. in Untersteiner, 1996, p. 501).



TORNA INDIETRO .......... A cura di Luca Mori


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