Introdotto dal lessico politico moderno, il concetto di opinione pubblica
attraversa oggi una fase critica, tale da metterne in forse l'utilità euristica.
Infatti, è l'oggetto stesso a cui esso si riferisce ad apparire dubbio, se
non "addirittura inesistente" (Luhmann). Ciò
sebbene sul piano del linguaggio corrente l'espressione "opinione pubblica"
appaia "in perenne crescita di utilizzo", venendo declinata dai media o come
sinonimo di "pubblico di massa", o come " processo di 'presa della maggioranza'
", o ancora, utilizzata per indicare l'intreccio tra "comunicazioni intensive
provenienti dai media e azioni di gruppi di interesse - come nella frase:
"Sotto le pressioni dell'opinione pubblica il tale decreto è stato ritirato
dal governo" - (Cristante, 2001, pp. 38-39).
Senza alcuna pretesa di esaustività, si offrono qui alcuni cenni sulla
genesi dell'opinione pubblica, sulle sue trasformazioni e sulle molteplici
teorie e interpretazioni che ne hanno segnato la storia.
Cristante S., Azzardo e conflitto. Indagini sull'opinione pubblica nell'era della comunicazione globale, Manni, Lecce 2001.
1. Un quadro della
situazione teorica attuale
Se Hobbes
condannava l'opinione pubblica in quanto portatrice di anarchia e di divisione,
gli studi contemporanei sembrano concentrarsi soprattutto sulla sua funzione
conformistica e omologante. Per Noelle-Neumann
, autrice della teoria psicologico-sociale della c.d. "spirale del silenzio",
l'opinione pubblica funziona in primo luogo come attivatore di meccanismi
di integrazione sociale: "opinioni pubbliche - scrive infatti -
sono quelle opinioni rientranti nella sfera del controverso che si possono
esprimere in pubblico senza correre il rischio di venire isolati" (Noelle-Neumann, 1979, p. 150) .
Nelle visioni più pessimistiche, d'altra parte, l'opinione pubblica altro non sarebbe che il prodotto della fabbrica del consenso (Chomsky; Zaller
): essa è il risultato di un consumo di messaggi mediali che si avvalgono
a fini manipolatori delle stesse tecniche pubblicitarie utilizzate sul mercato
delle merci non culturali.
Proprio il carattere "opinabile" dell'opinione pubblica ne costituirebbe il tratto negativo e inaffidabile. In quanto doxa e non episteme
l'opinione non avrebbe alcun valore di verità. Il concetto d'opinione pubblica,
da questo punto di vista, sembra scontare ancora quella contrapposizione
tra scienza e opinione il cui luogo classico è il V libro della Repubblica di Platone.
Con l'avvento della democrazia di massa e con la comparsa sulla
scena di nuovi mezzi di comunicazione, quali la televisione, e di strumenti
di misurazione dell'opinione, come i sondaggi, il campo della ricerca sull'opinione
pubblica appare monopolizzato da studi empirico-quantitativi e dai Communication Studies
, impegnati nella valutazione dell'effettiva capacità dei media di influenzare
le scelte e le preferenze dei cittadini-consumatori. Significativa, sotto
questo profilo, è l'ipotesi dell'agenda setting, secondo la quale
i media hanno la funzione di strutturare il quadro all'interno del quale
va a posarsi l'attenzione dei fruitori dei mezzi di comunicazione, più che
il loro stesso modo di pensare (McCombs e Shaw).
L'esaurimento del concetto classico di opinione pubblica è sottolineato anche da Luhmann
, per il quale con la progressiva differenziazione funzionale prodotta dalla
modernità essa non può più essere concepita come strumento di pubblicità
e di controllo del potere. Persa la propria funzione di giudice, all'interno
della teoria dei sistemi l'opinione pubblica assume quella di "strumento
ausiliario di selezione", di riduzione della contingenza: essa svolge il
compito di delimitare i temi di comunicazione, "la cui presupponibilità limita
la discrezionalità di ciò che è politicamente possibile" (Luhmann, 1978).
Quanti sul versante filosofico-politico credono che la democrazia non
possa fare a meno di un momento di comunicazione e riflessione critica, autonomo
rispetto alla dimensione statuale, e insieme capace di innalzarsi al di sopra
di visioni particolaristiche, preferiscono spesso abbandonare del tutto il
concetto di "opinione pubblica", per parlare piuttosto di "spazio pubblico"
e delle condizioni per una comunicazione critica (Privitera).
Sulla teoria dell'opinione pubblica di Noelle-Neumann:
Noelle-Neumann E., The Spiral of Silence: A Theory of Public Opinion, "Journal of Communication", 24 (1974), pp. 43-51.
ID., Public Opinion and the Classical Tradition, "Public Opinion Quarterly", 43 (1979), pp. 143-156.
ID.,The Spiral of Silence: Public Opinion Our Social Skin, Princeton University Press, Princeton 1984.
Baier H., Kepplinger H. M., Reumann K. (a c. di), Öffentliche Meinung und soziale Wandel: für Elisabeth Noelle Neumann, Westdeutscher Verlag, 1981.
Lang, K. Recensione di "The Spiral of Silence: Public Opinion and Our Social Skin", "American Journal of Sociology", 91 (1986), pp. 1496-99.
Gryszka M., Recensione di The Spiral of Silence.
Per una concezione manipolativa del processo di formazione dell'opinione:
Chomsky N., Herman E. S., La fabbrica del consenso, Editore Tropea, Napoli 1998.
Zaller R. J., The Nature and Origins of Mass Opinion, Cambridge University Press, 1992.
Per la teoria dell' 'agenda setting':
McCombs M. E. e Shaw, D. L., La funzione dell'agenda setting dei mass media, in Bentivegna S., Mediare la realtà. Mass Media, sistema politico e opinione pubblica, Franco Angeli, Milano 1994.
Per il rapporto scienza-opinione:
Beansaude-Vincent B., L'opininion publique et la science. A chacun son ignorance, Institut d'édition Sanofi-Synthèlabo, Paris 2000.
Di Luhmann, in particolare:
Luhmann N., L'opinione pubblica, in ID., Stato di diritto e sistema sociale, Guida, Napoli 1978.
Sulla sfera pubblica:
Calhoun C. (a cura di), Habermas and the Public Sphere, MIT Press, 1992.
Habermas J., The Public Sphere, in Mukerji C. e Schudson M. (a c. di), Rethinking Popular Culture, University of California Press, 1991.
ID., Storia e critica dell'opinione pubblica, Laterza, Bari 1971.
Fraser N., Rethinking the Public Sphere, "Social Text", 25/26 (1990).
