Bollettino telematico di filosofia politica
Il labirinto della cattedrale di Chartres
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Ultimo aggiornamento 28 febbraio 2001

S. Sara Monoson, Plato's Democratic Entanglements. Athenian Politics and the Practice of Philosophy, Princeton, Princeton U.P., 2000, pp. 252.



Secondo l'interpretazione canonica - e ancor più secondo una vulgata diffusa da autori come Popper - Platone è un critico radicale della democrazia. Il libro di S. Sara Monoson si propone di mostrare che il coinvolgimento di Platone nei confronti della costituzione democratica antica è più complesso e ambivalente di quanto questa tradizione induca a credere. Questa complessità è già presente nella parola greca correntemente tradotta come costituzione, politeia, che, come è noto, non designa solo la costituzione come regime politico, ma anche la vita comunitaria e culturale che ne è l'humus e la sostanza. Per questo, per comprendere il rapporto di Platone con la costituzione democratica, occorre considerare non solo la sua opinione sul regime, ma anche il suo rapporto con la vita e la cultura della città democratica nella sua interezza.
Quanto condivide Platone della cultura democratica di Atene? In rapporto a questa cultura, la pratica filosofica platonica è meglio interpretabile come opposizione o come prosecuzione critica? Per rispondere a queste domande, l'autrice prende in esame alcuni aspetti fondamentali della vita della democrazia ateniese e ne ricerca la presenza e gli sviluppi nei testi platonici (pp. 3-18).



La cultura della democrazia

Un elemento importante dell'immaginario democratico ateniese era la vicenda romanzata dei tirannicidi, Armodio e Aristogitone, che rappresentavano idealmente l'unità della città contro il nemico comune e la continuità fra gli interessi privati dei singoli e l'interesse della città (pp. 21-50). Questo ideale di unità civica e di continuità fra relazioni private e relazioni pubbliche formava l'immagine del cittadino come:
  1. persona che parla con franchezza (parrhesiastes)
  2. amante (erastes)
  3. spettatore teatrale (theates)
Per gli Ateniesi, la democrazia non si fondava solo sul diritto a parlare ai concittadini in assemblea (isegoria), ma anche su un'etica partecipativa che esaltava il discorso franco, o parrhesia, associato con l'onestà di criticare e di dire la verità, eventualmente a proprio rischio. L'etica della parrhesia non tutelava la libertà intellettuale - Anassagora, Diagora, Protagora e Socrate furono processati e condannati per reati "d'opinione" - ma richiedeva agli uomini liberi il coraggio di parlare pubblicamente e sinceramente. Per questo i cittadini si distinguono dagli schiavi e la democrazia si distingue dalla tirannide. La libertà di una città i cui cittadini manchino di questa forma di integrità sarebbe in grave pericolo (pp. 51-63).

Nell'orazione sopra i caduti che Tucidide mette in bocca a Pericle i cittadini sono esortati a diventare gli amanti della città (2.43.1). Questa metafora - erastes si riferisce al partner attivo, "vincente", di un incontro sessuale, inteso come gioco a somma zero - comporta il rischio che il rapporto di dedizione della città col cittadino sia una relazione di dipendenza e sfruttamento. Dal momento che il discorso di Pericle è un discorso encomiastico, dobbiamo pensare che ci si stia riferendo alla relazione omoerotica codificata e ritualizzata fra cittadini maschi liberi, che evitava le stigmate del disonore per la parte soccombente: la relazione fra cittadino e città non è naturale, ma frutto di una scelta, e l'interesse della città per il cittadino deve essere meritato. La metafora del cittadino come erastes rovescia l'impostazione liberale del problema dell'obbligazione politica: la città non è la parte forte che rischia di prevaricare sulla parte più debole, ma, viceversa, la parte debole che rischia di soccombere di fronte alla parte più forte. Non si tratta, dunque, di regolare la relazione fra cittadini e stato in modo tale che quest'ultimo non prevarichi sui primi, perché il rischio è l'opposto, e cioè che demagogia, corruzione, guerra civile e tirannide umilino la città e la rendano vittima dei suoi "amanti" (pp. 64-87).

