Annamaria Loche, Moralità del diritto e morale critica. Saggio
su Herbert Hart, Franco Angeli, Milano 1997, pp. 132.
Attraverso una puntuale analisi degli scritti hartiani che hanno segnato
il dibattito del filosofo oxoniense con Lon Fuller, Lord Devlin ed il suo
rapporto con le tesi dell'utilitarismo classico, fino al più recente
Law, Liberty and Morality, l'autrice giunge a focalizzare la definizione
ed il ruolo attribuiti da Hart al concetto di moralità critica e
a valutarne l'impatto sul complessivo pensiero politico del filosofo.
Il dibattito con Fuller corre, come è noto, interamente sul
filo della tematizzazione del rapporto tra diritto e morale, un tema presente
in tutta la produzione filosofica di Hart. La tesi della reciproca autonomia tra
morale
e diritto appare sin dall'inizio in Hart finalizzata a garantire la
libertà
per quei comportamenti individuali che sfuggono - secondo la prospettiva
hartiana - alla possibilità di venire valutati dal punto di vista
giuridico. Si tratta del medesimo fine cui, nell'ultima parte del proprio
pensiero, Hart risulta indirizzare l'impiego della nozione di morale critica.
Nell'ambito del dibattito sviluppatasi alla fine degli anni Cinquanta il
giuspositivista Hart sostiene la reciproca indipendenza di diritto e morale,
là dove Fuller - fautore di una forma, per così dire,
proceduralistica
di giusnaturalismo - sostiene l'esistenza di una moralità intrinseca
al diritto, senza la quale il diritto non potrebbe sussistere. È
nella discussione intorno all'obbligo giuridico, al suo fondamento ed alla
sua natura, che prende forma, all'interno del pensiero di Hart, il concetto
di morale critica. Fa ben osservare l'autrice come egli, interessato al
problema della morale sociale, non fondi la tesi dell'autonomia tra diritto
e morale sulla distinzione, di matrice kantiana, tra sfera dei doveri
esterni
- di pertinenza del diritto - e sfera dei doveri interni, di pertinenza
della morale. Questi i punti salienti della ricostruzione delle tesi di
Hart sul rapporto tra diritto e morale:
- l'affermazione di un
contenuto minimo di diritto naturale finalizzato a garantire un livello
minimo di sopravvivenza sociale (secondo una lettura mirante a sottolineare
nel pensiero di Hart l'eredità dell'utilitarismo, contro ogni tentazione
di individuare in tale concetto il segno di una "svolta" in senso
giusnaturalistico);
- la (persistente) negazione di qualunque relazione necessaria tra diritto
e morale;
- una concezione della morale positiva come permeata dei valori
dell'eguaglianza e della libertà;
- una concezione del diritto
come categoria atta a determinare l'equità e la legalità;
- un contenuto del diritto che non prescinda mai dal fine rappresentato
dalla sopravvivenza sociale.
Il tema della legittimità o meno dell'imposizione (enforcement)
della morale attraverso il diritto è il terreno teorico sul quale
si situa il dibattito tra Hart e Devlin. Contro la tesi, da quest'ultimo
sostenuta, dell'identità tra diritto penale e principi morali,
la prospettiva hartiana trae tutta la propria forza ed originalità
dalla distinzione tra paternalismo giuridico e moralismo giuridico. Il
primo sarebbe il frutto di un'interpretazione in senso estensivo del principio
del danno di Mill; il secondo afferma la liceità del ricorso al
diritto per imporre norme morali. Si tratta di una distinzione che prelude
all'elaborazione del concetto di morale critica, centrale soprattutto per
il pensiero politico del filosofo inglese. Hart argomenta a favore
della possibilità di giustificare, in taluni casi, il paternalismo
giuridico, non però il moralismo, che viola deliberatamente la
distinzione
tra diritto e morale adottando, quale criterio di valutazione del diritto,
la moralità dominante. Mentre l'imposizione della morale attraverso
il diritto si configura come un problema che riguarda la morale, ancor
prima di essere discutibile sulla base della tesi dell'autonomia del diritto
dalla morale, l'ammissione del paternalismo non implica in Hart l'appiattimento
del diritto sulla morale convenzionale. Ciò proprio grazie al ruolo
riconosciuto alla morale critica. L'autrice sostiene che questo concetto,
peculiarmente se considerato alla luce della tesi affermante la
separazione
tra diritto e morale, permette di reperire una fondamentale linea di
giustificazione
della democrazia. La morale critica necessita, per funzionare, che si assuma
la distinzione tra diritto e morale, e su questa base, attraverso
l'argomentazione
e la discussione, si pone come strumento di costante valutazione
e revisione della morale positiva, anche di quella accolta e condivisa
da una maggioranza. L'accettazione parziale del paternalismo in Hart, qualora
la condotta di un soggetto arrechi danno (in senso più ampio di
quanto ammesso da Mill) alla società, offendendo, il senso pubblico
della decenza - accettazione con la quale egli mostra di prendere le distanze
dall'individualismo di J.S. Mill - consente, secondo Annamaria Loche, una
lettura dinamica del pensiero del filosofo oxoniense, evidenziandone i
legami con una prospettiva democratica di ascendenza benthamiana.
Il saggio si rivela un'interessante ricostruzione di alcuni fondamentali
passaggi della riflessione di Hart ed evidenzia al suo interno i punti
di strutturale contatto fra la filosofia giuridica e la filosofia politica.
In questa prospettiva, se risulta convincente la lettura che, nell'accoglimento
di una versione, per così dire, più "flessibile" del principio
del danno (in qualche modo attestato dal riferimento hartiano al "senso
pubblico della decenza" ed "alla società nel suo complesso"), consente
di reperire elementi capaci di ricondurre il pensiero politico di Hart
più al paradigma democratico più che a quello liberale, non
altrettanto convincente risulta la possibilità di affermare che
l'allontamento dalla prospettiva liberale si accompagni, nel pensiero del
filosofo inglese, ad un indebolimento dell'individualismo, come conseguenza
implicita della legittimazione di alcune forme di paternalismo (p.115).
Al contrario, proprio il ruolo assegnato alla morale critica ed il rifiuto
di vedere nella morale convenzionale la base per l'individuazione dei principi
giuridici parrebbero configurarsi come segni della costante presenza
dell'individualismo
etico e metodologico al fondo della teoria di Hart.
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