Ch. Friecke, P. König,
Th. Petersen (hrsg. v.), Das Recht der Vernunft. Kant und Hegel über
Denken, Erkennen und Handeln, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog,
1995, pp. 438.
M. Alessio, Azione ed eticità
in Hegel. Saggio sulla 'Filosofia del diritto, Milano, Guerini e Associati,
1996, pp. 280.
La raccolta Das Recht der Vernunft (edita
nella collana Spekulation und Erfahrung, della Frommann di Stoccarda),
esce in occasione dei sessantacinque anni di Hans Friedrich Fulda. Fra
i più illustri studiosi della filosofia classica tedesca, già
presidente della Hegel-Vereinigung, Fulda ha contribuito agli studi di
filosofia politica con il volume: Das Recht der Philosophie in Hegels
Philosophie des Rechts (Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1965), nel quale
per la prima volta veniva proposta la lettura in chiave logica della Filosofia
del diritto hegeliana.
Nel volume che si segnala sono raccolti
saggi di varia provenienza e di vario interesse. Alla filosofia pratica
è dedicata la seconda sezione, nella quale si trovano i contributi
relativi alla moralità, al diritto, e alla storia). In merito a
questi argomenti, il volume focalizza il recente dibattito sulla teoria
dell'azione, in modo particolare il rapporto intercorrente tra l'azione
morale e l'azione etica, al quale è stato ricondotto il confronto
tra Kant e Hegel. Su questa linea si collocano i contributi di Karl Ameriks
(Probleme der Moralität bei Kant und Hegel, pp. 263-89), di
Claudio Cesa (Hegel und die kantische Moralität, pp. 291-309),
di Ludwig Siep (Das Recht als Ziel der Geschichte. Überlegungen
im Anschluss an Kant und Hegel, pp. 355-79), e di Bernard Bourgeois
(Kunst der Natur und List der Vernunft, pp. 381-404). Il rapporto
tra la filosofia pratica di Kant e quella di Hegel è molto interessante
per comprendere non solo le differenze sistematiche tra i due pensatori,
ma anche la realtà politica contemporanea, divisa fino ai nostri
giorni nella scelta tra moralità e eticità.
Il merito dei lavori presenti in questa raccolta è quello di mostrare
il rapporto tra Kant e Hegel superando lo schema di contrapposizione, per
contestualizzarlo all'interno di un orizzonte problematico comune: quello
della forma pratica della razionalità, cioè della volontà
e del suo rapporto con la libertà. Soltanto in questo modo
si possono mettere in luce sia le convergenze tra il pensiero morale di
Kant e quello di Hegel, sia il tentativo hegeliano di superamento e conciliazione
della moralità kantiana. In questa prospettiva si collocano tanto
il contributo di Cesa, quanto quello di Siep: il primo sottolinea la confluenza
in Hegel delle istanze morali originarie di Kant, il secondo la permanenza
nella Filosofia del diritto della concezione kantiana del diritto
come orizzonte per la comprensione dello sviluppo storico. In conclusione,
il valore unitario di questa raccolta deve essere ricercato nel tentativo
di dare una lettura complessiva, e il più possibile coerente, di
quel periodo della storia del pensiero che ha avuto per maggiori rappresentanti i filosofi
di Königsberg e di Stoccarda.
Sugli stessi temi relativi alla teoria
pratica di Hegel un altro lavoro significativo è il volume di Manuela
Alessio, il cui obiettivo principale è quello di dare unelaborazione
alla forma dellazione etica. Secondo l'interpretazione introdotta nel
nostro paese da Bertrando Spaventa e proseguita da Benedetto Croce e
Giovanni Gentile, la concezione dell'eticità dovrebbe costituire
il carattere maggiormente significativo della filosofia hegeliana. Già
all'epoca, a una tale interpretazione si opponeva quella di Augusto Vera,
la quale è stata fatta propria nel nostro secolo da Karl Löwith,
in Germania, e da Enrico De Negri in Italia. Costoro impostavano la loro
lettura di Hegel sul carattere speculativo, manifestando in questo modo
l'interesse per tutti quegli elementi che andavano oltre la dottrina dell'eticità,
cioè la moralità e la religione. Nel solco
di quest'ultima tradizione si collocano anche i lavori, a noi più
recenti, di Claudio Cesa e Giuliano Marini, i quali hanno posto in rilievo
il valore dell'individuo finito nel rapporto tra moralità
e eticità, e tra libertà soggettiva e libertà
oggettiva.
