Intervento al seminario "Conoscenza a proprietà: problematiche ed esperienze a confronto sull'open access" (AIB toscana,Sistema bibliotecario archivistico e museale dell'Università di Pisa - 20 settembre 2005)
Copyright © 2005 Maria Chiara Pievatolo
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01-10-2005 18:19:48
Sommario
Secondo lo studioso canadese Jean-Claude Guédon 2 gli autori di opere scientifiche sono affetti da una singolare duplicità. Nella loro veste diurna di accademici che si preoccupano solo del prestigio e del fattore d'impatto degli editori e delle riviste che li pubblicano, si disinteressano del regime proprietario delle loro opere. Ma, nella loro veste notturna di ricercatori e lettori voraci, violano sistematicamente il copyright, scambiandosi fotocopie e file. Una simile doppiezza - per quanto alcuni si vergognino ancora a dirlo in società - indica che la pubblicazione tradizionale non è più un medium di pubblicità e di comunicazione, come era nell'età della stampa. E che i vincoli del copyright, nati in un'epoca in cui solo il tipografo era tecnicamente in grado di riprodurre i testi su larga scala, risultano assai gravosi oggi: il Mr.Hyde-lettore, quando usa un computer in rete, deve copiare i testi sul suo hard disk, se vuole semplicemente leggerli.
Nel racconto di Stevenson, questa duplicità irrisolta porta all'autodistruzione del protagonista. Ma se affrontassimo i problemi editoriali in modo meno vittoriano, ci renderemmo contro che:
il problema della comunicazione del sapere non è meramente tecnico, economico o utilitario, ma intrinseco alla natura stessa di quanto si scrive: una pubblicazione che privatizza i testi, rendendone difficile la circolazione, non merita più questo nome. Il dr. Jekyll autore non dovrebbe vergognarsi a dirlo in società;
la fame di sapere non è un impulso da soddisfare furtivamente, bensì una vocazione che merita di essere rivelata e condivisa; il Mr.Hyde lettore deve uscire alla luce del giorno e reclamare i suoi diritti.
Il problema della comunicazione del sapere ricorre, tipicamente, in occasione delle rivoluzioni mediatiche, quando nuove tecnologie della parola mettono in discussione gli assetti sociali e culturali preesistenti. Su questo tema alcuni grandi filosofi della nostra tradizione hanno riflettuto, soprattutto prima che la divisione fra scienze della natura e scienze dello spirito facesse dimenticare agli umanisti che le questioni tecniche sono anche, e spesso soprattutto, culturali e politiche.
Platone, in particolare, rifletté molto sul tema della comunicazione del sapere. Egli era a suo modo consapevole, 3 come lo fu nel secolo scorso Marshall McLuhan, che il medium è il messaggio.
Questa riflessione gli era stata ispirata dalla rivoluzione mediatica cui stava assistendo, il passaggio dall'oralità alla scrittura, in una situazione per molti versi simile a quella attuale. Secondo lo storico dell'antichità Moses Finley:
v'è una ragione importante per cui è corretto dire che tutti gli scritti dell'antichità erano una sorta di samizdat: non perché fossero sempre, o anche abitualmente, illeciti, ma perché la loro circolazione era limitata a copie preparate manualmente e passate manualmente da persona a persona.[...] Il samizdat riduce la capacità dello stato di prevenire la diffusione di materiale suscettibile di contestazione. 4
Platone si trovava a scrivere in un mondo in cui i testi circolavano senza che nessuno riuscisse a controllarli, sotto forma di rotoli che, fatti scorrere fra le mani, erano letteralmente oggetto di scrolling. Di regola, inoltre, egli non licenziava i testi per la pubblicazione, ma li rivedeva continuamente, pur permettendone la circolazione (Diogene Laerzio, III, 37). Se non fosse per la difficoltà connessa alla copiatura manuale e al reperimento materiale dei testi, il mondo delle scritture antiche potrebbe essere paragonato alle “sabbie mobili” della rete, come le descrive l'hacker finlandese Fravia: “una volta pubblicato qualcosa sul web, se ha un qualche contenuto originale, o è di un qualche interesse, esso ‘cresce e si moltiplica’”. Platone, come autore, sarebbe dunque molto simile a un webmaster che aggiorna continuamente il suo sito.
Che fare dei nostri testi in questo ambiente? Dobbiamo abbandonarli alle sabbie mobili della libera copia, o restare a fianco dei padroni del copyright per tenere i testi sotto controllo? E' davvero nostro interesse insistere su dei "diritti d'autore" che, sul piano economico, sono di solito quasi esclusivamente diritti dell'editore?