Goodnight T., Habermas, The Public Sphere and Controversy, "International Journal of Public Opinion Research", 3 (1992).
Hohendahl P. U., Critical Theory, Public Sphere, and Culture: Jurgen Habermas and His Critics, "New German Critique", 16 (1972).
Landes J., Women and the Public Sphere in the Age of the French Revolution, Cornell University Press, Ithaca 1988.
Negt O. e Kluge A, Public Sphere and Experience: Toward an Analysis of the Bourgeois and Proletarian Public Sphere, University of Minnesota Press, Minneapolis 1993.
Robbins B. (a cura di), The Phantom Public Sphere, University of Missota Press, Minneapolis-London 1993.
Privitera W., Sfera pubblica e democratizzazione, Laterza, Bari 2001.
Schuler D., What is the Public Sphere.
2. Le origini
La comparsa sulla scena dell'opinione pubblica è legata all'emergere di alcune
peculiari condizioni proprie della modernità. Tra queste, prima di tutto,
il configurarsi di uno spazio, la società, collocato tra la sfera privata
e la sfera pubblica statuale. La nascita dell'opinione pubblica s'intreccia
con le vicende di formazione dello stato moderno, con la fine della società
corporativa e del regime di privilegi della società feudale, con il progressivo
affermarsi dell'idea di eguaglianza formale dei soggetti di fronte alla legge
(Matteucci) e con la pubblicità
degli atti di governo, a cominciare da quelli parlamentari. Un fenomeno,
quest'ultimo, databile intorno alla prima rivoluzione inglese, la cui importanza
non può essere sottovalutata in quanto rompe il regime di segretezza vigente
fino ad allora intorno agli atti del governo (in particolare, cfr. Zaret, 2000). Da questo punto di vista, il principale contributo dato da Necker
alla fine del Settecento, nell'ambito della storia del concetto dell'opinione
pubblica, viene considerato dagli storici, ancor più dei suoi scritti teorici
sull'argomento, proprio l'introduzione di un'innovazione fondamentale: la
pubblicazione degli atti relativi alla condizione fiscale dello stato (compte rendu) (Speier, 1950
). Il processo di formazione dell'opinione pubblica non sarebbe stato possibile,
tuttavia, senza il ruolo decisivo svolto dalla stampa. Con la diffusione
della stampa periodica, e la comparsa di nuovi spazi di socialità, quali
i caffè, i gabinetti, le società di lettura e i clubs, alla fine del del
XVIII secolo, appare sempre più chiaro il verificarsi di un fenomeno - per
alcuni già riscontrabile a cominciare almeno dalla metà del seicento - per
descrivere il quale è necessaria l'invenzione di termini nuovi quali pubblicità
(publicité, publicity, Publizität), "public spirit", "general opinion"
e "opinion publique", ad indicare uno stile inedito di comunicazione che
si afferma tra i privati cittadini borghesi, in polemica con lo stile cortigiano.
La fruizione di nuovi prodotti culturali - come ha sottolineato
Habermas - ingenera nella cultura settecentesca un gusto per la discussione
e l'argomentazione che tocca ben presto non solo l'arte, il teatro e la letteratura,
ma anche la politica e l'economia. Lo spazio pubblico, che viene così lentamente
a porsi in modo autonomo tanto dalla sfera privata quanto dalla sfera del
potere, ovvero dello stato, della police e dell'amministrazione, è
lo spazio di una società che si vuole fondata non su criteri di rango e di
ceto, ma sulla condivisione di una comune umanità, su quell'astrazione da
considerazioni di status che governa il senso del tatto (Habermas
). Il pubblico dell'epoca dei Lumi, costituito da lettori di giornali, riviste
e pamphlets, rivendica la possibilità di un'opinione illuminata, capace
di superare le visioni particolaristiche e giungere ad una chiara percezione
dell'interesse generale. Esso concepisce se stesso come portare di un'opinione
che intende costituirsi a momento di discussione, verifica e regolazione
del potere, volto ad avvicinare il più possibile la volontà del legislatore
alla ragione emersa nella concorrenza pubblica di argomenti privati, in modo
che la legge risponda a criteri di generalità, universalità ed astrattezza.
Con Kant, in particolare, lo spazio pubblico
in cui le persone private fanno uso pubblico della loro ragione contro il
potere assolutistico assurge a condizione necessaria di una razionalizzazione
della politica in nome della morale.
Matteucci N., Opinione pubblica, in Bobbio N., Matteucci N., Pasquino G., Dizionario di politica, TEA, Milano 1990 (I ed. UTET, Torino 1983).
Sulla storia dell'opinione pubblica tra Seicento e Settecento:
Censer J., Popkin J. (a c. di), Press and Politics in Pre-Revolutionary France, Berkeley 1987.
Chartier R. The Cultural Origins of the French Revolution, Durham, NC, 1991.
Cowans J., To Speak for the people. Public Opinion and the Problem of Legitimacy in the French Revolution, Routledge, London 2001.
Farge A., Dire et mal dire. L'opinion publique au XVIIIeme siecle, Editions du Seuil, Paris 1992; tr. ingl., Subversive Words. Public Opinion in Eighteenth Century France, Pennsylvania University press, 1995.
Landes J. B., Women and the Public Sphere in the Age of hte French Revolution, Ithaca 1988.
Ozuf M., "Public Opinion" at the End of the Old Regime, in Blanning T. C. (a cura di), The Rise and Fall of the French Revolution, Chicago, 1996.
Plumb H. J., The Public, Literature, and the Arts in the Eighteenth Century, in M. R. Marrus (a cura di), The Emergence of Leisure, New York 1974.
Speier H., Historical Development of Public Opinion, "American Journal of Sociology", 55 (1950), pp. 380-388.
Sawyer J., Printed Poison: Pamphlet Propaganda, Faction Politics, and the Public Sphere in Early-Seventheenth-Century France, Berkeley 1990.
Zaret D., Origins of Democratic Culture. Printing, Petitions, and the Public Sphere in Early-Modern England, Princeton University Press, Princeton 2000.
Warner M.,The Letters of the Republic: Publication and the Public Sphere in Eighteenth-Century America, Cambridge University Press, Cambridge, MA, 1990.
Sulla coincidenza tra genesi della sfera pubblica e nascita della sfera privata:
Ariès P. e G. Duby (a c. di), Histoire de la vie privée, Editions du Seuil, Paris 19992, in particolare vol. III: De la Renaissance aux Lumières.
