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Ultimo aggiornamento 20 marzo 2002

Brunella Casalini *

Opinione pubblica
Appunti sulla storia e sulla crisi di un concetto






Introdotto dal lessico politico moderno, il concetto di opinione pubblica attraversa oggi una fase critica, tale da metterne in forse l'utilità euristica. Infatti, è l'oggetto stesso a cui esso si riferisce ad apparire dubbio, se non "addirittura inesistente" (Luhmann). Ciò sebbene sul piano del linguaggio corrente l'espressione "opinione pubblica" appaia "in perenne crescita di utilizzo", venendo declinata dai media o come sinonimo di "pubblico di massa", o come " processo di 'presa della maggioranza' ", o ancora, utilizzata per indicare l'intreccio tra "comunicazioni intensive provenienti dai media e azioni di gruppi di interesse - come nella frase: "Sotto le pressioni dell'opinione pubblica il tale decreto è stato ritirato dal governo" - (Cristante, 2001, pp. 38-39).

Senza alcuna pretesa di esaustività, si offrono qui alcuni cenni sulla genesi dell'opinione pubblica, sulle sue trasformazioni e sulle molteplici teorie e interpretazioni che ne hanno segnato la storia.

Cristante S., Azzardo e conflitto. Indagini sull'opinione pubblica nell'era della comunicazione globale, Manni, Lecce 2001.



1. Un quadro della situazione teorica attualetorna all'indice

Se Hobbes condannava l'opinione pubblica in quanto portatrice di anarchia e di divisione, gli studi contemporanei sembrano concentrarsi soprattutto sulla sua funzione conformistica e omologante. Per Noelle-Neumann , autrice della teoria psicologico-sociale della c.d. "spirale del silenzio", l'opinione pubblica funziona in primo luogo come attivatore di meccanismi di integrazione sociale: "opinioni pubbliche - scrive infatti - sono quelle opinioni rientranti nella sfera del controverso che si possono esprimere in pubblico senza correre il rischio di venire isolati" (Noelle-Neumann, 1979, p. 150) .
Nelle visioni più pessimistiche, d'altra parte, l'opinione pubblica altro non sarebbe che il prodotto della fabbrica del consenso (Chomsky; Zaller ): essa è il risultato di un consumo di messaggi mediali che si avvalgono a fini manipolatori delle stesse tecniche pubblicitarie utilizzate sul mercato delle merci non culturali.
Proprio il carattere "opinabile" dell'opinione pubblica ne costituirebbe il tratto negativo e inaffidabile. In quanto doxa e non episteme l'opinione non avrebbe alcun valore di verità. Il concetto d'opinione pubblica, da questo punto di vista, sembra scontare ancora quella contrapposizione tra scienza e opinione il cui luogo classico è il V libro della Repubblica di Platone.

Con l'avvento della democrazia di massa e con la comparsa sulla scena di nuovi mezzi di comunicazione, quali la televisione, e di strumenti di misurazione dell'opinione, come i sondaggi, il campo della ricerca sull'opinione pubblica appare monopolizzato da studi empirico-quantitativi e dai Communication Studies , impegnati nella valutazione dell'effettiva capacità dei media di influenzare le scelte e le preferenze dei cittadini-consumatori. Significativa, sotto questo profilo, è l'ipotesi dell'agenda setting, secondo la quale i media hanno la funzione di strutturare il quadro all'interno del quale va a posarsi l'attenzione dei fruitori dei mezzi di comunicazione, più che il loro stesso modo di pensare (McCombs e Shaw).

L'esaurimento del concetto classico di opinione pubblica è sottolineato anche da Luhmann , per il quale con la progressiva differenziazione funzionale prodotta dalla modernità essa non può più essere concepita come strumento di pubblicità e di controllo del potere. Persa la propria funzione di giudice, all'interno della teoria dei sistemi l'opinione pubblica assume quella di "strumento ausiliario di selezione", di riduzione della contingenza: essa svolge il compito di delimitare i temi di comunicazione, "la cui presupponibilità limita la discrezionalità di ciò che è politicamente possibile" (Luhmann, 1978
).
Quanti sul versante filosofico-politico credono che la democrazia non possa fare a meno di un momento di comunicazione e riflessione critica, autonomo rispetto alla dimensione statuale, e insieme capace di innalzarsi al di sopra di visioni particolaristiche, preferiscono spesso abbandonare del tutto il concetto di "opinione pubblica", per parlare piuttosto di "spazio pubblico" e delle condizioni per una comunicazione critica (Privitera).


Sulla teoria dell'opinione pubblica di Noelle-Neumann:

Noelle-Neumann E., The Spiral of Silence: A Theory of Public Opinion, "Journal of Communication", 24 (1974), pp. 43-51.

ID., Public Opinion and the Classical Tradition, "Public Opinion Quarterly", 43 (1979), pp. 143-156.

ID.,The Spiral of Silence: Public Opinion Our Social Skin, Princeton University Press, Princeton 1984.

Baier H., Kepplinger H. M., Reumann K. (a c. di), Öffentliche Meinung und soziale Wandel: für Elisabeth Noelle Neumann, Westdeutscher Verlag, 1981.

Lang, K. Recensione di "The Spiral of Silence: Public Opinion and Our Social Skin", "American Journal of Sociology", 91 (1986), pp. 1496-99.

Gryszka M., Recensione di The Spiral of Silence.


Per una concezione manipolativa del processo di formazione dell'opinione:

Chomsky N., Herman E. S., La fabbrica del consenso, Editore Tropea, Napoli 1998.

Zaller R. J., The Nature and Origins of Mass Opinion, Cambridge University Press, 1992.


Per la teoria dell' 'agenda setting':

McCombs M. E. e Shaw, D. L., La funzione dell'agenda setting dei mass media, in Bentivegna S., Mediare la realtà. Mass Media, sistema politico e opinione pubblica, Franco Angeli, Milano 1994.


Per il rapporto scienza-opinione:

Beansaude-Vincent B., L'opininion publique et la science. A chacun son ignorance, Institut d'édition Sanofi-Synthèlabo, Paris 2000.


Di Luhmann, in particolare:

Luhmann N., L'opinione pubblica, in ID., Stato di diritto e sistema sociale, Guida, Napoli 1978.


Sulla sfera pubblica:

Calhoun C. (a cura di), Habermas and the Public Sphere, MIT Press, 1992.

Habermas J., The Public Sphere, in Mukerji C. e Schudson M. (a c. di), Rethinking Popular Culture, University of California Press, 1991.

ID., Storia e critica dell'opinione pubblica, Laterza, Bari 1971.

