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Ultimo aggiornamento 29 ottobre 2000
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![]() Jaspers, Arendt, Lévinas, Adorno, Ricoeur, Jonas,
Camus, Stein, Del Noce Il testo curato da Roberto Gatti è una raccolta di saggi variamente dedicati al problema del male politico in relazione al totalitarismo e alla condizione umana, nella prospettiva di una selezione di filosofi e pensatori del Novecento. I coautori sono A. Ales Bello (Edith Stein), L. Alici (Hans Jonas), M. Gnocchini (Augusto Del Noce), F. Miano (Karl Jaspers), M. Pastrello (Emmanuel Lévinas), A. Pieretti (Albert Camus), I. Poma (Theodor W. Adorno), A. Rizzacasa (Paul Ricouer), V. Sorrentino (Hannah Arendt). Nell'Introduzione (pp. 5-36) il curatore afferma che il libro si propone solo uno scopo modesto, e cioè quello di offrire qualche scandaglio su questo tema. Tuttavia vengono menzionate alcune linee guida della ricerca, che prende le mosse da una osservazione di Luigi Pareyson a proposito della dimissione di responsabilità della filosofia del secondo dopoguerra di fronte all'Olocausto. Si tratta, questo, di un problema complesso, soprattutto se, come dice Roberto Gatti, si intende sottrarre la questione alla banalità - a quella banalità che Hannah Arendt ha visto come il contrassegno del male.
Fra i contributi, tutti interessanti, di cui si compone il testo, vale la pena di segnalare quello di Vincenzo Sorrentino su Hannah Arendt e quello di Maria Pastrello su Lévinas (pp.73-113). Se per banalità del male, sostiene Sorrentino (pp. 57-71), si intende l'incapacità di giudicare, essa non può essere completa, perché questo solleverebbe i colpevoli da ogni responsabilità. La banalità come assenza di pensiero, allora, deve essere intesa come una scelta consapevole, sia di chi prende decisioni, sia di chi "ubbidisce agli ordini" e si adegua passivamente. In questo caso, la scelta, come ogni scelta, è legata a moventi di valore: per esempio la ricerca di integrazione sociale ed autoconservazione. Questo significa, però, che, per non ribattere alla banalità del male con altra banalità, sotto forma di estetica dell'azione - di una vuota retorica della libertà e del giudizio - occorre affrontare, come non ha fatto la Arendt, le questioni della ragion pratica. Sorrentino osserva che quando la Arendt descrive l'azione, con i suoi caratteri di natalità, pluralità, uguaglianza, apparenza, lo fa in un modo implicitamente - e dunque acriticamente - normativo. Lévinas, nella sua prospettiva anti-heideggeriana, vede proprio nel radicamento nell'essere, nella dipendenza dell'azione da una ontologia descrittiva e totalizzante, la cifra del male. E forse, proprio per questa sua realtà, il male, per quanto vogliamo trattarlo come estraneo, ci è familiare e deve - anzi - rimanere tale, per una filosofia che voglia prendersi le proprie responsabilità.
Maria Chiara Pievatolo
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![]() ![]() A cura di: Brunella Casalini Emanuela Ceva Dino Costantini Nico De Federicis Corrado Del Bo' Francesca Di Donato Angelo Marocco Maria Chiara Pievatolo Progetto web di Maria Chiara Pievatolo Periodico elettronico codice ISSN 1591-4305 Inizio pubblicazione on line: 2000 ![]() ![]() |
Il settore "Recensioni" è curato da Nico De Federicis, Roberto Gatti, Barbara Henry, Maria Chiara Pievatolo. |