Luigi Bonanate, Democrazia tra le
nazioni,Milano, Bruno Mondadori, 2001, pp. 214
In questo lavoro Bonanate trasferisce i temi classici della
sua riflessione - la pace e il ruolo degli stati nella costruzione
di un ordine internazionale - sul terreno di una
indagine dedicata alle condizioni di possibilità di una
democrazia che sia in grado di affermarsi su scala tendenzialmente
mondiale. Le considerazioni sviluppate nel corso del volume
possono essere raggruppate intorno a tre nuclei fondamentali:
- una tesi a carattere metodologico, con la quale l'autore. denuncia la
"difficoltà cronica" di cui la teoria delle relazioni
internazionali è stata vittima a causa della persistenza della
"prospettiva statocentrica", unita ad una certa
tendenza ad imputare alla natura della vita internazionale
"le colpe che invece risalgono alla volontà, buona o
cattiva degli stati" (p. 79);
- un insieme di tesi
descrittive circa lo stato attuale della democrazia, delle
relazioni internazionali e del diritto internazionale;
- un
insieme di tesi normative vertenti sul concetto stesso di
democrazia applicabile allo scenario internazionale; sul rapporto
tra democrazia internazionale e pace; su democrazia e pluralità
delle culture, su estensione della democrazia e destino del
principio di sovranità statuale.
Nella convinzione che il tema
dell'estensione della democrazia agli stati del mondo sia una
delle questioni centrali per la teoria democratica odierna,
l'analisi di Bonanate muove dalla
premessa secondo cui la nascita e l'evoluzione della democrazia
internamente agli stati, lungi dall'essere una questione che
investe la sola politica interna, dipende invece essenzialmente
da ragioni di tipo internazionale: "la costituzione interna
della forma dello stato è determinata dall'esterno, è esogena e
non endogena" (p. 12). Il discorso così sviluppato
dall'autore non mira a giustificare la democrazia, rispetto alla
quale egli si limita a constatare che essa è la forma
di stato senz'altro preferibile, ma punta a mettere in luce, nella
democrazia, l'odierna connotazione costitutivamente
internazionale. Inoltre, la democrazia, nella misura in cui
costituisce una sorta di "bene pubblico", sarebbe anche
indipendente dai condizionamenti culturali: in questo senso si
nega (e qui il discorso si sposta al livello normativo) che il
riconoscimento del fatto, come anche del valore, del pluralismo
delle culture ed ancor meno l'eventuale approdo a posizioni di
relativismo possano chiudere la questione delle condizioni di
possibilità di una democrazia sempre più estesa. Un ulteriore
ostacolo è stato tradizionalmente individuato su questa strada
dal principio di sovranità statuale: a questo proposito l'autore
accoglie ed elabora l'idea che la sovranità degli stati,
inseguita per secoli da pochi stati, perduta da parte di quasi
tutti gli stati nell'età del bipolarismo, parzialmente
riacquistata dopo il 1989 ma subito nuovamente persa per effetto
del processo di globalizzazione, sia un "mito" (p. 97).
Le tesi più spiccatamente normative riguardano le condizioni
necessarie ad una corretta e rapida diffusione della democrazia
al livello della comunità internazionale e in tutti gli stati.
L'autore le riassume in tre punti:
- la necessità di elaborare
una concezione minima della società internazionale;
- l'affermazione di un dovere reciproco e prima facie tra
gli stati di non ingerenza, con l'unica eccezione dell'ingerenza
per autodifesa;
- la necessità di operare una redistribuzione
delle ricchezze su scala mondiale.
Naturalmente, la possibilità
di accostare il tema dell'estensione della democrazia non può
non prescindere, secondo l'autore, da una distinzione concettuale
tra problemi di qualità della democrazia (che riguardano i Paesi
capitalistici a più lunga tradizione democratica), problemi di
quantità (che riguardano i paesi dell'Europa Orientale) e
problemi intermedi tra qualità e quantità (che riguardano i
Paesi del Sud-est asiatico). Inoltre, la necessità di pervenire
ad una adeguata concettualizzazione della democrazia stessa
emerge, nell'analisi offerta da Bonanate, là dove si sottolinea
come le critiche alla scarsa democraticità delle istituzioni
politiche e giuridiche dell'Unione Europea risultano viziate
dalla volontà di applicare alla sfera dell'Unione Europea una
concezione sostanzialistica della democrazia. Diversamente,
Bonanate difende in queste pagine l'efficacia di una concezione
procedurale della democrazia. Un complesso ambito di problemi
resta, tuttavia, nell'analisi condotta in questo lavoro
consapevolmente aperto e riguarda la domanda se si possa imporre
la democrazia. La linea scelta dall'autore tende a
riconoscere la "bontà" della pressione internazionale
sui processi politici interni agli stati, pur non nascondendo la
possibilità che la "buona intenzione" di diffondere la
democrazia possa trasformarsi in ingerenza negli affari interni
di altri paesi al solo fine di soddisfare interessi estranei alla
protezione della democrazia e dei diritti umani. Il caso
dell'intervento in Kosovo è in tal senso ampiamente esaminato
nel volume. L'idea di Bonanate è che non si possa discutere
della moralità di quella guerra senza prima discutere della
moralità della politica che l'ha preceduta. E' comunque evidente
che la difficoltà di reperire dei criteri stabili di
giustificazione dell'ingerenza non può non ricadere,
indebolendole, sulle tesi normative da Bonanante sottoscritte
circa la genesi della democrazia da sollecitazioni provenienti
dal piano internazionale, così come sulla convinzione che la
democrazia così realizzabile possa essere solo procedurale.
|