Fraser N., Rethinking the Public Sphere, "Social Text", 25/26 (1990).

Goodnight T., Habermas, The Public Sphere and Controversy, "International Journal of Public Opinion Research", 3 (1992).

Hohendahl P. U., Critical Theory, Public Sphere, and Culture: Jurgen Habermas and His Critics, "New German Critique", 16 (1972).

Landes J., Women and the Public Sphere in the Age of the French Revolution, Cornell University Press, Ithaca 1988.

Negt O. e Kluge A, Public Sphere and Experience: Toward an Analysis of the Bourgeois and Proletarian Public Sphere, University of Minnesota Press, Minneapolis 1993.

Robbins B. (a cura di), The Phantom Public Sphere, University of Missota Press, Minneapolis-London 1993.

Privitera W., Sfera pubblica e democratizzazione, Laterza, Bari 2001.

Schuler D., What is the Public Sphere.



2. Le originitorna all'indice

La comparsa sulla scena dell'opinione pubblica è legata all'emergere di alcune peculiari condizioni proprie della modernità. Tra queste, prima di tutto, il configurarsi di uno spazio, la società, collocato tra la sfera privata e la sfera pubblica statuale. La nascita dell'opinione pubblica s'intreccia con le vicende di formazione dello stato moderno, con la fine della società corporativa e del regime di privilegi della società feudale, con il progressivo affermarsi dell'idea di eguaglianza formale dei soggetti di fronte alla legge (Matteucci) e con la pubblicità degli atti di governo, a cominciare da quelli parlamentari. Un fenomeno, quest'ultimo, databile intorno alla prima rivoluzione inglese, la cui importanza non può essere sottovalutata in quanto rompe il regime di segretezza vigente fino ad allora intorno agli atti del governo (in particolare, cfr. Zaret, 2000). Da questo punto di vista, il principale contributo dato da Necker alla fine del Settecento, nell'ambito della storia del concetto dell'opinione pubblica, viene considerato dagli storici, ancor più dei suoi scritti teorici sull'argomento, proprio l'introduzione di un'innovazione fondamentale: la pubblicazione degli atti relativi alla condizione fiscale dello stato (compte rendu) (Speier, 1950 ). Il processo di formazione dell'opinione pubblica non sarebbe stato possibile, tuttavia, senza il ruolo decisivo svolto dalla stampa. Con la diffusione della stampa periodica, e la comparsa di nuovi spazi di socialità, quali i caffè, i gabinetti, le società di lettura e i clubs, alla fine del del XVIII secolo, appare sempre più chiaro il verificarsi di un fenomeno - per alcuni già riscontrabile a cominciare almeno dalla metà del seicento - per descrivere il quale è necessaria l'invenzione di termini nuovi quali pubblicità (publicité, publicity, Publizität), "public spirit", "general opinion" e "opinion publique", ad indicare uno stile inedito di comunicazione che si afferma tra i privati cittadini borghesi, in polemica con lo stile cortigiano.

La fruizione di nuovi prodotti culturali - come ha sottolineato Habermas - ingenera nella cultura settecentesca un gusto per la discussione e l'argomentazione che tocca ben presto non solo l'arte, il teatro e la letteratura, ma anche la politica e l'economia. Lo spazio pubblico, che viene così lentamente a porsi in modo autonomo tanto dalla sfera privata quanto dalla sfera del potere, ovvero dello stato, della police e dell'amministrazione, è lo spazio di una società che si vuole fondata non su criteri di rango e di ceto, ma sulla condivisione di una comune umanità, su quell'astrazione da considerazioni di status che governa il senso del tatto (Habermas ). Il pubblico dell'epoca dei Lumi, costituito da lettori di giornali, riviste e pamphlets, rivendica la possibilità di un'opinione illuminata, capace di superare le visioni particolaristiche e giungere ad una chiara percezione dell'interesse generale. Esso concepisce se stesso come portare di un'opinione che intende costituirsi a momento di discussione, verifica e regolazione del potere, volto ad avvicinare il più possibile la volontà del legislatore alla ragione emersa nella concorrenza pubblica di argomenti privati, in modo che la legge risponda a criteri di generalità, universalità ed astrattezza. Con Kant, in particolare, lo spazio pubblico in cui le persone private fanno uso pubblico della loro ragione contro il potere assolutistico assurge a condizione necessaria di una razionalizzazione della politica in nome della morale.

Matteucci N., Opinione pubblica, in Bobbio N., Matteucci N., Pasquino G., Dizionario di politica, TEA, Milano 1990 (I ed. UTET, Torino 1983).


Sulla storia dell'opinione pubblica tra Seicento e Settecento:


Censer J., Popkin J. (a c. di), Press and Politics in Pre-Revolutionary France, Berkeley 1987.

Chartier R. The Cultural Origins of the French Revolution, Durham, NC, 1991.

Cowans J., To Speak for the people. Public Opinion and the Problem of Legitimacy in the French Revolution, Routledge, London 2001.

Farge A., Dire et mal dire. L'opinion publique au XVIIIeme siecle, Editions du Seuil, Paris 1992; tr. ingl., Subversive Words. Public Opinion in Eighteenth Century France, Pennsylvania University press, 1995.

Landes J. B., Women and the Public Sphere in the Age of hte French Revolution, Ithaca 1988.

Ozuf M., "Public Opinion" at the End of the Old Regime, in Blanning T. C. (a cura di), The Rise and Fall of the French Revolution, Chicago, 1996.

Plumb H. J., The Public, Literature, and the Arts in the Eighteenth Century, in M. R. Marrus (a cura di), The Emergence of Leisure, New York 1974.

Speier H., Historical Development of Public Opinion, "American Journal of Sociology", 55 (1950), pp. 380-388.

Sawyer J., Printed Poison: Pamphlet Propaganda, Faction Politics, and the Public Sphere in Early-Seventheenth-Century France, Berkeley 1990.

Zaret D., Origins of Democratic Culture. Printing, Petitions, and the Public Sphere in Early-Modern England, Princeton University Press, Princeton 2000.

Warner M.,The Letters of the Republic: Publication and the Public Sphere in Eighteenth-Century America, Cambridge University Press, Cambridge, MA, 1990.


Sulla coincidenza tra genesi della sfera pubblica e nascita della sfera privata:

Ariès P. e G. Duby (a c. di), Histoire de la vie privée, Editions du Seuil, Paris 19992, in particolare vol. III: De la Renaissance aux Lumières.