- O re, questa conoscenza (mathema) renderà gli egiziani più sapienti e più dotati di memoria: infatti ho scoperto un pharmakon per la sapienza e la memoria. - E il re rispose: - Espertissimo (technikotate) Theuth, una cosa è esser capaci di mettere al mondo quanto concerne una techne, un'altra saper giudicare quale sarà l'utilità e il danno che comporterà agli utenti; e ora tu, padre delle lettere, hai attribuito loro per benevolenza il contrario del loro vero effetto. Infatti esse produrranno dimenticanza (lethe) nelle anime di chi impara, per mancanza di esercizio della memoria; proprio perché, fidandosi della scrittura, ricorderanno le cose dell'esterno, da segni (typoi) alieni, e non dall'interno, da sé: dunque tu non hai scoperto un pharmakon per la memoria (mneme) ma per il ricordo (hypòmnesis). E non offri verità agli allievi, ma una apparenza (doxa) di sapienza; infatti grazie a te, divenuti informati di molte cose senza insegnamento, sembreranno degli eruditi pur essendo per lo più ignoranti; sarà difficile stare insieme con loro (syneinai), perché in opinione di sapienza (doxosophoi) invece che sapienti. - (Fedro, 274e-275a)
Questa celebre critica alla scrittura è stata spesso letta come segno del disagio degli umanisti per la tecnologia. Ma le cose non stanno così: Socrate, poco prima, aveva preso le distanze dalla posizione tradizionale, a favore dell'oralità, affermando chiaramente che “...scrivere discorsi non è in sé vergognoso”. (Fedro, 258d)
Dietro questo mito sta, piuttosto, una domanda fondamentale: in che senso le tecnologie della parola che usiamo favoriscono il sapere?
Oggi il Dr. Jekyll scrittore è scisso dal Mr. Hyde lettore, perché, nella sua veste diurna, l'autore non riesce a superare i suoi pregiudizi editoriali. Nell'età della stampa dare allo stampatore un monopolio temporaneo, il copyright, lo incentivava economicamente in una attività industriale che richiedeva un investimento di lavoro e di capitale relativamente intenso, e favoriva, allo stato dell'arte, una maggiore circolazione dei testi. Oggi la stampa non è più il sistema meno costoso e maggioramente efficace per diffondere gli scritti. In che senso dunque questa tecnologia della parola, e il regime del diritto d'autore che si è formato con essa, favorisce - o sfavorisce - il sapere?
Nel mito platonico:
la scrittura rende più facile la hypòmnesis, cioè la conservazione e la trasmissione dell'informazione;
ma la disponibilità di informazione non aumenta, di per sé, né la memoria né la "sapienza" degli utenti, cioè le loro capacità personali di richiamare alla mente la nozione appropriata nel momento in cui occorre e di valutare e connettere in modo critico i dati conservati e trasmessi meccanicamente;
dal momento che l'informazione offerta dalla scrittura dipende da un oggetto esteriore e non da condizioni personali e interpersonali, la synousia, lo stare insieme che fondava il sapere collettivo delle culture orali e delle scuole filosofiche antiche, diventa difficile, perché tende a perdere il suo senso collaborativo e a diventare competizione.
La scrittura separa le persone dall'informazione. Per quanto il copyright sia stato inventato solo nell'età della stampa, che ha industrializzato la produzione di documenti scritti, l'introduzione della scrittura è condizione pregiudiziale di possibilità della proprietà intellettuale, perché produce per la prima volta l'apparenza che il sapere e le persone siano reciprocamente distinti.
Tuttavia la scrittura consente di diffondere l'informazione a cerchie di persone molto più ampie, sia nello spazio sia nel tempo. In che modo tenere insieme la forza comunicativa della scrittura e l'esigenza personale del sapere? Platone suggerisce due strategia alternative.
E una volta messo per iscritto, ogni discorso circola per le mani di tutti, tanto di chi l'intende quanto di chi non c'entra nulla, né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. (Fedro, 275d-e)
Se Platone avesse adottato il testo come strumento esclusivo o principale per la conservazione e comunicazione del sapere, in quanto distinto dalla mera informazione, avrebbe dovuto controllarne la diffusione e la copia.
Infatti, per diffondere un testo nel tempo e nello spazio occorre riprodurlo, perché anche i supporti più durevoli nel tempo sono soggetti al deterioramento: ma, se lo scrittore lo abbandona a se stesso, è facile mutilarlo o alterarlo, per ignoranza o per malizia, proprio perché non sa difendersi da solo.
La copia, tuttavia, non è soltanto il vettore della contraffazione, ma anche un medium essenziale per la diffusione spaziale e temporale dello scritto. Il controllo della copia avrà pertanto come conseguenza una limitazione della disseminazione del testo; sarà dunque più facile che le copie disponibili, essendo in minor numero, vadano perdute o per l'usura del tempo o per qualche catastrofe. Inoltre, una scarsa circolazione dei testi renderà esigua la comunità culturale che li conosce, così che, anche se un libro riuscisse fisicamente a sopravvivere, sarebbe comunque soggetto al rischio di diventare incomprensibile, perché nessuno più è in grado di interpretarlo.