Il teatro, ad Atene, era un momento importante, il cui senso era contemporaneamente culturale, politico e religioso. Esso conteneva tre elementi significativi dell'immagine di sé dell'Atene democratica: l'idea di un popolo o demos unificato, nella partecipazione corale ai festival teatrali delle Dionisiache, l'aspirazione alla reciprocità fra città e cittadini, e la convinzione che i cittadini comuni, che formavano le giurie che giudicavano le opere rappresentate, fossero intellettualmente abili (pp. 88-110).



La democrazia nella filosofia

Dopo aver ricostruito, sulla base di fonti letterarie e oratorie, la cultura della democrazia ateniese, l'autrice analizza i testi platonici per capire se e come questa cultura vi lasci traccia.
Platone, come i democratici ateniesi, è un nemico della tirannide e abbraccia l'ideale della reciprocità fra cittadino e città. Per quanto la rassegna dei vari regimi nell'ottavo libro della Repubblica contenga una critica alla democrazia, quest'ultima è rappresentata come dotata di molte attrattive. Come nota Arlene Saxonhouse, la trattazione dei regimi è una tipologia e non una classificazione. Il passaggio da un regime a un altro è reso col verbo metaballein, che designa un processo di transizione e non di decadenza. Il Socrate della Repubblica dice solo che unicamente la città ideale è buona e giusta, mentre tutte le altre sono cattive e sbagliate.
Per quanto Platone sia stato turbato dalla condanna di Socrate, questa vicenda non comporta, ai suoi occhi, una opposizione fra la democrazia e la filosofia in quanto tale. Fare politica ad Atene era rischioso per tutti, e non solo per i filosofi.
La Repubblica, sebbene sia favorevole ad un potere centralizzato, alla censura e all'eugenetica, mostra anche un profondo sospetto per il potere assoluto dei singoli. Il tema del filosofo governante è intrecciato con una bruciante questione politica contemporanea: come eliminare la minaccia dell'abuso di potere, incarnato drammaticamente dalla tirannide?
La democrazia ateniese frammentava il potere politico in piccole parti e si valeva di numerosi strumenti per responsabilizzarne l'esercizio. Platone, di contro, persegue nella Repubblica uno scopo simile tramite la separazione radicale delle sfere dell'economia e della vita privata rispetto alla vita politica. Chi partecipa al commercio, al consumo e alla famiglia non accede al potere politico; chi ha il potere politico viene tenuto fuori dal mondo economico. La disuguaglianza culturale e politica dei filosofi è tollerata a condizione che essi mettano ciò che hanno al servizio della città. La praticabilità stessa del progetto della Repubblica si fonda sulla diffusione e sulla politicizzazione della filosofia.

Nei testi platonici, sostiene l'autrice, tre caratteri fondamentali del cittadino democratico ateniese vengono ripresi e rielaborati criticamente:

1. Platone si appropria della parrhesia come componente dell'attività filosofica. Nel Gorgia, la parrhesia è trattata come un requisito essenziale per la filosofia - per quanto la vita filosofica sia contrapposta alla manipolazione e al conformismo della politica democratica. Nella Repubblica (557b ss.) si afferma che la democrazia è piena di libertà e parrhesia: il regime democratico viene aspramente criticato, ma la sua libertà di parola permette - si riconosce - che tutti i tipi di regimi siano provati nei discorsi e che tutto divenga oggetto di scelta. L'ideale democratico della parrhesia - il coraggio di parlare, cui si fa riferimento all'inizio del V libro, prima di introdurre lo scabroso problema delle donne - appartiene anche alla filosofia. (pp. 155-188)

2. Nel Menesseno, all'immagine periclea del cittadino come erastes della città, con tutte le sue potenzialità prevaricatorie, viene contrapposto come modello quello della relazione familiare fra genitori e figli, che comporta una reciprocità di obbligazioni. (pp. 181-205)