3. Alcune interpretazioni settecentesche torna all'indice

Il termine opinione pubblica, che entra nell'uso in Francia intorno alla metà del Settecento e in Inghilterra intorno alla fine del Settecento (L'Oxford English Dictionary registra il termine nel 1781), non può essere completamente scisso nel suo destino - come sottolinea Habermas - dalle vicende sei-settecentesche del concetto di "opinione". Un concetto questo strettamente connesso, a cominciare da Locke, con quello di "reputazione" o "credito", e che indica per questo un'opinione passata al vaglio della società, e in questo senso si distingue dall'accezione puramente negativa del pregiudizio soggettivo. L'aggiunta degli aggettivi "pubblica" o "generale" segnala l'inizio di una prima divaricazione nell'uso del concetto, a seconda che si voglia sottolineare con essa il carattere di immediatezza e di incontaminazione del senso comune, tacitamente espresso dal popolo (da Rousseau al Romanticismo), o la necessità di sottoporre l'opinione al vaglio di criteri generali, di distinguere l'opinione illuminata, che chiama in causa il ruolo dei dotti e dei filosofi, da un'opinione scaduta allo statuto di doxa . In entrambi i casi l'argomentare all'interno della sfera pubblica sembra per lo più nel Settecento mantenersi distinto dal ragionamento e dal metodo scientifico, per indicare un tipo di sapere raggiungibile da individui ragionanti e giudicanti a partire dal mero riconoscimento della loro comune appartenenza al genere umano.

Dallo "Spectator" di Addison e Steele, che esalta la figura di Socrate per aver ricondotto la filosofia tra gli uomini, al Kant del conflitto delle facoltà, è compito della filosofia e non della scienza illuminare il pubblico, ricordare agli uomini il dovere di esercitare la propria facoltà di giudizio e ragione. Ciò non significa che non fosse sentita l'esigenza di integrare le scienze stesse all'interno della sfera pubblica. Condorcet è un esempio importante in questa direzione. Segretario dell'Accademia reale delle scienze di Parigi, Condorcet vede nella pubblicità delle informazioni e dei risultati raccolti dai singoli scienziati, nella discussione libera e civile degli stessi, in piena libertà da qualsiasi tentativo di pressione da parte del potere, i principi costitutivi della stessa comunità scientifica (cfr. Bensaude Vincent). Proprio il pensiero di Condorcet mostra, tuttavia, il difficile rapporto tra scienza e opinione pubblica: se l'integrazione del sapere scientifico nella sfera pubblica è necessaria per rivendicarne l'autonomia dal potere, altrettanto necessario alla scienza pare a Condorcet saper resistere alle pressioni dell'opinione popolare e considerare se stessa come il solo suo tribunale legittimo, una posizione che profila un monopolio dell'opinione illuminata da parte della scienza e vede scadere a pregiudizio l'opinione popolare.

Hennis W., Der Begriff des öffentlichen Meinung bei Rousseau, in "Archive für Rechts- und Sozialphilosophie", 43 (1957), pp. 111 sgg.



4. Ragione pubblica vs. opinione pubblica torna all'indice

Pensatori liberali come Bentham, Guizot e Constant ai primi dell'Ottocento continuano a valutare positivamente la funzione politica dell'opinione pubblica come strumento di controllo morale del potere, e a considerare sufficiente per la formazione di una corretta opinione pubblica la libertà di stampa e la pubblicità degli atti del governo, dell'amministrazione e del Parlamento. Nello stesso periodo, tuttavia, l'idea della società civile borghese come spazio di una comunicazione tra privati conforme a criteri di generalità e astrattezza comincia ad essere oggetto di discussione da prospettive diverse che tutte, però, sembrano partire dalla constatazione delle contraddizioni interne al sistema economico inaugurato dalla borghesia. Sono i conflitti che dilaniano la sfera degli scambi e del lavoro a rivelare l'impossibilità di fare della società civile 'borghese' il luogo di mediazione tra politica e morale, e della borghesia la classe portatrice di valori e di interessi comuni.

Più che sostenere il diritto di ognuno di esercitare il proprio giudizio, Comte afferma nella sua opera l'esigenza di formare una ragione pubblica mediante la diffusione del sapere scientifico alle classi popolari. Lo spirito critico illuminista che è servito a liberare il sapere dalla tutela teologica appare ora a Comte un ostacolo per l'avvento della società positiva. Il dominio dell'opinione pubblica deve sparire per lasciare spazio all'alleanza tra classe proletaria e savants, un'alleanza volta a mantenere la scienza legata alla concretezza del buon senso popolare per evitarne le degenerazioni in senso analitico e dispersivo. Più che il dominio dei savants, quello che Comte propone è - per Bensuade Vincent - il governo non dell'opinione ma della "scienza popolare" che assurge a tribunale degli studi scientifici, in modo da liberarli dalle controversie oziose che dividono gli scienziati, da costringerli ad abbandonare un linguaggio spesso esoterico e ricordare che compito della scienza positiva è "voir, pour prévoir, pour agir".

Più complessa e articolata è la visione hegeliana del concetto di opinione pubblica. In generale, si può dire che Hegel ha dell'opinione pubblica una visione negativa, per la vuotezza, l'accidentalità, la contraddittorietà dei contenuti soggettivi che la caratterizzano. L'opinione pubblica non può raggiungere un punto di vista universale, né può essere garanzia di verità, poiché essa ha un contenuto contradditorio che deriva dal suo carattere fenomenico, così condizionato dal fatto di mescolare contingenza e necessità. Tuttavia, l'opinione pubblica sembra poter essere superata, nei suoi aspetti negativi, attraverso l'integrazione nella sfera 'oggettiva' che è propria dello stato, incarnazione dello spirito nella realtà. Soltanto lo stato, infatti, si innalza al di sopra dell'opinione soggettiva e si eleva a scienza, a ragione pubblica. Distaccandosi e superando la contingenza delle visioni soggettive proprie dell'opinione pubblica, lo stato può salvare se stesso e la società civile dalla disgregazione e dalla disorganizzazione.

Questo superamento porta con sé un momento di mediazione: non è possibile dimenticare, infatti, che l'opinione pubblica ritorna all'interno del momento di formazione della volontà legislativa nella sfera dello stato. Essa non è, cioè, solo la "public opinion" della società civile, ma anche una "legislative public opinion" - secondo la distinzione che proporrà in seguito Dicey. Nell'assemblea degli 'stati' (Stände), dove i rappresentanti sono rappresentanti di "sfere essenziali della società", la "pubblicità" della discussione consente all'opinione pubblica di decantare l'elemento soggettivo per avvicinarsi ad una maggiore comprensione dell'universale (Hegel 1990 , § 315). Gli stati appaiono così un elemento fondamentale di raccordo tra le istituzioni statali e una società civile che non è riducibile al solo momento del sistema dei bisogni e dell'economia politica - secondo un'intepretazione semplificante, ma a lungo invalsa sulla scorta della lettura di Marx (Marini 1979).