3. Alcune interpretazioni settecentesche
Il termine opinione pubblica, che entra nell'uso in Francia intorno alla
metà del Settecento e in Inghilterra intorno alla fine del Settecento (L'Oxford English Dictionary
registra il termine nel 1781), non può essere completamente scisso nel
suo destino - come sottolinea Habermas - dalle vicende sei-settecentesche
del concetto di "opinione". Un concetto questo strettamente connesso, a
cominciare da Locke, con quello di "reputazione"
o "credito", e che indica per questo un'opinione passata al vaglio della
società, e in questo senso si distingue dall'accezione puramente negativa
del pregiudizio soggettivo. L'aggiunta degli aggettivi "pubblica" o "generale"
segnala l'inizio di una prima divaricazione nell'uso del concetto, a seconda
che si voglia sottolineare con essa il carattere di immediatezza e di incontaminazione
del senso comune, tacitamente espresso dal popolo (da Rousseau
al Romanticismo), o la necessità di sottoporre l'opinione al vaglio di criteri
generali, di distinguere l'opinione illuminata, che chiama in causa il ruolo
dei dotti e dei filosofi, da un'opinione scaduta allo statuto di doxa
. In entrambi i casi l'argomentare all'interno della sfera pubblica sembra
per lo più nel Settecento mantenersi distinto dal ragionamento e dal metodo
scientifico, per indicare un tipo di sapere raggiungibile da individui ragionanti
e giudicanti a partire dal mero riconoscimento della loro comune appartenenza
al genere umano.
Dallo "Spectator" di Addison e Steele, che esalta la figura di Socrate
per aver ricondotto la filosofia tra gli uomini, al Kant del conflitto delle
facoltà, è compito della filosofia e non della scienza illuminare il pubblico,
ricordare agli uomini il dovere di esercitare la propria facoltà di giudizio
e ragione. Ciò non significa che non fosse sentita l'esigenza di integrare
le scienze stesse all'interno della sfera pubblica. Condorcet
è un esempio importante in questa direzione. Segretario dell'Accademia reale
delle scienze di Parigi, Condorcet vede nella pubblicità delle informazioni
e dei risultati raccolti dai singoli scienziati, nella discussione libera
e civile degli stessi, in piena libertà da qualsiasi tentativo di pressione
da parte del potere, i principi costitutivi della stessa comunità scientifica
(cfr. Bensaude Vincent). Proprio il pensiero
di Condorcet mostra, tuttavia, il difficile rapporto tra scienza e opinione
pubblica: se l'integrazione del sapere scientifico nella sfera pubblica è
necessaria per rivendicarne l'autonomia dal potere, altrettanto necessario
alla scienza pare a Condorcet saper resistere alle pressioni dell'opinione
popolare e considerare se stessa come il solo suo tribunale legittimo, una
posizione che profila un monopolio dell'opinione illuminata da parte della
scienza e vede scadere a pregiudizio l'opinione popolare.
Hennis W., Der Begriff des öffentlichen Meinung bei Rousseau, in "Archive für Rechts- und Sozialphilosophie", 43 (1957), pp. 111 sgg.
4. Ragione pubblica vs. opinione pubblica
Pensatori liberali come Bentham, Guizot e Constant
ai primi dell'Ottocento continuano a valutare positivamente la funzione
politica dell'opinione pubblica come strumento di controllo morale del potere,
e a considerare sufficiente per la formazione di una corretta opinione pubblica
la libertà di stampa e la pubblicità degli atti del governo, dell'amministrazione
e del Parlamento. Nello stesso periodo, tuttavia, l'idea della società civile
borghese come spazio di una comunicazione tra privati conforme a criteri
di generalità e astrattezza comincia ad essere oggetto di discussione da
prospettive diverse che tutte, però, sembrano partire dalla constatazione
delle contraddizioni interne al sistema economico inaugurato dalla borghesia.
Sono i conflitti che dilaniano la sfera degli scambi e del lavoro a rivelare
l'impossibilità di fare della società civile 'borghese' il luogo di mediazione
tra politica e morale, e della borghesia la classe portatrice di valori e
di interessi comuni.
Più che sostenere il diritto di ognuno di esercitare il proprio giudizio, Comte
afferma nella sua opera l'esigenza di formare una ragione pubblica mediante
la diffusione del sapere scientifico alle classi popolari. Lo spirito critico
illuminista che è servito a liberare il sapere dalla tutela teologica appare
ora a Comte un ostacolo per l'avvento della società positiva. Il dominio
dell'opinione pubblica deve sparire per lasciare spazio all'alleanza tra
classe proletaria e savants, un'alleanza volta a mantenere la scienza
legata alla concretezza del buon senso popolare per evitarne le degenerazioni
in senso analitico e dispersivo. Più che il dominio dei savants, quello
che Comte propone è - per Bensuade Vincent - il governo non dell'opinione
ma della "scienza popolare" che assurge a tribunale degli studi scientifici,
in modo da liberarli dalle controversie oziose che dividono gli scienziati,
da costringerli ad abbandonare un linguaggio spesso esoterico e ricordare
che compito della scienza positiva è "voir, pour prévoir, pour agir".
Più complessa e articolata è la visione hegeliana del concetto di opinione pubblica. In generale, si può dire che Hegel
ha dell'opinione pubblica una visione negativa, per la vuotezza, l'accidentalità,
la contraddittorietà dei contenuti soggettivi che la caratterizzano. L'opinione
pubblica non può raggiungere un punto di vista universale, né può essere
garanzia di verità, poiché essa ha un contenuto contradditorio che deriva
dal suo carattere fenomenico, così condizionato dal fatto di mescolare contingenza
e necessità. Tuttavia, l'opinione pubblica sembra poter essere superata,
nei suoi aspetti negativi, attraverso l'integrazione nella sfera 'oggettiva'
che è propria dello stato, incarnazione dello spirito nella realtà. Soltanto
lo stato, infatti, si innalza al di sopra dell'opinione soggettiva e si eleva
a scienza, a ragione pubblica. Distaccandosi e superando la contingenza delle
visioni soggettive proprie dell'opinione pubblica, lo stato può salvare se
stesso e la società civile dalla disgregazione e dalla disorganizzazione.
Questo superamento porta con sé un momento di mediazione: non è possibile
dimenticare, infatti, che l'opinione pubblica ritorna all'interno del momento
di formazione della volontà legislativa nella sfera dello stato. Essa non
è, cioè, solo la "public opinion" della società civile, ma anche una "legislative
public opinion" - secondo la distinzione che proporrà in seguito Dicey.
