Gabriel Chalmeta, La
giustizia politica in Tommaso d'Aquino. Un'interpretazione della nozione tomista di bene
comune, Roma, Armando, 2000.
Il saggio prende l'avvio da una
constatazione di fatto: lo Stato liberal-democratico, liberal-sociale, assistenziale, del welfare,
come tante altre realtà proprie della modernità, sembra essere giunto al "capolinea
del postmoderno". Quali dunque possono essere le soluzioni della crisi
socio-politica? Qual è il sistema di organizzazione politica chiamato a sostituire il Welfare
State? Secondo l'autore siamo di fronte a interrogativi che richiedono una risposta
anzitutto sotto il profilo etico, perché si tratta in sostanza di sostituire alla
curiosità verso il "che cosa verrà dopo" una domanda sul "che cosa
dovremmo volere per il dopo".
Utilitarismo e contrattualismo
Lo Stato contemporaneo, in quanto forma di organizzazione della
società politica chiamata ad assicurare le libertà e il benessere dei cittadini, si è
formato sostanzialmente sotto l'impulso della dottrina politica utilitarista, che ha
trovato la sua espressione più matura in epoca moderna grazie soprattutto alle opere di Jeremy Bentham e John Stuart
Mill.
Nucleo forte di ogni teoria politica utilitarista è
la definizione del bene del cittadino prima e indipendentemente dal "politicamente
giusto", definito come quel sistema di relazioni politiche che all'interno della
società massimizza il bene dei cittadini. "Se la felicità di una persona è un bene
per quella persona - scrive J.S. Mill -, la felicità generale è, allora, un bene per
tutta la collettività" (J.S. Mill, Utilitarism, cap. IV). Il principio etico-politico
fondamentale sarà l'Utility, or the Greatest Happiness Principle, per il quale
una società politica è giusta, se ordinata in modo tale da consentire il raggiungimento
della massima quantità complessiva di felicità. Viene così stabilita la possibilità di
determinare la giustizia politica mediante un calcolo di natura matematica che
consiste, essenzialmente, nella somma della felicità conseguita, nel loro insieme, dai
cittadini (cfr. J.S. Mill, Utilitarism,
cit., cap. II).
Non v'è dubbio, riconosce l'autore, che sotto la guida di questo modello di giustizia
politica, lo Stato, progressivamente costituitosi come Welfare State a partire
della seconda metà del secolo XIX, abbia contribuito a dare un impulso decisivo
all'affermazione delle libertà individuali e della solidarietà politica. A ogni modo,
insiste l'autore, appare innegabile che l'attuale crisi di questa forma di organizzazione
sociale sia soltanto una manifestazione dell'esaurita potenzialità di giustizia di questo
tipo di razionalità etico-politica, causata dall'impiego della logica matematica per la
determinazione di ciò che è politicamente giusto (cfr. G. Chalmeta, Giustizia
aritmetica? I limiti del paradigma politico utilitarista, Acta Philosophica,
VII (1998) 1, pp. 5-22).
Di contro, il contrattualismo tende ad applicare
analogicamente all'ambito politico la teoria del contratto, propria del diritto privato,
quale azione giuridica basata sul consenso di tutte le parti per garantire il fondamentale
diritto di ognuno a realizzare il proprio progetto di felicità. Il che non può accadere
quando il "principio della felicità" è posto a fondamento della giustizia
politica, perché "il sovrano vuol rendere felice il popolo secondo le sue vedute e
diventa despota: il popolo non vuol lasciarsi spogliare del diritto comune a tutti gli
uomini alla propria felicità e diventa ribelle" (cfr. I. Kant, Sopra il detto
comune: "Questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica",
in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, trad. it. di G.
Solari, Utet, Torino 1956, p. 268).
Secondo l'autore la crisi del Welfare State ha contribuito a riportare in primo
piano questa figura politica. Non solo: gran parte delle proposte elaborate nei tempi più
recenti da autori di filosofia politica mostrano una matrice neocontrattualista e parte
del merito di questa rinascita va attribuita alla pubblicazione, nel 1971, dell'opera di John Rawls A
Theory of Justice, nella quale si avanza la proposta, leggiamo nella Prefazione,
"di generalizzare e portare ad un più alto livello di astrazione la teoria
tradizionale del contratto sociale di Locke, Rousseau
e Kant [
], in
modo da non prestare il fianco alle più ovvie obiezioni che spesso sono sembrate esserle
fatali".