In Marx alla semplificazione del momento della società civile corrisponderà una liquidazione di ogni valore positivo dell'idea stessa di pubblicità e di opinione pubblica, concepite quali maschere dietro le quali la borghesia cela, anche a se stessa, il carattere del proprio dominio.

L'attenzione hegeliana per il significato e il ruolo "culturale" della società civile ritornerà in Gramsci, il quale riconoscerà come parte del momento sovrastrutturale tanto lo stato quanto la società civile (Bobbio 1990 , p. 49). Rifacendosi esplicitamente a Hegel, e non a Marx, Gramsci parlerà della società civile "nel senso di egemonia politica e culturale di un gruppo sociale sull'intera società, come contenuto etico dello stato" (cit. ivi, p. 50).


Hegel G. W. F., Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Laterza, Roma-Bari 19992.

Dicey A. V., Diritto e opinione pubblica nell'Inghilterra dell'Ottocento, presentazione di M. Barberis, Il Mulino, Bologna 1997.

Su Hegel e Gramsci in modo particolare:

Bavaresco A., La Phénomélogie de l'opinion publique. La théorie hégélienne, L'Hartmattan, Paris 2000.

Bobbio N., La società civile in Gramsci, in Id., Saggi su Gramsci, Feltrinelli, Milano 1990.

Marini G., Struttura e significati della società civile hegeliana in C. Cesa, Il pensiero politico di Hegel, Laterza, Bari 1979, pp. 59-82.

Id., Libertà soggettiva e libertà oggettiva nella filosofia del diritto di hegeliana, Morano, Napoli 19902.



5. Le scienze sociali e l'opinione pubblica torna all'indice

Il terreno per quell'opera di demistificazione dell'opinione pubblica che avrà luogo a cominciare dalla fine dell'Ottocento, si considera in genere preparato da autori come Tocqueville e J. S. Mill . Se il potere conquistato dall'opinione pubblica rappresentava per i pensatori illuministi la fine del regno della coercizione e della violenza e l'avvento del governo per mezzo dell'argomentazione e della persuasione, per Tocqueville e Mill, il dominio dell'opinione ha una sua specifica forza coercitiva. Dire che l'opinione pubblica governa il mondo equivale ora a dire che la massa e la generale mediocrità esercita una costante violenza morale sulle minoranze. Da strumento di emancipazione l'opinione pubblica, non più emanazione del pubblico di privati colti del Settecento, ma di una massa amorfa e indifferenziata, sembra divenire strumento d'integrazione piuttosto che di critica.

A segnare l'inizio del processo di degenerazione della sfera pubblica è, secondo Habermas, la trasformazione della società civile intervenuta alla fine del XIX secolo con il declino dell'autonomia del sociale sulla spinta dell'interventismo statale, richiesto dall'ingresso della massa nella vita politica e da una nuova fase dello sviluppo capitalistico. Con l'invasione della società da parte del momento amministrativo-statuale si ridisegnano anche i rapporti tra pubblico e privato, con fenomeni quali la pubblicizzazione della vita privata e la privatizzazione della sfera pubblica . Un'ulteriore spinta alla degradazione della sfera pubblica, a cominciare da quello stesso periodo, viene dal progressivo assoggettamento della stampa e dell'editoria alle leggi di un mercato di massa, che si riflette nel generale abbassamento del livello culturale dei giornali e dei periodici, e nella tendenza alla spoliticizzazione dei messaggi da essi veicolati.
Sono, tuttavia, le scienze sociali tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo a sferrare l'attacco più duro contro il concetto settecentesco di opinione pubblica. La psicologia sociale di Sighele, Tarde, Le Bon, McDougall, il behaviorismo di Watson e le analisi della democrazia di autori come Bryce e Ostrogorsky concorrono a ridefinire i limiti dei governi democratici proprio a partire dalla difficoltà di tenuta dell'idea di un'opinione pubblica critica o illuminata.

Tra questi protagonisti delle scienze sociali della fine del XIX secolo, un posto particolare nella storia del concetto di opinione pubblica va riconosciuto senz'altro a Tarde. Distaccandosi da quello che era allora l'orientamento scientifico prevalente, Tarde sarà il primo a distinguere il fenomeno della folla da quello del pubblico e ad individuare in quest'ultimo il vero protagonista della storia avvenire, ricollegandone la forza e l'espansione alla diffussione sempre più universale della stampa. La sua valutazione del fenomeno è interessante per le ambivalenze che egli tende a sottolineare: da un lato infatti rintraccia nel pubblico gli stessi meccanismi di imitazione e di suggestione attivi nelle folle, dall'altro ne evidenza il carattere maggiormente riflessivo (il lettore di giornale si trova da solo di fronte alla pagina stampata) e frammentario (si può appartenere contemporaneamente ad una molteplicità di pubblici). Per questi aspetti il pubblico rappresenta, agli occhi di Tarde, una forma di socialità più evoluta rispetto alla folla: è il suo carattere di fenomeno intellettuale a lasciare spazio ad una valutazione non necessariamente negativa (sebbene Tarde parli tanto della possibilità di "folle criminali" quanto di quella di "pubblici criminali"). Nel capitolo dedicato a L'opinione e la conversazione, contenuto in L'opinion e la foule (Tarde 1901), Tarde mostra l'interazione positiva che può crearsi tra stampa e spazi di socialità come i caffè, i salotti e i clubs, lasciando al lettore l'impressione che nel suo discorso non si sia ancora compiuto l'abbandono definitivo di un concetto normativo e qualitativo di opinione pubblica (cfr. Katz, 1992 e Hunter 1998 ). Si tratta, tuttavia, di un capitolo sul quale non si soffermano le interpretazioni più tradizionali del contributo di Tarde (v. per esempio l'introduzione di Reynié, in Tarde, 1989), che indugiano puttosto sul ruolo che egli ha avuto nell'aprire la strada all'introduzione delle tecniche di misurazione dell'opinione pubblica attraverso i sondaggi.