3. Platone, pur attaccando il teatro e la democrazia (Leggi, 701a) in quanto teatrocrazia, paragona ripetutamente l'attività teoretica a quella di un theates. Lo spettatore teatrale rappresenta il filosofo meglio di quanto possa fare il poeta, perché questi è un insegnante e un regista, mentre il filosofo è sempre uno studente e uno spettatore, che rischia continuamente di essere ingannato dall'abilità mimetica del poeta. La critica platonica alla poesia serve a rendere accorto il lettore che la filosofia non è scrivere dialoghi, bensì compiere quello che fa il lettore quando si impegna seriamente con i testi e riflette sulle sue scelte di vita (pp. 211-212). Qualcosa di simile a quanto faceva lo spettatore teatrale, che doveva sviluppare uno spirito forte e critico.


Non si può negare che Platone sia un critico della democrazia: ma la filosofia platonica è intrecciata con la cultura democratica in una relazione di reciproco "irretimento", anche perché la democrazia degli antichi, a differenza della democrazia liberale, si ispira a un ideale di continuità fra interesse privato e interesse pubblico che viene fatto proprio dal pensiero politico platonico. Questa tesi viene argomentata dalla Monoson in maniera convincente, con una ricchezza di argomenti storici e filologici cui una recensione non può rendere giustizia. Tuttavia, se vogliamo andare oltre la storiografia, l'ambivalenza platonica - fra tecnocrazia politica e democrazia culturale - comporta una disgiunzione fra cultura e istituzioni politiche che rende problematico il nesso fra un regime qualsivoglia e la sua giustificazione. Si può abbracciare una cultura democratica senza essere, istituzionalmente, democratici; viceversa, si può essere istituzionalmente democratici senza esserlo culturalmente.
Questa possibilità è implicita anche nelle posizioni del sofista Trasimaco quando distingue, nel primo libro della Repubblica, il nudo fatto del potere dai discorsi che si fanno per giustificarlo. Secondo Trasimaco, dietro qualunque discorso sulla giustizia c'è la forza: pertanto nessuno dei distinti discorsi che giustificano distinti regimi - democratici e no - può essere preso istituzionalmente e sociologicamente sul serio, perché sono tutti maschere della medesima e ineludibile realtà del potere. In una prospettiva trasimachea, fra regimi e discorsi l'unica relazione possibile è quella di un totale "irretimento". I discorsi sulla giustizia, di per se stessi, non descrivono e non giustificano nulla, ma irretiscono i cittadini al servizio di una causa - quella della forza - comunque aliena e irriducibile a discorso. D'altra parte, se si volesse contrapporre a Trasimaco una identificazione moralistica fra il regime e la sua giustificazione culturale, si avrebbero conseguenze altrettanto paralizzanti: se la possibilità dell'irretimento viene totalmente negata, viene eliminato lo spazio della critica filosofica all'ordine costituito - ossia, in termini più generali, la possibilità stessa dell'eccedenza della cultura rispetto all'ordine vigente.

In questa prospettiva, la scoperta degli irretimenti democratici di Platone, che nel testo della Monoson è l'esito di un itinerario storiografico e filologico, può diventare, se non ci contentiamo di vivere in città fatte di discorsi, il punto di partenza di una riflessione filosofico-politica sul rapporto fra cultura e istituzioni: la coscienza dell'irretimento, cioè della reciproca insufficienza fra discorsi e regimi, è un problema da tenere aperto come uno strumento critico o un pretesto per tenere lontana la cultura dalla città? In che modo e in che misura è possibile pensare a un rapporto fra regimi e discorsi che trasformi l'irretimento in una tensione culturalmente e politicamente produttiva?


Maria Chiara Pievatolo
Riferimenti
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A cura di:
Brunella Casalini
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Corrado Del Bo'
Francesca Di Donato
Angelo Marocco
Maria Chiara Pievatolo

Progetto web
di Maria Chiara Pievatolo


Periodico elettronico
codice ISSN 1128-7861
Inizio pubblicazione on line:
2000

Il settore "Recensioni" è curato da Brunella Casalini, Nico De Federicis, Roberto Gatti, Barbara Henry, Gianluigi Palombella, Maria Chiara Pievatolo.