Nell'assemblea degli 'stati' (Stände), dove i rappresentanti sono
rappresentanti di "sfere essenziali della società", la "pubblicità" della
discussione consente all'opinione pubblica di decantare l'elemento soggettivo
per avvicinarsi ad una maggiore comprensione dell'universale (Hegel 1990
, § 315). Gli stati appaiono così un elemento fondamentale di raccordo tra
le istituzioni statali e una società civile che non è riducibile al solo
momento del sistema dei bisogni e dell'economia politica - secondo un'intepretazione semplificante, ma a lungo invalsa sulla scorta della lettura di Marx (Marini 1979).
In Marx alla semplificazione del momento della
società civile corrisponderà una liquidazione di ogni valore positivo dell'idea
stessa di pubblicità e di opinione pubblica, concepite quali maschere dietro
le quali la borghesia cela, anche a se stessa, il carattere del proprio dominio.
L'attenzione hegeliana per il significato e il ruolo "culturale" della società civile ritornerà in Gramsci, il quale riconoscerà come parte del momento sovrastrutturale tanto lo stato quanto la società civile (Bobbio 1990
, p. 49). Rifacendosi esplicitamente a Hegel, e non a Marx, Gramsci parlerà
della società civile "nel senso di egemonia politica e culturale di un gruppo
sociale sull'intera società, come contenuto etico dello stato" (cit. ivi,
p. 50).
Hegel G. W. F., Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Laterza, Roma-Bari 19992.
Dicey A. V., Diritto e opinione pubblica nell'Inghilterra dell'Ottocento, presentazione di M. Barberis, Il Mulino, Bologna 1997.
Su Hegel e Gramsci in modo particolare:
Bavaresco A., La Phénomélogie de l'opinion publique. La théorie hégélienne, L'Hartmattan, Paris 2000.
Bobbio N., La società civile in Gramsci, in Id., Saggi su Gramsci, Feltrinelli, Milano 1990.
Marini G., Struttura e significati della società civile hegeliana in C. Cesa, Il pensiero politico di Hegel, Laterza, Bari 1979, pp. 59-82.
Id., Libertà soggettiva e libertà oggettiva nella filosofia del diritto di hegeliana, Morano, Napoli 19902.
5. Le scienze sociali e l'opinione pubblica 
Il terreno per quell'opera di demistificazione dell'opinione pubblica che
avrà luogo a cominciare dalla fine dell'Ottocento, si considera in genere
preparato da autori come Tocqueville e J. S. Mill
. Se il potere conquistato dall'opinione pubblica rappresentava per i pensatori
illuministi la fine del regno della coercizione e della violenza e l'avvento
del governo per mezzo dell'argomentazione e della persuasione, per Tocqueville
e Mill, il dominio dell'opinione ha una sua specifica forza coercitiva. Dire
che l'opinione pubblica governa il mondo equivale ora a dire che la massa
e la generale mediocrità esercita una costante violenza morale sulle minoranze.
Da strumento di emancipazione l'opinione pubblica, non più emanazione del
pubblico di privati colti del Settecento, ma di una massa amorfa e indifferenziata,
sembra divenire strumento d'integrazione piuttosto che di critica.
A segnare l'inizio del processo di degenerazione della sfera pubblica è,
secondo Habermas, la trasformazione della società civile intervenuta alla
fine del XIX secolo con il declino dell'autonomia del sociale sulla spinta
dell'interventismo statale, richiesto dall'ingresso della massa nella vita
politica e da una nuova fase dello sviluppo capitalistico. Con l'invasione
della società da parte del momento amministrativo-statuale si ridisegnano
anche i rapporti tra pubblico e privato, con fenomeni quali la pubblicizzazione della vita privata e la privatizzazione della sfera pubblica
. Un'ulteriore spinta alla degradazione della sfera pubblica, a cominciare
da quello stesso periodo, viene dal progressivo assoggettamento della stampa
e dell'editoria alle leggi di un mercato di massa, che si riflette nel generale
abbassamento del livello culturale dei giornali e dei periodici, e nella
tendenza alla spoliticizzazione dei messaggi da essi veicolati.
Sono,
tuttavia, le scienze sociali tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo
a sferrare l'attacco più duro contro il concetto settecentesco di opinione
pubblica. La psicologia sociale di Sighele, Tarde, Le Bon, McDougall, il behaviorismo di Watson e le analisi della democrazia di autori come Bryce e Ostrogorsky
concorrono a ridefinire i limiti dei governi democratici proprio a partire
dalla difficoltà di tenuta dell'idea di un'opinione pubblica critica o illuminata.
Tra questi protagonisti delle scienze sociali della fine del XIX
secolo, un posto particolare nella storia del concetto di opinione pubblica
va riconosciuto senz'altro a Tarde. Distaccandosi
da quello che era allora l'orientamento scientifico prevalente, Tarde sarà
il primo a distinguere il fenomeno della folla da quello del pubblico e ad
individuare in quest'ultimo il vero protagonista della storia avvenire, ricollegandone
la forza e l'espansione alla diffussione sempre più universale della stampa.
La sua valutazione del fenomeno è interessante per le ambivalenze che egli
tende a sottolineare: da un lato infatti rintraccia nel pubblico gli stessi
meccanismi di imitazione e di suggestione attivi nelle folle, dall'altro
ne evidenza il carattere maggiormente riflessivo (il lettore di giornale
si trova da solo di fronte alla pagina stampata) e frammentario (si può appartenere
contemporaneamente ad una molteplicità di pubblici). Per questi aspetti il
pubblico rappresenta, agli occhi di Tarde, una forma di socialità più evoluta
rispetto alla folla: è il suo carattere di fenomeno intellettuale a lasciare
spazio ad una valutazione non necessariamente negativa (sebbene Tarde parli
tanto della possibilità di "folle criminali" quanto di quella di "pubblici
criminali"). Nel capitolo dedicato a L'opinione e la conversazione, contenuto in L'opinion e la foule (Tarde 1901),
Tarde mostra l'interazione positiva che può crearsi tra stampa e spazi di
socialità come i caffè, i salotti e i clubs, lasciando al lettore l'impressione
che nel suo discorso non si sia ancora compiuto l'abbandono definitivo di
un concetto normativo e qualitativo di opinione pubblica (cfr. Katz, 1992 e Hunter 1998
). Si tratta, tuttavia, di un capitolo sul quale non si soffermano le interpretazioni
più tradizionali del contributo di Tarde (v. per esempio l'introduzione di
Reynié, in Tarde, 1989), che indugiano puttosto
sul ruolo che egli ha avuto nell'aprire la strada all'introduzione delle
tecniche di misurazione dell'opinione pubblica attraverso i sondaggi.