Lo sviluppo degli studi psicologico-sociali sull'opinione pubblica coincide, in effetti, con l'apparizione dell'uso dei sondaggi di opinione, ovvero con il tentativo di quantificare e misurare l'opinione a partire da una suddivisione in gruppi del pubblico e dall'individuazione di campioni rappresentativi. Sviluppatasi nell'ambito delle ricerche di mercato sui gusti e le preferenze dei consumatori alla fine del XIX secolo, la tecnica del sondaggio d'opinione comincia a venire utilizzata nel campo delle previsioni elettorali intorno agli anni venti. È George Gallup, nel 1935, a decidere del metodo e della finalità dei sondaggi con la creazione dell'istituto americano dell'opinione pubblica (cfr. J. Zask, 1999 , p. 109). Con la previsione riuscita della rielezione di Roosevelt alla presidenza nel 1936 il metodo Gallup, e con esso i sondaggi effettuati mediante campioni rappresentativi, ottenne un vero e proprio trionfo. Nel 1938, i primi sondaggi d'opinione furono effettuati anche in Francia da Jean Stoetzel. A quest'ultimo si deve, oltre all'invenzione del termine sondage, la fondazione dell'Institut français d'Opinion Publique.

Con l'introduzione dei sondaggi il concetto di opinione pubblica viene a designare - come suggerisce Ferry - "una massa segmentata di pareri che esprimono interessi privati vale a dire conflittuali. È, infatti, a partire da questa nozione di opinione pubblica che operano i grandi istituti per i sondaggi". Molti studi contemporanei sottolineano il carattere manipolatorio dei sondaggi di opinione: la loro regolare periodica pubblicazione costituirebbe, secondo alcuni (ma la questione rimane controversa), un vero e proprio fattore continuativo d'interferenza e distorsione della comunicazione (cfr. Bourdieu 1984 ).

Sugli argomenti qui trattati, in generale:


Bryce J.,The American Commonwealth, vol. 2, parte V: Public Opinion, MacMillan, New York 1898.

Katz E., On Parenting a paradigm: Gabriel Tarde agenda for opinion and communication research, "International Journal of Public Opinion Research", 4 (1992), pp. 80-85.

Park R., La folla e il pubblico (1904), a cura di R. Rauty, Armando, Roma 1996.

Tarde G., L'opinion et la foule, a cura di D. Reynié, Presses Universitaires de France, Paris 1989.

Wilson F., James Bryce on Public Opinion: Fifty Years Later, "Public Opinion Quarterly", 3 (1939), pp. 420-435.

Zask J., L'opinion public et son double, Livre I: L'opinion sondée, L'Harmattan, Paris 1999.

Sui sondaggi:


Beniger J. R., The Impact of Polling on Public Opinion: Reconciling Foucault, Habermas and Bourdieu, " International Journal of Public Opinion Research", n. 3 (1992).

Blondiaux L., La fabrique de l'opinion: une histoire sociale du sondage, Seuil, Paris 1998.

Bourdieu P., L'opinion publique n'existe pas, in Id., Questions de sociologie, Les Editions des Minuit, Paris 1984.

Ferry J.-M., Les transformations de la publicité politique, "Hermés", 4 (1989), pp. 15-42.

Gallup G., A Guide to Public Opinion Polls, Princeton University Press, Princeton 1944.

ID., The Changing Climate for Public Opinion Research, "Public Opinion Quarterly", 21, 1 (1957), pp. 23-27.

S. Herbst, Numbered Voices: How Opinion Polling has Shaped American Politics, University of Chicago Press, 1995.

Lewis J., Constructing Public Opinion, Columbia University Press, 2001.

Stoetzel J. e Girard A., Les sondages d'opinion publique, Presses Universitaires de France, Paris 1973.



6. Lippmann e il pubblico fantasmatorna all'indice

Public Opinion (1921) e The Phantom Public (1925) di Walter Lippmann sono esemplificativi del pessimismo diffuso nelle scienze sociali americane all'inizio del Novecento. Queste due opere costituiscono in qualche misura l'esempio più significativo del legame tra critica del concetto di opinione pubblica e abbandono della c.d. "visione classica della democrazia". Lippmann, profondamente influenzato dalla psicologia delle folle, denuncia il carattere illusorio della capacità attribuita all'opinione pubblica di funzionare come principio regolatore e decisionale degli affari comuni. Public Opinion prende l'avvio da un problema gnoseologico: l'essere umano non ha una conoscenza immediata, diretta, dell'ambiente, si rapporta ad esso attraverso finzioni (fictions), rappresentazioni. L'efficacia dell'azione umana dipende dalla relazione esistente fra le nostre rappresentazioni mentali e il mondo esterno ("The pictures in our heads and the world outside"). Siamo condannati a guardare le cose attraverso stereotipi ("stereotypes"), che sono sempre semplificazioni, e insieme distorsioni, di una realtà che è impossibile cogliere nella sua complessità.

Da queste considerazioni Lippmann trae il "nocciolo" della sua tesi: "... la democrazia, nella sua forma originaria non ha mai seriamente affrontato il problema derivante dalla non automatica corrispondenza delle immagini, che gli individui hanno nella loro mente, alla realtà del mondo esterno" (Lippmann 1965, p. 31). In altre parole le teorie democratiche non hanno tenuto conto del fatto che non siamo in grado - se non limitatamente ad una quantità veramente irrisoria di questioni - di stabilire con certezza la verità o la falsità di un'affermazione. Ciò è tanto più vero nel caso del cittadino delle società contemporanee, nelle quali gli avvenimenti sono talmente complessi, e accadono con tale velocità, per cui il controllo e la conoscenza dell'individuo sui singoli eventi sono nella maggior parte dei casi nulli. Con una frase sintetica, ma efficace, Lippmann così dipinge la condizione dell'uomo moderno: "He lives in a world which he cannot see, does not understand and is unable to direct " (Lippmann 1925, p. 14). Niente è più lontanto dell'individuo contemporaneo, sostiene Lippmann, da quell'immagine del cittadino onnicompetente che sta alla base della teoria classica della democrazia. L'opinione pubblica è una finzione, un "fantasma" - come ricorda il titolo della sua opera del 1925, The Phantom Public: i cittadini non conoscono e non sono in grado di conoscere e penetrare la sostanza delle questioni politiche; l'opinione pubblica non governa, non può governare, e in ultima analisi, per Lippmann, è indesiderabile che governi. "When public opinion attempt to govern - scrive infatti - it is either a failure or a tiranny" (ivi, pp. 70-71).