È opinione dell'autore, comunque, che le nuove versioni del contrattualismo
pervengano a conclusioni teoriche insoddisfacenti: "Laddove, come richiesto dalla
neutralità etica contrattualista, venga riconosciuto un valore autonomo a tutte le
pretese dei cittadini, per il solo fatto di trarre origine dal loro volere e non perché
espressione di un ordine etico obiettivo, lungi dal risolvere i conflitti esistenti,
verrà meno il terreno dove giungere all'accordo" (pp. 18-19). La possibilità di
accordo risiede nel riconoscimento da parte dei cittadini dell'esistenza di una verità
che precede il bene comune, cui dovrebbe tendere la loro libertà, e, dunque, di un fine
comune da raggiungere tutti insieme, in quanto società politica. Gli interessi
conflittuali si dovranno allora porre in relazione a questo bene o fine comune, per capire
in quale misura ciascuno di essi contribuisca alla sua realizzazione. Questa
relativizzazione dei propri interessi permetterà di distinguere gli interessi buoni dai
cattivi.
Attualità di Tommaso d'Aquino
È sullo sfondo di tali considerazioni che si sviluppa la
riflessione dell'Autore a partire dalla convinzione del grande
valore e attualità della filosofia politica di Tommaso d'Aquino.
L'autore di questo saggio ribadisce più volte la convinzione che
non è possibile trovare la soluzione ai problemi del "Welfare State" negli
scritti di Tommaso d'Aquino. Nel contempo, però, ha cercato di mostrare il grande valore
e l'attualità della filosofia politica dell'Aquinate. Sostiene, infatti, che le opere
politiche di Tommaso ammettono un tipo di "lettura" da cui emergono alcuni
principi di giustizia politico-giuridica a partire dai quali l'interprete può - senza
forzature - sviluppare una riflessione in grado di superare a testa alta il confronto
dialettico con le proposte politiche moderne e postmoderne, nonché di contribuire
positivamente alla soluzione dei problemi del "Welfare State", e alla
costruzione di una società politica più giusta.
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La giustificazione teoretica di una lettura "attuale"
degli scritti di Tommaso risiede principalmente nel fatto che la sua riflessione politica
è il risultato di un incontro tra "il giudizioso utilitarismo" di Aristotele e
"l'idea contrattuale". Per riprendere le parole di Chalmeta la
dignità dell'uomo "si fonda sulla capacità (potenzialità) della volontà umana di
essere 'creativa' di reali possibilità di autonomia e autodeterminazione (virtù)
per gli altri, e di attualizzarsi man mano che il soggetto decide effettivamente di creare
rapporti non solo di coordinazione, ma anche di collaborazione positiva con l'esercizio
della libertà (virtù) degli altri" (p. 134).
Conclusione
Come dunque uscire oggi dalla situazione di profonda crisi del Welfare
State alla luce dell'ideale politico appena delineato? La soluzione non starà nel
cercare semplicemente di far proprio "un criterio più ristretto per definire gli
interessi sociali, limitando gli interventi pubblici a quel tanto che effettivamente
possono ottenere (il welfare sostenibile)" (p. 134). Simile progetto
politico-giuridico recherebbe con sé la stessa debolezza dello Stato contemporaneo:
l'ignoranza dal punto di vista teoretico e pratico del valore e delle implicazioni del
principio di sussidiarietà.
La soluzione dei problemi dello Stato attuale, al
contrario, passa attraverso l'applicazione di questo principio. "E applicarlo -
scrive l'autore - significa, innanzitutto, prendere coscienza dell'importanza da
attribuire ad una serie di gruppi umani, costituenti il cosiddetto settore del
privato-sociale' o Terzo settore', alcuni antichi (come la famiglia o la
scuola) e altri recenti (come il volontariato, le organizzazioni non governative, ecc.).
La loro attività, già oggi di grande efficacia nella produzione di beni politici e nella
creazione di solidarietà, se opportunamente potenziata, potrebbe aumentare ogni giorno di
più" (p. 134).
La funzione dello Stato e del Diritto pertanto sarà quella di riconoscere, tutelare e
favorire l'attività di tali soggetti sociali, favorendo un lavoro di coordinamento
affinché la loro solidarietà abbia valore universale. Relativamente alla determinazione
dei fini e alla gestione dell'attività, soggiungel'autore occorre tuttavia lasciare a
questi soggetti grande autonomia. "Sebbene - conclude il nostro autore - molti
cittadini, o persino la società politica nell'insieme, condividano i progetti che tali
soggetti sociali cercano di realizzare, la loro attuazione non si può convertire in un
obiettivo istituzionale, ma dovrà essere affidata alla loro autonomia".
Angelo Marocco
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