Lo sviluppo degli studi psicologico-sociali sull'opinione pubblica coincide,
in effetti, con l'apparizione dell'uso dei sondaggi di opinione, ovvero con
il tentativo di quantificare e misurare l'opinione a partire da una suddivisione
in gruppi del pubblico e dall'individuazione di campioni rappresentativi.
Sviluppatasi nell'ambito delle ricerche di mercato sui gusti e le preferenze
dei consumatori alla fine del XIX secolo, la tecnica del sondaggio d'opinione
comincia a venire utilizzata nel campo delle previsioni elettorali intorno
agli anni venti. È George Gallup, nel 1935,
a decidere del metodo e della finalità dei sondaggi con la creazione dell'istituto
americano dell'opinione pubblica (cfr. J. Zask, 1999
, p. 109). Con la previsione riuscita della rielezione di Roosevelt alla
presidenza nel 1936 il metodo Gallup, e con esso i sondaggi effettuati mediante
campioni rappresentativi, ottenne un vero e proprio trionfo. Nel 1938, i
primi sondaggi d'opinione furono effettuati anche in Francia da Jean Stoetzel. A quest'ultimo si deve, oltre all'invenzione del termine sondage, la fondazione dell'Institut français d'Opinion Publique.
Con l'introduzione dei sondaggi il concetto di opinione pubblica viene a designare - come suggerisce Ferry
- "una massa segmentata di pareri che esprimono interessi privati vale a
dire conflittuali. È, infatti, a partire da questa nozione di opinione pubblica
che operano i grandi istituti per i sondaggi". Molti studi contemporanei
sottolineano il carattere manipolatorio dei sondaggi di opinione: la loro
regolare periodica pubblicazione costituirebbe, secondo alcuni (ma la questione
rimane controversa), un vero e proprio fattore continuativo d'interferenza
e distorsione della comunicazione (cfr. Bourdieu 1984 ).
Sugli argomenti qui trattati, in generale:
Bryce J.,The American Commonwealth, vol. 2, parte V: Public Opinion, MacMillan, New York 1898.
Katz E., On Parenting a paradigm: Gabriel Tarde agenda for opinion and communication research, "International Journal of Public Opinion Research", 4 (1992), pp. 80-85.
Park R., La folla e il pubblico (1904), a cura di R. Rauty, Armando, Roma 1996.
Tarde G., L'opinion et la foule, a cura di D. Reynié, Presses Universitaires de France, Paris 1989.
Wilson F., James Bryce on Public Opinion: Fifty Years Later, "Public Opinion Quarterly", 3 (1939), pp. 420-435.
Zask J., L'opinion public et son double, Livre I: L'opinion sondée, L'Harmattan, Paris 1999.
Sui sondaggi:
Beniger J. R., The Impact of Polling on Public Opinion: Reconciling Foucault, Habermas and Bourdieu, " International Journal of Public Opinion Research", n. 3 (1992).
Blondiaux L., La fabrique de l'opinion: une histoire sociale du sondage, Seuil, Paris 1998.
Bourdieu P., L'opinion publique n'existe pas, in Id., Questions de sociologie, Les Editions des Minuit, Paris 1984.
Ferry J.-M., Les transformations de la publicité politique, "Hermés", 4 (1989), pp. 15-42.
Gallup G., A Guide to Public Opinion Polls, Princeton University Press, Princeton 1944.
ID., The Changing Climate for Public Opinion Research, "Public Opinion Quarterly", 21, 1 (1957), pp. 23-27.
S. Herbst, Numbered Voices: How Opinion Polling has Shaped American Politics, University of Chicago Press, 1995.
Lewis J., Constructing Public Opinion, Columbia University Press, 2001.
Stoetzel J. e Girard A., Les sondages d'opinion publique, Presses Universitaires de France, Paris 1973.
6. Lippmann e il pubblico fantasma
Public Opinion (1921) e The Phantom Public (1925) di Walter Lippmann
sono esemplificativi del pessimismo diffuso nelle scienze sociali americane
all'inizio del Novecento. Queste due opere costituiscono in qualche misura
l'esempio più significativo del legame tra critica del concetto di opinione
pubblica e abbandono della c.d. "visione classica della democrazia". Lippmann,
profondamente influenzato dalla psicologia delle folle, denuncia il carattere
illusorio della capacità attribuita all'opinione pubblica di funzionare come
principio regolatore e decisionale degli affari comuni. Public Opinion
prende l'avvio da un problema gnoseologico: l'essere umano non ha una conoscenza
immediata, diretta, dell'ambiente, si rapporta ad esso attraverso finzioni
(fictions), rappresentazioni. L'efficacia dell'azione umana dipende
dalla relazione esistente fra le nostre rappresentazioni mentali e il mondo
esterno ("The pictures in our heads and the world outside"). Siamo condannati a guardare le cose attraverso stereotipi ("stereotypes"), che sono sempre semplificazioni, e insieme distorsioni, di una realtà che è impossibile cogliere nella sua complessità.
Da queste considerazioni Lippmann trae il "nocciolo" della sua tesi: "...
la democrazia, nella sua forma originaria non ha mai seriamente affrontato
il problema derivante dalla non automatica corrispondenza delle immagini,
che gli individui hanno nella loro mente, alla realtà del mondo esterno"
(Lippmann 1965, p. 31). In altre
parole le teorie democratiche non hanno tenuto conto del fatto che non siamo
in grado - se non limitatamente ad una quantità veramente irrisoria di questioni
- di stabilire con certezza la verità o la falsità di un'affermazione. Ciò
è tanto più vero nel caso del cittadino delle società contemporanee, nelle
quali gli avvenimenti sono talmente complessi, e accadono con tale velocità,
per cui il controllo e la conoscenza dell'individuo sui singoli eventi sono
nella maggior parte dei casi nulli. Con una frase sintetica, ma efficace,
Lippmann così dipinge la condizione dell'uomo moderno: "He lives in a world which he cannot see, does not understand and is unable to direct
" (Lippmann 1925, p. 14). Niente è più lontanto dell'individuo contemporaneo,
sostiene Lippmann, da quell'immagine del cittadino onnicompetente che sta
alla base della teoria classica della democrazia. L'opinione pubblica è una
finzione, un "fantasma" - come ricorda il titolo della sua opera del 1925,
The Phantom Public: i cittadini non conoscono e non sono in grado
di conoscere e penetrare la sostanza delle questioni politiche; l'opinione
pubblica non governa, non può governare, e in ultima analisi, per Lippmann,
è indesiderabile che governi. "When public opinion attempt to govern - scrive infatti - it is either a failure or a tiranny" (ivi, pp. 70-71).