Il
volume di Manuela Alessio deve essere visto alla luce di queste grandi
scelte interpretative. Secondo l'autrice, l'eticità
è superamento perentorio del momento morale (pp. 40-60), e la sostanza
etica è il reale fondamento dell'azione (pp. 60-9; pp. 153-73),
perché, scrive la Alessio citando da un passo dell'Estetica,
solo gli individui possono agire "effettualmente" (p. 240). In merito
alla teoria dell'agire, ci limitiamo a notare solamente la problematicità
del riferimento sistematico citato dall'autrice, giacché per
affrontare esaurientemente un simile argomento bisognerebbe esplicitare
la differenza fondamentale presente nella filosofia hegeliana tra l'azione
umana (die Handlung) e l'agire assoluto (die absolute Tätigkeit),
sulla quale non possiamo soffermarci in questa sede. A caratterizzare in
modo particolare il volume della Alessio sta il suo esplicito accostamento
della Filosofia del diritto hegeliana alle categorie della filosofia
politica di Carl Schmitt, seguendo una tendenza recente, che trova aderenti
in J.-F. Kervégan e in Giuseppe Duso. Questa tendenza ha tentato
di uscire dalla contrapposizione tradizionale tra spirito oggettivo
e spirito assoluto, spostando l'interesse sulle questioni relative
alla natura della sovranità e della decisione del monarca, in modo
indipendente dal restante apparato concettuale che caratterizza il nucleo
teorico dell'opera hegeliana sul diritto.
Per molti versi l'operazione di questi
autori, e con essi della Alessio, non ci sembra molto dissimile da quella
tentata anni fa da Karl Heinz Ilting; evidentemente, con intenzionalità
e scopi opposti, ma con una metodologia comune. Nel volume una tale metodologia
si manifesta in modo molto chiaro proprio nella trattazione del potere
del principe (pp. 175 sgg.). È da premettere che le fonti attraverso
le quali l'autrice ricostruisce questa visione del principe e della sua
volontà sovrana sono numerose e abbastanza univoche; inoltre, Hegel
tratta ampiamente la natura del monarca caratterizzandola in relazione
al fatto di essere la personificazione della volontà allinterno
dei poteri dello stato. Pertanto, seguendo il testo hegeliano la natura
del principe dovrebbe essere la pura decisione (Rph., §§
275-79). Tuttavia, in altri luoghi Hegel sembra non restare fedele a questa
posizione descritta nel 1820-21, e, addirittura, sembra spostare la considerazione
del momento rappresentativo della totalità dal monarca al governo
(Enz. C, § 541).
L'oscillazione delle posizioni hegeliane si può spiegare in riferimento
alla Filosofia della storia: a ben guardare, lagire del monarca
è posto da Hegel allinterno del contesto di una storia del mondo
che si articola alla luce di un destino che trascende la possibilità
stessa della decisione del sovrano, in quanto questultima rimane sempre
confinata nella finitezza umana. Allora, la questione della volontà
decidente del principe rimanda al rapporto esistente tra lagire umano
e lo sviluppo dellassoluto, con il quale si chiude la Filosofia del
diritto. Lagire del monarca, alla luce del corso del mondo, appare
non più come lacme (die Spitze) della possibilità
dellagire umano, ma diviene un esempio dellincommensurabilità
tra finità e infinità, e rende manifesta laccidentalità
alla radice delle azioni compiute nel mondo. Al contrario, la ricostruzione
della problematica storica effettuata dall'autrice muove da una tesi definita
in modo netto e preliminare: cioè, prosegue nella scelta in favore
dello spirito oggettivo, la quale era stata inaugurata subito dopo
la morte di Hegel da Eduard Gans, ed è giunta fino a noi attraverso
il filtro della scuola dei giovani-hegeliani.
Prezioso
merito dell'autrice, è quello di tentare sulla via di questa scelta
interpretativa una attualizzazione della filosofia hegeliana, mettendola
in relazione con la dimensione moderna della politica. È proprio
in questa direzione che sorgono gli elementi di riflessione più
interessanti, perché è senzaltro vero che il dissolvimento
della tradizione "borghese-cristiana" ha introdotto in politica una radicalità
nel conflitto etico prima sconosciuta, come aveva sapientemente visto Karl
Löwith. Nondimeno, sarebbe interessante riflettere sul modo in cui
Hegel, pur ponendo fortemente l'accento sulla questione dello spirito
oggettivo, non ha mai inteso quest'ultimo soltanto in termini di conflitto
etico; al contrario, per Hegel la radicalità del conflitto è
sempre un'apparenza nei confronti del necessario costituirsi della realtà.
Ma nel volume della Alessio questa dimensione problematica è stata
abbandonata, per via di quella scelta operata in via preliminare, la quale
fa scomparire il fatto che, al di là di ogni disputa di scuola,
la visione hegeliana del mondo moderno non può essere assimilata
a quella dei suoi successori sulla via dell'eticità.
Nico De Federicis
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