L'autore di Public Opinion auspica dunque un dominio degli esperti, dei filosofi 'platonici', capaci di uscire dalla caverna, di giudicare gli interessi comuni con maggiore obiettività, e di dirigere la cosa pubblica con maggiore efficienza. Lippmann - come è tipico delle teorie democratico-elitiste - ritiene che i cittadini siano più interessati agli outputs del sistema politico che alla partecipazione alle decisioni; che la struttura élites-massa sia ineliminabile nelle società complesse; che l'apatia dell'opinione pubblica sia uno stato naturale. Nel mondo contemporaneo, "sconfinato e indefinibile", non si possono non considerare illusori, secondo l'autore di Public Opinion , i tentativi di riproporre una teoria partecipativa della democrazia, magari facendo appello al rimedio tradizionale dell'educazione, o proponendo nuove forme partecipative, come nel caso del socialismo gildista. Eccessiva, per Lippmann, è anche la fiducia che i teorici democratici nutrono nel ruolo obiettivo ed informativo della stampa: i giornali danno occhiate fuggitive sul mondo, illuminano alcuni luoghi, ne lasciano altri nell'oscurità e spesso la luce segue indirizzi che nulla hanno a che fare con la razionalità, o la ricerca della verità. I giornali, infatti, - sostiene Lippmann in Liberty and the News (1920) e poi nelle due opere sull'opinione pubblica - sono legati alle leggi del mercato, devono soddisfare i gusti e le esigenze di un pubblico e di un padrone.

Lippmann W., Public Opinion (1921); tr. it., Opinione pubblica, Edizioni di Comunità, Milano 1965 e Donzelli, Roma 1995.

ID., Phantom Public, Harcourt and Brace, New York 1925.



7. Dewey e la ricostruzione del pubblico torna all'indice

La lettura di Public Opinion e di The Phantom Public è all'origine della stesura di The Public and its Problems (1927) di John Dewey , stesura preceduta da due lunghe recensioni dedicate alle opere di Lippmann. Sul piano descrittivo Dewey condivide il pessimismo di Lippmann, a cominciare dalla difficoltà di individuare nella democrazia americana un pubblico: "Se un pubblico esiste - scrive Dewey - è certamente così poco sicuro di dove esso stesso stia quanto lo sono stati i filosofi, dopo Hume, di dove stia l'io e della sua struttura" (Dewey 1979, p. 92).

Qual è la realtà politica americana? In The Public and its Problems viene descritta con tratti altrettanto impietosi e realistici di quelli usati da Lippmann. Il corpo elettorale è assenteista, disinteressato, deresponsabilizzato, scettico sull'efficacia del diritto di voto. L'indifferenza del cittadino per la politica viene attribuita realisticamente non solo a mancanza di volontà e di virtù civica, ma ad oggettive difficoltà derivanti da due fattori principali: la complessità delle società contemporanee; la presenza di una molteplicità di interessi concorrenti con l'interesse politico. "L'uomo - si legge in The Public and its Problems - non è solo un animale politico, ma anche un consumatore e uno che ama svagarsi " (ivi, p. 109). Il cittadino delle società contemporanee ha poco tempo da dedicare alle faccende politiche, e il più delle volte si trova in imbarazzo quando deve decidere su questioni pubbliche che richiederebbero una competenza tecnica. "L'apatia politica, che è un prodotto naturale delle discrepanze esistenti fra realtà attuale e meccanismo tradizionale - scrive Dewey - deriva dall'incapacità di identificarsi con precise istanze. Queste sono difficili da trovare e da situare nelle vaste complessità della vita corrente ... Gli uomini si sentono presi nel vortice di forze troppo grandi per capirle e dominarle. Il pensiero è costretto ad arrestarsi e l'azione ne è bloccata " (ivi, p. 106). Per l'uomo comune la "realtà predominante" - per dirla prendendo in prestito il lessico della fenomenologia di Schütz - è, infatti, rappresentata dal mondo della vita quotidiana, dagli interessi privati, dal lavoro, dallo svago. Al di fuori di questa "regione definita di senso" la nostra attenzione alla vita è in genere insufficiente perché ci si possa esprimere con competenza sulle questioni di carattere pubblico.

A differenza di Lippmann e della psicologia sociale del tempo, Dewey non considera la scomparsa del pubblico e il predominio delle élite un dato connesso a limiti costitutivi della natura umana.

La concezione democratico-elitista sostenuta da Lippmann, secondo Dewey, "... parte dal presupposto che la politica degli esperti debba essere nel complesso saggia e benevola, ossia elaborata in modo da tutelare gli interessi genuini della società". Ma una classe specializzata "in assenza di una voce articolata da parte delle masse" rischia sempre di "rimaner tagliata fuori dalla conoscenza delle esigenze che si suppone essi debbano servire." (ivi, p. 161). Dewey ritiene opportuno, inoltre, distinguere le capacità dell'esperto da quelle necessarie al buon cittadino per poter giudicare su argomenti di interesse comune (ivi, p. 163). L'esperto, la cui conoscenza è chiara e distinta ma anche ristretta ad un campo limitato, non può aspirare a quella visione universale ed obiettiva della realtà che Lippmann gli attribuisce. Anche l'esperto è chiuso all'interno di una caverna e la sua visione della realtà è chiara e distinta solo limitatamente ad una porzione ristretta di mondo.

La democrazia, d'altra parte, per Dewey, non è solo un metodo per la scelta dei leader politici, essa ha un valore formativo e morale. Il dato decisivo in un regime democratico è "... come la maggioranza diventa tale: ossia i dibattiti che precedono la votazione, la modifica di un indirizzo per venire incontro alle opinioni delle minoranze che, avendo la possibilità di divenire maggioranza, potranno diventarlo la volta successiva" (ivi, p. 162). Compito fondamentale di un regime democratico è allora fornire le condizioni affinché l'uomo della strada possa divenire "cittadino ben informato". Se è vero, infatti, che l'idea dell'individuo onnicompetente, presupposta dalla teoria democratica classica, è un'illusione, è necessario ricordare, secondo Dewey, che "la facoltà di osservare, riflettere, e desiderare efficacemente, è un'abitudine acquisita sotto l'influenza della civiltà e delle istituzioni, e non già una capacità innata bell'e pronta" (ivi, p. 124). Solo una piccola parte del nostro bagaglio di conoscenze è ottenuto attraverso la nostra esperienza personale diretta, la maggior parte delle nostre cognizioni attuali o potenziali sono - come direbbe Schütz - "conoscenza socialmente derivata". I nostri stessi sistemi di rilevanza sono in gran parte influenzati socialmente. La formazione di un buon cittadino democratico dipende, dunque, dalle possibilità che egli ha di entrare in possesso e di acquisire consapevolezza di un fondo comune di conoscenza. Ciò riconduce al più generale problema delle condizioni per una riorganizzazione del pubblico.