L'autore di Public Opinion auspica dunque un dominio degli esperti,
dei filosofi 'platonici', capaci di uscire dalla caverna, di giudicare gli
interessi comuni con maggiore obiettività, e di dirigere la cosa pubblica
con maggiore efficienza. Lippmann - come è tipico delle teorie democratico-elitiste
- ritiene che i cittadini siano più interessati agli outputs del sistema
politico che alla partecipazione alle decisioni; che la struttura élites-massa
sia ineliminabile nelle società complesse; che l'apatia dell'opinione pubblica
sia uno stato naturale. Nel mondo contemporaneo, "sconfinato e indefinibile",
non si possono non considerare illusori, secondo l'autore di Public Opinion
, i tentativi di riproporre una teoria partecipativa della democrazia, magari
facendo appello al rimedio tradizionale dell'educazione, o proponendo nuove
forme partecipative, come nel caso del socialismo gildista. Eccessiva, per
Lippmann, è anche la fiducia che i teorici democratici nutrono nel ruolo
obiettivo ed informativo della stampa: i giornali danno occhiate fuggitive
sul mondo, illuminano alcuni luoghi, ne lasciano altri nell'oscurità e spesso
la luce segue indirizzi che nulla hanno a che fare con la razionalità, o
la ricerca della verità. I giornali, infatti, - sostiene Lippmann in Liberty and the News
(1920) e poi nelle due opere sull'opinione pubblica - sono legati alle leggi
del mercato, devono soddisfare i gusti e le esigenze di un pubblico e di
un padrone.
Lippmann W., Public Opinion (1921); tr. it., Opinione pubblica, Edizioni di Comunità, Milano 1965 e Donzelli, Roma 1995.
ID., Phantom Public, Harcourt and Brace, New York 1925.
7. Dewey e la ricostruzione del pubblico
La lettura di Public Opinion e di The Phantom Public è all'origine della stesura di The Public and its Problems (1927) di John Dewey
, stesura preceduta da due lunghe recensioni dedicate alle opere di Lippmann.
Sul piano descrittivo Dewey condivide il pessimismo di Lippmann, a cominciare
dalla difficoltà di individuare nella democrazia americana un pubblico: "Se
un pubblico esiste - scrive Dewey - è certamente così poco sicuro di dove
esso stesso stia quanto lo sono stati i filosofi, dopo Hume, di dove stia
l'io e della sua struttura" (Dewey 1979, p. 92).
Qual è la realtà politica americana? In The Public and its Problems
viene descritta con tratti altrettanto impietosi e realistici di quelli
usati da Lippmann. Il corpo elettorale è assenteista, disinteressato, deresponsabilizzato,
scettico sull'efficacia del diritto di voto. L'indifferenza del cittadino
per la politica viene attribuita realisticamente non solo a mancanza di volontà
e di virtù civica, ma ad oggettive difficoltà derivanti da due fattori principali:
la complessità delle società contemporanee; la presenza di una molteplicità
di interessi concorrenti con l'interesse politico. "L'uomo - si legge in
The Public and its Problems - non è solo un animale politico, ma anche un consumatore e uno che ama svagarsi
" (ivi, p. 109). Il cittadino delle società contemporanee ha poco tempo da
dedicare alle faccende politiche, e il più delle volte si trova in imbarazzo
quando deve decidere su questioni pubbliche che richiederebbero una competenza
tecnica. "L'apatia politica, che è un prodotto naturale delle discrepanze
esistenti fra realtà attuale e meccanismo tradizionale - scrive Dewey -
deriva dall'incapacità di identificarsi con precise istanze. Queste sono
difficili da trovare e da situare nelle vaste complessità della vita corrente
... Gli uomini si sentono presi nel vortice di forze troppo grandi per capirle
e dominarle. Il pensiero è costretto ad arrestarsi e l'azione ne è bloccata
" (ivi, p. 106). Per l'uomo comune la "realtà predominante" - per dirla
prendendo in prestito il lessico della fenomenologia di Schütz
- è, infatti, rappresentata dal mondo della vita quotidiana, dagli interessi
privati, dal lavoro, dallo svago. Al di fuori di questa "regione definita
di senso" la nostra attenzione alla vita è in genere insufficiente perché
ci si possa esprimere con competenza sulle questioni di carattere pubblico.
A differenza di Lippmann e della psicologia sociale del tempo,
Dewey non considera la scomparsa del pubblico e il predominio delle élite
un dato connesso a limiti costitutivi della natura umana.
La concezione democratico-elitista sostenuta da Lippmann, secondo Dewey, "...
parte dal presupposto che la politica degli esperti debba essere nel complesso
saggia e benevola, ossia elaborata in modo da tutelare gli interessi genuini
della società". Ma una classe specializzata "in assenza di
una voce articolata da parte delle masse" rischia sempre di "rimaner tagliata
fuori dalla conoscenza delle esigenze che si suppone essi debbano servire."
(ivi, p. 161). Dewey ritiene opportuno, inoltre, distinguere le capacità
dell'esperto da quelle necessarie al buon cittadino per poter giudicare su
argomenti di interesse comune (ivi, p. 163). L'esperto, la cui conoscenza
è chiara e distinta ma anche ristretta ad un campo limitato, non può aspirare
a quella visione universale ed obiettiva della realtà che Lippmann gli attribuisce.
Anche l'esperto è chiuso all'interno di una caverna e la sua visione della
realtà è chiara e distinta solo limitatamente ad una porzione ristretta
di mondo.
La democrazia, d'altra parte, per Dewey, non è solo un
metodo per la scelta dei leader politici, essa ha un valore formativo e morale.
Il dato decisivo in un regime democratico è "...
come la maggioranza diventa tale: ossia i dibattiti che precedono la votazione,
la modifica di un indirizzo per venire incontro alle opinioni delle minoranze
che, avendo la possibilità di divenire maggioranza, potranno diventarlo la
volta successiva" (ivi, p. 162). Compito fondamentale di un
regime democratico è allora fornire le condizioni affinché l'uomo della strada
possa divenire "cittadino ben informato". Se è vero, infatti, che l'idea
dell'individuo onnicompetente, presupposta dalla teoria democratica classica,
è un'illusione, è necessario ricordare, secondo Dewey, che "la facoltà di
osservare, riflettere, e desiderare efficacemente, è un'abitudine acquisita
sotto l'influenza della civiltà e delle istituzioni, e non già una capacità
innata bell'e pronta" (ivi, p. 124). Solo una piccola parte del nostro bagaglio
di conoscenze è ottenuto attraverso la nostra esperienza personale diretta,
la maggior parte delle nostre cognizioni attuali o potenziali sono - come
direbbe Schütz - "conoscenza socialmente derivata". I nostri stessi sistemi
di rilevanza sono in gran parte influenzati socialmente. La formazione di
un buon cittadino democratico dipende, dunque, dalle possibilità che egli
ha di entrare in possesso e di acquisire consapevolezza di un fondo comune
di conoscenza. Ciò riconduce al più generale problema delle condizioni per
una riorganizzazione del pubblico.
