Gerardo
Cunico, Il millennio del filosofo: chiliasmo e teleologia morale
in Kant, ETS, Pisa 2001
L'occasione
del passaggio al nuovo millennio e le contraddizioni di cui tale passaggio
si fa specchio sono lo stimolo da cui Gerardo Cunico prende le mosse
per proporre un percorso di lettura tra i testi kantiani in grado
di riportare alla memoria, e così alla discussione, il modo in cui
il filosofo tedesco ha riflettuto sul futuro e sul senso della storia
del genere umano.
Nella prima e più ampia parte del testo l'autore propone
una ricostruzione dei contesti e dei significati che assume nella
filosofia di Kant il termine millenarismo (o chiliasmo), "inteso
(nel significato di base del concetto) come la dottrina (messianico-cristiana)
che attende un regno millenario di Cristo sulla terra, insieme coi
santi e martiri risorti, nel millennio precedente il giudizio finale"
(p. 16). Il riferimento al millenarismo è legato al concetto di un'epoca
di compimento e di perfezionamento, ovvero al perseguimento di un
regno di Dio sulla terra. Poiché per l'uomo è un dovere obbligatorio
tendere tanto alla perfezione giuridica quanto alla perfezione etica,
si distingue così un duplice chiliasmo, filosofico e teologico.
Cunico mette in luce come il primo compaia (per la prima volta nello
scritto dell''84 Idea per una storia universale dal punto di vista
cosmopolitico) in riferimento alla costituzione politica e cosmopolitica
perfetta. Tale costituzione implica tre concezioni: l'idea del diritto
pubblico, che produce uno scopo che è al tempo stesso un dovere, uno
scopo oggettivo che non indica né un dovere giuridico particolare
né il fondamento di tutti i doveri in generale, bensì il dovere di
fondare uno stato giuridico civile; la concezione della storia filosofica
come prognosi di uno stato di cose futuro (o di un progresso verso
tale stato); l'idea di storia filosofica che si fonda sulla concezione
che le tendenze naturali dell'uomo abbiano il loro completo svolgimento
nel genere umano, e che tale svolgimento possa riconoscersi come uno
sviluppo continuo e costante (p. 68). In tale prospettiva, la repubblica
è l'unica forma regiminis pienamente conforme all'idea di diritto,
e dunque è necessaria a produrre un assetto dei rapporti umani (intrastatuali
e internazionali) in grado di assicurare una condizione di pace perpetua
che si radichi nel rifiuto della violenza nei rapporti sociali e pubblici
(Pace perpetua). Il chiliasmo filosofico mette in risalto la
condizione essenziale, necessaria e pur non sufficiente, per la realizzazione
dell'umanità sul piano morale, vale a dire l'attuazione dello scopo
giuridico, che deve essere pensata e proposta come base per l'attuazione
piena dello scopo etico comunitario e generale. La condizione sufficiente
è invece rintracciabile nel chiliasmo teologico, che indica la teoria
della comunità etica come regno di Dio sulla terra (La religione
nei limiti della semplice ragione). Si tratta di un chiliasmo
propriamente etico, che viene detto teologico in opposizione a quello
filosofico perché contiene un riferimento privilegiato a Dio come
fondatore e legislatore (capo supremo) della comunità etica (chiesa).
Il male, sottolinea Cunico, viene superato in una chiesa; solo una
comunità etica 'pubblica' è infatti in grado di garantire la possibilità
di una stabilizzazione dell'intenzione interiore buona e così anche
di un miglioramento progressivo del carattere empirico e del comportamento
esteriore, dei singoli come dell'umanità in generale. Il problema
dell'attuazione del bene dunque chiama in causa l'idea della comunità
civile. La tensione dell'umanità verso il progresso trova i mezzi appropriati
al compiersi di tale perfezionamento nella religione e nell'illuminismo,
inteso come il processo di uscita dalla minorità nella dimensione
individuale come in quella pubblica.