Platone ha alla fine scelto di scrivere, nonostante i limiti della scrittura, ma nel quadro di una strategia più complessa. Chi conosce il bello e il giusto:
...seminerà i giardini di lettere e scriverà per gioco, se scriverà, raccogliendo un tesoro di hypomnèmata (ricordi) per se stesso, qualora giunga alla vecchiaia, l'età della dimenticanza (lethe), e per chiunque sia partecipe della medesima traccia. (Fedro, 276d)
Ma è molto più bello impegnarsi sul serio qualora, valendosi dell'arte dialettica (dialektiké techne) e presa un'anima appropriata, con scienza (episteme) si piantino e si seminino discorsi, i quali sono in grado di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e che, invece di essere sterili, hanno un seme da cui nasceranno sempre altri discorsi in altri caratteri, così da riuscire a rendere il processo immortale, e da far felice chi lo possiede nel più alto grado possibile a un essere umano. (Fedro, 276e-277a)
Platone ha scelto di prendere sul serio il compito di "scrivere nell'anima": si è dedicato alla creazione di una comunità culturale e ha trattato il testo scritto come un semplice ausilio mnemonico, che può produrre sapere solo se una persona capace di seguirne le tracce lo leggerà attentamente. Chi ragiona così non ha motivo di controllare la copia dei suoi scritti, che circolano liberamente, sia pure con il rischio di ricevere versioni alterate o apocrife. La continuità della tradizione culturale, dovuta alla continuità di una comunità di persone che perdura sia grazie all'istruzione diretta, sia grazie all'interpretazione di testi facilmente accessibili, assicura il perpetuarsi del sapere. Le persone sono meno durevoli della maggior parte dei supporti materiali destinati alla conservazione dell'informazione: ma sono le comunità di conoscenza, composte da persone, a far sì che l'informazione rimanga sapere.
In una prospettiva più pedestre, sono le persone che copiano e transcodificano i testi, producendo una ridondanza che li mette al sicuro dell'usura del tempo e dalle catastrofi della storia. Ancor pià prosaicamente ed egoisticamente, la strategia platonica, in un momento in cui gli scrittori che riescono a vivere della vendita delle proprie opere sono solo rarissime eccezioni, gli autori hanno tutto l'interesse a lasciar liberi i testi, in modo da ampliare la circolazione del proprio nome e le loro quotazioni sul mercato delle attività collaterali - che va dalle conferenze, agli articoli a pagamento, alle carriere universitarie.
Platone ha dunque fondato l'Accademia come germe di una comunità di conoscenza e ha lasciato liberi i suoi scritti nelle sabbie mobili del samizdat antico. Il fatto che dopo due millenni e mezzo discutiamo ancora del suo pensiero mostra che la storia gli ha dato ragione, con un successo editoriale di 2500 anni. La validità di GNU-Linux, fondata similmente sulla comunità degli utenti e degli sviluppatori e sulla libertà del codice, non è, in questa prospettiva, una bizzarria dell'informatica. Tutte le esperienza culturali significative dell'umanità - quelle che riescono a scavalcare i secoli e le generazioni – hanno avuto modalità di disseminazione simili. Voler ridurre il sapere a proprietà privata, entro una prospettiva strettamente economicistica per la quale “a lungo termine saremo tutti morti” significa eliminare in radice la possibilità di dar origine e di prender parte ad esperienze culturali significative. Per questo motivo il regime delle proprie opere è una questione che riguarda gli autori – o, perlomeno, gli autori che ambiscono a rimanere vivi a lungo termine, quando gli altri saranno tutti morti.
“Le cose degli amici sono comuni”: conoscenza, politica e proprietà intellettuale. Articolo per il numero 0 della rivista "ISDR" da cui è stata tratta questa conferenza.
Promuovere l'open access nelle scienze umane. traduzione italiana di F. Di Donato per il Bollettino telematico di filosofia politica. .
Per la pubblicità del sapere. PLUS. Pisa. 2004.
Usare la rete per fare ricerca: esperienze OA alla facoltà di Scienze politiche di Pisa.
[1] Platone, Fedro, 279 b-c.
[2] Il lungo articolo di Guèdon In Oldenburg’s Long Shadow: Librarians, Research Scientists, Publishers, and the Control of Scientific Publishing è stato tradotto in italiano e messo a disposizione sotto forma di volume entro la collana Méthexis.
[3] Quando Socrate critica la poesia, nel II libro della Repubblica, compie questa precisazione:
...invece le favole di Hera messa in catene dal figlio, di Efesto fatto precipitare dal padre mentre accorreva a difendere la madre percossa, e di tutte le battaglie divine riportate da Omero, non si devono ammettere nella città, abbiano o no queste invenzioni un significato nascosto. [378d]
[4] M. Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, Milano, Mondadori, 1992, p. 113.
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