Come l'io e il mio emergono
dal flusso indifferenziato dell'esperienza allorché si rivendica "coscientemente
una partecipazione distinta ad un'azione reciproca", così - scrive Dewey
- un noi consapevole e cosciente si dà soltanto quando "si percepiscono le
conseguenze di un'azione combinata e quando queste diventano un oggetto di
desiderio e di sforzo" (ivi, p. 119). Per riuscire ad operare e a desiderare
il perseguimento di un'azione comune il pubblico, o meglio i pubblici democratici,
devono preliminarmente riconoscere la propria esistenza ed avere un'idea
del valore che potrebbe rivestire la loro azione. Ciò richiede lo spazio
per un'interpretazione simbolica dell'attività comune nella quale i pubblici
sono coinvolti, interpretazione necessaria per un'articolazione degli interessi
condivisi dal gruppo.
Quanto più ristretto è il numero di coloro
che concorrono alla definizione del noi, tanto più facilmente potrà darsi
il caso di gruppi e associazioni che non vi si riconoscono e che sono frustrati
nella ricerca della loro identità. L'estensione del numero di associazioni
coinvolte nelle decisioni pubbliche è fondamentale per comprendere se le
conseguenze indirette e durevoli delle azioni individuali che vengono prese
seriamente in considerazione corrispondono agli interessi generali. Il persistere
di stati di privilegio può condizionare in modo distorcente la definizione
della sfera delle questioni di interesse pubblico: "... all special privilege
narrows the outlook of those who possess it, as well as limits the development
of those not having it. A very considerable portion
of what is regarded as the inherent selfishness of mankind is the product
of an inequitable distribution of power - inequitable because
it shuts out some from the conditions which evoke and direct their capacities,
while it produces a one-sided growth in those who have privilege. Much of
the alleged unchangeableness of human nature signifies only that as long
as social conditions are static and distribute opportunity unevenly, it is
absurd to expect change in men's desires and aspirations. ... The intellectual
blindness caused by privileged and monopolistic possession is made evident
in 'rationalisation' of the misery and cultural degradation of others which
attend its existence. ... There is no favoured class in history which as
not suffered from distorted ideas and ideals, just as the deprived classes
suffered from inertia and underdevelopment" (Dewey-Tuft, 1932, pp. 347-348).
Solo con il passaggio dalla Great Society alla Great Community
sarà possibile, per Dewey, un vero risveglio del pubblico. Ma cos'è la grande
comunità? Essa è, per Dewey, un ideale regolativo: l'ideale di una società
democratica in cui non vi siano ostacoli alla comunicazione umana. La prima
barriera alla comunicazione è la limitazione della diffusione delle notizie:
"Non può esservi pubblico - scrive, infatti, Dewey - senza una piena pubblicità rispetto a tutte le conseguenze che lo riguardano
. Tutto quello che ostacola e limita la pubblicità, infrena e distrae l'opinione
pubblica e ostacola e storna la riflessione sulle questioni sociali" (Dewey
1927, p. 131). All'interno della grande comunità nessuno deve essere in grado
di monopolizzare la conversazione pubblica. Come scrive in German Philosophy and Politics
, devono essere abbattute le barriere geografiche, di razza e di classe che
impediscono o distorcono la comunicazione. Altrettanto importante è provvedere
all'eliminazione di quelle restrizioni più insidiose e invisibili che a Dewey
appaiono come il portato di una vita economica competitiva che distoglie
le energie e l'attenzione individuale dalle questioni pubbliche.
Dewey si distacca decisamente dal pessimismo lippmanniano sui meccanismi di informazione. Già nella recensione a Public Opinion, anticipando argomentazioni successivamente sviluppate in The Public and its Problems
, osserva: "Mr Lippmann seems to surrender the case for press too readily
- to assume too easily that what the press is it must continue to be. It
is true that news must deal with events rather than with conditions and forces.
It is true that the latter, taken by themselves, are too remote and abstract
to make an appeal. Their record will be too dull and unsensational to reach
the mass of readers. But there remains the possibility of treating news events
in the light of a continuing study and record of underlying conditions. The
union of social science, access to facts, and the art of literary presentation
is not an easy thing to achieve. But its attainment seems to me the only
genuine solution of the problem of an intelligent direction of social life"
(Dewey, 1922, p. 343). La difficoltà di rendere accessibile ad un vasto pubblico
conoscenze di carattere tecnico-scientifico sarebbe risolvibile, secondo
Dewey, mediante uno sforzo teso al perfezionamento dei meccanismi di comunicazione
e alla creazione di nuovi segni e simboli capaci di maggiore forza comunicativa.
Tra le strategie per giungere alla creazione della Grande Comunità, la prima,
relativa alla diffusione dell'informazione e della conoscenza, presuppone
un tipo umano mentalmente flessibile, dotato di "un'intelligenza efficiente".
Tale strategia funziona per Dewey solo a condizione che contemporaneamente
vengano recuperati spazi per forme di relazione analoghi a quelli che vigevano
nella comunità di vicini, laddove cioè le idee e le informazioni, trasmesse
a mezzo stampa, potevano entrare nella discussione con gli amici, coi parenti,
con i colleghi. Solo nella conversazione, infatti, le idee diventano vive
e partecipate.
Dewey esprime la distanza esistente fra un foglio stampato e una conversazione con la metafora dell'occhio e dell'udito
: "L'orecchio è ben più pronto ad entrare in contatto stretto e vario con
un pensiero e un sentimento capaci di esternarsi in maniera vitale di quanto
non lo sia l'occhio. La vista è spettatrice; l'udito è partecipante" (Dewey
1979, p. 170). L'informazione diffusa attraverso la stampa, dunque, è tanto
più efficace quanto più esistono contesti sociali che consentano ai singoli
di trasformare le notizie stampate in vivi oggetti di conversazione.
Ricreare le comunità di vicini non significa regredire alla antica vita
comunitaria: la Grande Società non consente ritorni al passato, i mutamenti
che essa ha portato sono irreversibili. Se sarà possibile una transizione
alla Grande Comunità, non corrisponderà ad una restaurazione dell'antico.