Come l'io e il mio emergono dal flusso indifferenziato dell'esperienza allorché si rivendica "coscientemente una partecipazione distinta ad un'azione reciproca", così - scrive Dewey - un noi consapevole e cosciente si dà soltanto quando "si percepiscono le conseguenze di un'azione combinata e quando queste diventano un oggetto di desiderio e di sforzo" (ivi, p. 119). Per riuscire ad operare e a desiderare il perseguimento di un'azione comune il pubblico, o meglio i pubblici democratici, devono preliminarmente riconoscere la propria esistenza ed avere un'idea del valore che potrebbe rivestire la loro azione. Ciò richiede lo spazio per un'interpretazione simbolica dell'attività comune nella quale i pubblici sono coinvolti, interpretazione necessaria per un'articolazione degli interessi condivisi dal gruppo.

Quanto più ristretto è il numero di coloro che concorrono alla definizione del noi, tanto più facilmente potrà darsi il caso di gruppi e associazioni che non vi si riconoscono e che sono frustrati nella ricerca della loro identità. L'estensione del numero di associazioni coinvolte nelle decisioni pubbliche è fondamentale per comprendere se le conseguenze indirette e durevoli delle azioni individuali che vengono prese seriamente in considerazione corrispondono agli interessi generali. Il persistere di stati di privilegio può condizionare in modo distorcente la definizione della sfera delle questioni di interesse pubblico: "... all special privilege narrows the outlook of those who possess it, as well as limits the development of those not having it. A very considerable portion of what is regarded as the inherent selfishness of mankind is the product of an inequitable distribution of power - inequitable because it shuts out some from the conditions which evoke and direct their capacities, while it produces a one-sided growth in those who have privilege. Much of the alleged unchangeableness of human nature signifies only that as long as social conditions are static and distribute opportunity unevenly, it is absurd to expect change in men's desires and aspirations. ... The intellectual blindness caused by privileged and monopolistic possession is made evident in 'rationalisation' of the misery and cultural degradation of others which attend its existence. ... There is no favoured class in history which as not suffered from distorted ideas and ideals, just as the deprived classes suffered from inertia and underdevelopment" (Dewey-Tuft, 1932, pp. 347-348).

Solo con il passaggio dalla Great Society alla Great Community sarà possibile, per Dewey, un vero risveglio del pubblico. Ma cos'è la grande comunità? Essa è, per Dewey, un ideale regolativo: l'ideale di una società democratica in cui non vi siano ostacoli alla comunicazione umana. La prima barriera alla comunicazione è la limitazione della diffusione delle notizie: "Non può esservi pubblico - scrive, infatti, Dewey - senza una piena pubblicità rispetto a tutte le conseguenze che lo riguardano . Tutto quello che ostacola e limita la pubblicità, infrena e distrae l'opinione pubblica e ostacola e storna la riflessione sulle questioni sociali" (Dewey 1927, p. 131). All'interno della grande comunità nessuno deve essere in grado di monopolizzare la conversazione pubblica. Come scrive in German Philosophy and Politics , devono essere abbattute le barriere geografiche, di razza e di classe che impediscono o distorcono la comunicazione. Altrettanto importante è provvedere all'eliminazione di quelle restrizioni più insidiose e invisibili che a Dewey appaiono come il portato di una vita economica competitiva che distoglie le energie e l'attenzione individuale dalle questioni pubbliche.

Dewey si distacca decisamente dal pessimismo lippmanniano sui meccanismi di informazione. Già nella recensione a Public Opinion, anticipando argomentazioni successivamente sviluppate in The Public and its Problems , osserva: "Mr Lippmann seems to surrender the case for press too readily - to assume too easily that what the press is it must continue to be. It is true that news must deal with events rather than with conditions and forces. It is true that the latter, taken by themselves, are too remote and abstract to make an appeal. Their record will be too dull and unsensational to reach the mass of readers. But there remains the possibility of treating news events in the light of a continuing study and record of underlying conditions. The union of social science, access to facts, and the art of literary presentation is not an easy thing to achieve. But its attainment seems to me the only genuine solution of the problem of an intelligent direction of social life" (Dewey, 1922, p. 343). La difficoltà di rendere accessibile ad un vasto pubblico conoscenze di carattere tecnico-scientifico sarebbe risolvibile, secondo Dewey, mediante uno sforzo teso al perfezionamento dei meccanismi di comunicazione e alla creazione di nuovi segni e simboli capaci di maggiore forza comunicativa. Tra le strategie per giungere alla creazione della Grande Comunità, la prima, relativa alla diffusione dell'informazione e della conoscenza, presuppone un tipo umano mentalmente flessibile, dotato di "un'intelligenza efficiente". Tale strategia funziona per Dewey solo a condizione che contemporaneamente vengano recuperati spazi per forme di relazione analoghi a quelli che vigevano nella comunità di vicini, laddove cioè le idee e le informazioni, trasmesse a mezzo stampa, potevano entrare nella discussione con gli amici, coi parenti, con i colleghi. Solo nella conversazione, infatti, le idee diventano vive e partecipate.

Dewey esprime la distanza esistente fra un foglio stampato e una conversazione con la metafora dell'occhio e dell'udito : "L'orecchio è ben più pronto ad entrare in contatto stretto e vario con un pensiero e un sentimento capaci di esternarsi in maniera vitale di quanto non lo sia l'occhio. La vista è spettatrice; l'udito è partecipante" (Dewey 1979, p. 170). L'informazione diffusa attraverso la stampa, dunque, è tanto più efficace quanto più esistono contesti sociali che consentano ai singoli di trasformare le notizie stampate in vivi oggetti di conversazione.

Ricreare le comunità di vicini non significa regredire alla antica vita comunitaria: la Grande Società non consente ritorni al passato, i mutamenti che essa ha portato sono irreversibili. Se sarà possibile una transizione alla Grande Comunità, non corrisponderà ad una restaurazione dell'antico. Se la Great Community non ripristina la vita e i legami locali che nel passato hanno reso ricca e significativa l'esistenza individuale, non per questo risulta meno desiderabile della piccola comunità. Anzi, Dewey sostiene chiaramente che la Grande Comunità "manifesterà una pienezza, una varietà e una libertà di possesso e di godimento di significati e di beni che le associazioni contigue, del passato, non hanno mai conosciuto. Essa sarà infatti, non solo viva e flessibile, ma anche stabile, aperta alla situazione complessa e vastissima in cui si trova coinvolta. Pur essendo locale non sarà isolata" (ivi, p. 168).