A sostegno di una siffatta lettura l'autore sviluppa due ulteriori
argomenti, che fanno da premesse all'argomentazione kantiana relativa
al chiliasmo. La prima premessa è illustrata nella seconda parte
del testo e riguarda il rapporto tra teodicea e teleologia della
morale, già oggetto di una precedente ricerca dell'autore (Da
Lessing a Kant. La storia in prospettiva escatologica, 1992):
tale rapporto indica una concezione del bene, inteso come ideale storico
di pace, - ovvero di convivenza pacifica di individui autonomi, anche
antagonisti eppure uniti da una comune destinazione alla concordanza
della comunità etica -, realizzabile nell'accordo finalistico di libertà
e natura; nel movimento verso il bene, il male, pur necessario, resta
"ciò che non ha da essere" (Nichtseinsollendes) ovvero contrario
allo scopo, e non contribuisce al raggiungimento del bene se non in
quanto realtà inevitabile della condizione umana. In un'accurata esegesi
dello scritto Sul fallimento di tutti i tentativi filosofici in
teodicea l'autore ricostruisce la critica di Kant alla teodicea
dottrinale, che oppone argomenti filosofici all'incompatibilità tra
Dio e male, o negando che il male sia effettivamente tale (cioè contrario
allo scopo di Dio), o riconducendolo a una qualche conseguenza inevitabile
della natura delle cose (negando quindi che vi sia un responsabile),
oppure, infine, attribuendo la responsabilità del male agli uomini.
La teodicea, al contrario, è autentica se rinuncia ad una dimostrazione
teoretica della congruenza tra corso del mondo e saggezza morale di
Dio basata sulla finalità manifestata dalla natura; se rifiuta tutte
le argomentazioni opposte a tale congruenza semplicemente in virtù
dell'appello all'autorità dell'imperativo morale; e se si configura
come un' interpretazione del corso del mondo e del suo ordine teleologico
alla sola luce dello scopo finale rivelato dalla ragione pratica e
quindi in virtù della fede morale nel Dio come sommo bene originario
e somma saggezza morale. Tale premessa porta alla rinuncia ad una
prospettiva teleologica sulla storia che pretenda di giustificare i
mali invece di limitarsi ad indicare il dovere (e dunque la possibilità)
del loro superamento.
La seconda premessa è oggetto della terza parte del testo,
ed è volta a esplicitare due legittimazioni: la prima legittimazione
riguarda il rapporto tra legge morale e teleologia pratica;
qui Cunico mostra che, se nel Naturrecht Feyerabend del 1784
e nella Fondazione della metafisica dei costumi, di un anno
successiva, Kant fonda la morale sul presupposto di una dottrina degli
scopi, successivamente (Critica della ragion pratica) la legge
morale come imperativo categorico non viene più formulata o legittimata
a partire dall'idea di scopo ma dall'idea di volontà (prima), e di
libertà (poi). La difficoltà posta dalla Fondazione secondo la quale
"noi ci supponiamo liberi nell'ordine delle cause efficienti, per
pensarci sotto leggi morali nell'ordine degli scopi; e poi ci pensiamo
sottoposti a queste leggi morali perché ci siamo attribuiti la libertà
del volere, in quanto libertà e autolegislatività della volontà sono
entrambe autonomia" (GMS B 104 s.) viene superata nella prefazione
alla seconda critica ove Kant afferma che la libertà è la ratio essendi
della legge morale mentre la legge morale è la ratio cognoscendi della
libertà. La seconda legittimazione è relativa al concetto di scopo
finale "inclusivo", o "sommo bene completo" (pp.210-218). L'argomentazione
seguita in questa parte del testo è esposta in forma di saggio programmatico
e costituisce un possibile sviluppo futuro della ricerca dell'autore
che meriterà certamente l'attenzione del lettore.
Di particolare interesse per gli aspetti più propriamente politici
resta la prima parte del volume che, affrontando "il problema dell'attuazione
intrastorica e pubblica della destinazione morale dell'uomo nella
molteplicità delle sue dimensioni e implicazioni" (p. 23), contribuisce
a rafforzare un'interpretazione dei testi kantiani la quale rifiuta
la banale equazione tra la filosofia politica di Kant e un liberalismo
alla cui base si trova una metafisica dell'individuo in quanto essere
razionale, astratto, privato dei legami e dei rapporti sociali. Qui
l'autore ha il merito particolare di sottolineare l'importanza della
componente della dimensione comunitaria (dunque intersoggettiva),
sviluppata soprattutto nella Religione nei limiti della semplice ragione,
anche per la filosofia (cosmo)politica di Kant. La relazione che l'autore
ricostruisce tra gli scritti politici e gli scritti religiosi di Kant
attraverso l'analisi del duplice chiliasmo, che esprime la tensione
della morale tra diritto ed etica, pone così in luce le condizioni
di possibilità per l'instaurazione di una condizione di pace stabile
e duratura nel mondo, principale preoccupazione del Kant politico,
e tutt'oggi attuale.