Se la Great Community non ripristina la vita e i legami locali
che nel passato hanno reso ricca e significativa l'esistenza individuale,
non per questo risulta meno desiderabile della piccola comunità. Anzi,
Dewey sostiene chiaramente che la Grande Comunità "manifesterà una pienezza,
una varietà e una libertà di possesso e di godimento di significati e di
beni che le associazioni contigue, del passato, non hanno mai conosciuto.
Essa sarà infatti, non solo viva e flessibile, ma anche stabile, aperta alla
situazione complessa e vastissima in cui si trova coinvolta. Pur essendo
locale non sarà isolata" (ivi, p. 168).
L'obiettivo della Grande
Comunità può apparire regressivo solo se si trascura che per Dewey essa deve
mirare a consolidare un traguardo innegabilmente raggiunto con il passaggio
dalla comunità tradizionale alla Grande Società: l'emancipazione dell'individuo.
La comunità del passato esclude la presenza di individui autonomi e indipendenti,
a rigore si potrebbe dire che essa esclude qualsiasi questione di identità.
L'idea della Great Community nasce invece dal problema di creare
condizioni esistenziali che facilitino la crescita di individui autonomi,
critici, capaci di fronteggiare le tensioni di un multiple self inevitabile riflesso di una multiple society.
La riflessione di Dewey sulle condizioni che potrebbero consentire una rinascita del public
ha avuto un'indubbia influenza su Habermas. Dewey, in ogni caso, non avrebbe,
probabilmente, condiviso l'idea habermasiana di "di un momento trascendentale
di validità universale": egli appare, infatti, piuttosto, volto a ritrovare,
all'interno delle singole, concrete, situazioni problematiche che necessitano
l'intervento di un'azione comune, un momento di mediazione tra convinzioni
e argomentazioni, in un dialogo tra sapere comune, filosofia e scienza.
Dewey J., Review of 'Public Opinion' by Walter Lippmann(1922), in Dewey J., The Middle Works, 1899-1924, vol. 13, 1921-1922, a cura di J. A. Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale, pp. 337-343.
ID., Practical Democracy, review of The Phantom Public (1925), in Dewey J., The Later Works, 1925-1927, a cura di J. A. Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale, pp. 213-225.
ID., The Public and its Problems (1927); tr. it. Comunità e potere, La Nuova Italia, Firenze, 1979.
ID. e J. Tufts, Ethics (1932), in ID., Later Works, cit., vol. 7.
Schultz T., Die "Grosse Gemeinschaft". Kommunikation, Demokratie und Öffentlichkeit im Pragmatismus von John Dewey, Verlag Die Blaue Eule 2001.
Zask J., L'opinion public et son double, Livre II : John Dewey, philosophe du public, L'Harmattan, Paris 1999.
Works about Dewey, a c. del Center for Dewey Studies.
8. Nuovi spazi per la formazione dell'opinione
Se il discredito dell'opinione pubblica è, in parte, dovuto alla fiducia
nel sapere scientifico, alcuni dei tentativi contemporanei di rivalutare
lo spazio del doxazein, come terzo rispetto alla doxa e all'episteme, secondo la formulazione di Ricoeur
, ovvero come spazio del probabile, sono certamente da ricondurre alle difficoltà
in cui si trova il linguaggio scientifico quando si tratta di affrontare
questioni che sono legate in particolare all'inizio e alla fine della vita.
Il linguaggio scientifico dimostra in questi ambiti, e, più in generale,
nell'ambito politico - come sottolinea Arendt
- una carenza di potere comunicativo. Esso tende infatti a nascondere, e
talvolta a negare, che le pratiche scientifiche implicano scelte di valore.
Il programma di un dialogo tra esperti e opinione pubblica, tra le esigenze
di un'istanza critica e la forza delle convinzioni diffuse, ha trovato una
qualche forma di realizzazione con la creazione di comitati di bioetica e
nei movimenti associativi impegnativi in ambito ecologico. Sebbene il ruolo
dei comitati etici rimanga controverso, il modello comunicativo al quale
essi si ispirano è quello di uno spazio pubblico che implica un confronto
paritario tra sapere ordinario, derivante dal vissuto del malato o del cittadino
ordinario, e saperi esperti di vario genere, anche di tipo umanistico.
Tentativi di rivitalizzare l'opinione pubblica a traverso una forma di socialità
vicina a quella del caffé settecentesco paiono possibili ad alcuni grazie
a Internet. Anche in questo caso, tuttavia, le interpretazioni rimangono
tutt'altro che concordanti (Hunter):
Internet è infatti sia un potente strumento di raccolta e quantificazione
delle opinioni, sia un potenziale spazio per esperimenti di dialogo, in condizioni
di eguaglianza, tra privati uniti da comuni interessi generali. È vero d'altra
parte, che, se nessuna sfera pubblica è completamente inclusiva, Internet
rimane, almeno nella fase attuale, accessibile ad un pubblico ristretto.
L'elemento positivo proprio del cyberspazio è la sua capacità di dar luogo
ad una forma di comunicazione interattiva in cui, non più la massa, ma un
insieme di "diverse singolarità" può "comunicare a partire da proprie prospettive"
(Cristante, 2001, p. 45). Proprio l'apertura a una comunicazione onnidirezionale
sembra consentire, attraverso Internet, spazi inediti di democrazia (Lévy, Rodotà, Scheer).
"Boston Review" (Summer 2001), New Democracy Forum: Is the Internet Bad for Democracy? (articoli di C. Sunstein, J. Rosen, S. Garfinkel, M. Shuolson, S. Iyengar, H. Jenkins, R. W. McChesney).
"The CPSR Newsletter", vol. 18, n. 3 (Summer 2000): numero dedicato al futuro dello cyberspazio come "sfera pubblica".
Dean J., Cybersalons and Civil Society: Rethinking the Public Sphere in Transnational Technoculture, "Public Culture", 13 (Summer 2001).
Hunter C., The Internet and the Public Sphere (1998).
Joohan K., On the interactions of News Media, Interpersonal Communication,
Opinion Formation, and Participation: Deliberative Democracy and the Public
Sphere, Dissertation.com 1997.
Lévy P., L'intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1996.
Plake K., Jansen D., Schuhmacher B., Öffentlichkeit und Gegenöffentlichkeit im Internet. Politische Potentiale der Medienentwicklung, Westdeutscher Verlag, 2001.
Rodotà S., Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Bari 1997.
Scheer L., La democrazia virtuale, Costa & Nolan, Genova 1997.
* Ringrazio
il dr. Nico De Federicis e la prof.ssa Maria Chiara Pievatolo per gli utili
suggerimenti sulla parte relativa a Hegel e a Gramsci.
Altre indicazioni bibliografiche generali
Riviste in rete
Public Opinion Quarterly
International Journal of Public Opinion Research