L'obiettivo della Grande Comunità può apparire regressivo solo se si trascura che per Dewey essa deve mirare a consolidare un traguardo innegabilmente raggiunto con il passaggio dalla comunità tradizionale alla Grande Società: l'emancipazione dell'individuo. La comunità del passato esclude la presenza di individui autonomi e indipendenti, a rigore si potrebbe dire che essa esclude qualsiasi questione di identità. L'idea della Great Community nasce invece dal problema di creare condizioni esistenziali che facilitino la crescita di individui autonomi, critici, capaci di fronteggiare le tensioni di un multiple self inevitabile riflesso di una multiple society.

La riflessione di Dewey sulle condizioni che potrebbero consentire una rinascita del public ha avuto un'indubbia influenza su Habermas. Dewey, in ogni caso, non avrebbe, probabilmente, condiviso l'idea habermasiana di "di un momento trascendentale di validità universale": egli appare, infatti, piuttosto, volto a ritrovare, all'interno delle singole, concrete, situazioni problematiche che necessitano l'intervento di un'azione comune, un momento di mediazione tra convinzioni e argomentazioni, in un dialogo tra sapere comune, filosofia e scienza.

Dewey J., Review of 'Public Opinion' by Walter Lippmann(1922), in Dewey J., The Middle Works, 1899-1924, vol. 13, 1921-1922, a cura di J. A. Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale, pp. 337-343.

ID., Practical Democracy, review of The Phantom Public (1925), in Dewey J., The Later Works, 1925-1927, a cura di J. A. Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale, pp. 213-225.

ID., The Public and its Problems (1927); tr. it. Comunità e potere, La Nuova Italia, Firenze, 1979.

ID. e J. Tufts, Ethics (1932), in ID., Later Works, cit., vol. 7.

Schultz T., Die "Grosse Gemeinschaft". Kommunikation, Demokratie und Öffentlichkeit im Pragmatismus von John Dewey, Verlag Die Blaue Eule 2001.

Zask J., L'opinion public et son double, Livre II : John Dewey, philosophe du public, L'Harmattan, Paris 1999.

Works about Dewey, a c. del Center for Dewey Studies.



8. Nuovi spazi per la formazione dell'opinione torna all'indice

Se il discredito dell'opinione pubblica è, in parte, dovuto alla fiducia nel sapere scientifico, alcuni dei tentativi contemporanei di rivalutare lo spazio del doxazein, come terzo rispetto alla doxa e all'episteme, secondo la formulazione di Ricoeur , ovvero come spazio del probabile, sono certamente da ricondurre alle difficoltà in cui si trova il linguaggio scientifico quando si tratta di affrontare questioni che sono legate in particolare all'inizio e alla fine della vita. Il linguaggio scientifico dimostra in questi ambiti, e, più in generale, nell'ambito politico - come sottolinea Arendt - una carenza di potere comunicativo. Esso tende infatti a nascondere, e talvolta a negare, che le pratiche scientifiche implicano scelte di valore. Il programma di un dialogo tra esperti e opinione pubblica, tra le esigenze di un'istanza critica e la forza delle convinzioni diffuse, ha trovato una qualche forma di realizzazione con la creazione di comitati di bioetica e nei movimenti associativi impegnativi in ambito ecologico. Sebbene il ruolo dei comitati etici rimanga controverso, il modello comunicativo al quale essi si ispirano è quello di uno spazio pubblico che implica un confronto paritario tra sapere ordinario, derivante dal vissuto del malato o del cittadino ordinario, e saperi esperti di vario genere, anche di tipo umanistico.

Tentativi di rivitalizzare l'opinione pubblica a traverso una forma di socialità vicina a quella del caffé settecentesco paiono possibili ad alcuni grazie a Internet. Anche in questo caso, tuttavia, le interpretazioni rimangono tutt'altro che concordanti (Hunter): Internet è infatti sia un potente strumento di raccolta e quantificazione delle opinioni, sia un potenziale spazio per esperimenti di dialogo, in condizioni di eguaglianza, tra privati uniti da comuni interessi generali. È vero d'altra parte, che, se nessuna sfera pubblica è completamente inclusiva, Internet rimane, almeno nella fase attuale, accessibile ad un pubblico ristretto. L'elemento positivo proprio del cyberspazio è la sua capacità di dar luogo ad una forma di comunicazione interattiva in cui, non più la massa, ma un insieme di "diverse singolarità" può "comunicare a partire da proprie prospettive" (Cristante, 2001, p. 45). Proprio l'apertura a una comunicazione onnidirezionale sembra consentire, attraverso Internet, spazi inediti di democrazia (Lévy, Rodotà, Scheer).



"Boston Review" (Summer 2001), New Democracy Forum: Is the Internet Bad for Democracy? (articoli di C. Sunstein, J. Rosen, S. Garfinkel, M. Shuolson, S. Iyengar, H. Jenkins, R. W. McChesney).

"The CPSR Newsletter", vol. 18, n. 3 (Summer 2000): numero dedicato al futuro dello cyberspazio come "sfera pubblica".

Dean J., Cybersalons and Civil Society: Rethinking the Public Sphere in Transnational Technoculture, "Public Culture", 13 (Summer 2001).

Hunter C., The Internet and the Public Sphere (1998).

Joohan K., On the interactions of News Media, Interpersonal Communication, Opinion Formation, and Participation: Deliberative Democracy and the Public Sphere, Dissertation.com 1997.

Lévy P., L'intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1996.

Plake K., Jansen D., Schuhmacher B., Öffentlichkeit und Gegenöffentlichkeit im Internet. Politische Potentiale der Medienentwicklung, Westdeutscher Verlag, 2001.

Rodotà S., Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Bari 1997.

Scheer L., La democrazia virtuale, Costa & Nolan, Genova 1997.




* Ringrazio il dr. Nico De Federicis e la prof.ssa Maria Chiara Pievatolo per gli utili suggerimenti sulla parte relativa a Hegel e a Gramsci.



Altre indicazioni bibliografiche generali

Riviste in rete

Public Opinion Quarterly
International Journal of Public Opinion Research



Il Bollettino telematico di filosofia politica è ospitato presso il Dipartimento di Scienze della politica della Facoltà di Scienze politiche dell'università di Pisa, e in mirror presso www.philosophica.org/bfp/



A cura di:
Brunella Casalini
Emanuela Ceva
Dino Costantini
Nico De Federicis
Corrado Del Bo'
Francesca Di Donato
Angelo Marocco
Maria Chiara Pievatolo

Progetto web
di Maria Chiara Pievatolo


Periodico elettronico
codice ISSN 1591-4305
Inizio pubblicazione on line:
2000


Chi è interessato a proporre bibliografie può rivolgersi a Nico De Federicis.