Jean-Luc Nancy, L'esperienza della libertà, 2000,
Einaudi, Torino (L'expérience de la liberté, 1988, Galilée,
Paris).
SOCRATE -(...)E dimmi:
tu affermi che non bisogna frenare le passioni, se si vuole essere
come si deve, ma che, lasciandole crescere quanto più è
possibile, si deve dar loro soddisfazione con ogni mezzo, e che proprio
in questo consiste la virtù?
CALLICLE - Sì, affermo questo.
SOCRATE - Dunque, non è vero che quelli che non hanno bisogno
di nulla sono felici!
CALLICLE - Infatti, le pietre e i morti, a questo modo, sarebbero
i più felici.
SOCRATE - Però anche come sostieni tu, la vita è terribile.
(...)
Platone, Gorgia 492 D-E
Jean-Luc
Nancy è senza dubbio uno dei filosofi più di moda
di questa interminabile fine di millennio. Noto da tempo in Francia,
al punto da essere stato recentemente omaggiato da Derrida
con una ampia monografia, ha varcato i confini italiani per rispondere
all'invito di Roberto
Esposito che attorno a lui ha organizzato a Napoli un convegno
dedicato al tema della libertà. Pressochè simultanea
la pubblicazione, per la prima volta presso un grande editore in Italia,
di una delle sue opere fondamentali: L'esperienza della libertà,
appunto.
Cos'è dunque la libertà
per Nancy? La risposta appare chiara fin dal principio:
"tutto tranne che un'Idea".
La libertà viene anzi subito chiarita essere "un fatto", o
meglio il "fatto dell'esistenza
come essenza di se stessa" (pag.4). La storia ha, secondo Nancy, da
tempo registrato i limiti del pensiero dell'essere come fondamento,
all'interno del quale la libertà poteva darsi solo se fondata
(o al limite come causa sui, come libertà necessaria,
o autonecessitante). La libertà non può più essere
una qualità o una proprietà da accordare o da rifiutare
all'esistente sulla base di un qualsivoglia fondamento. Piuttosto
bisognerà dire che "se la libertà è qualcosa,
è proprio ciò che svanisce una volta fondato" (pag.
5). Il toglimento di ogni intento fondativo apre a Nancy la possibilità
di una sorprendente piroetta dialettica. Sciolto dall'onere della
fondazione il fondamento si ritrova a godere di una mai sperimentata
libertà, la fine della filosofia venendo a coincidere appunto
con il "rilascio del fondamento", con la sua "messa in
libertà". Anzi, al limite estremo della filosofia non
v'è che questo: "una libera disseminazione
dell'esistenza", ovvero "il riconoscimento della libertà
dell'essere nella sua singolarità" (pag. 6). Detto in altri
termini la libertà, secondo Nancy, "non designa nulla di più,
ma anche nulla di meno, dell'esistenza
stessa" (pag.7).
Nancy ci chiama a pensare "la libertà e in libertà...
semplicemente perchè non c'è altro da pensare"(pag.
9). Con ciò il nostro autore si mette nella condizione di concludere
facilmente che "il fatto della libertà è il diritto
dell'esistenza- oppure, il fatto dell'esistenza è il diritto
della libertà" (pag.23), non andando molto più lontano
dell'hegeliano tutto ciò che è reale è razionale
(e viceversa). La libertà di Nancy non differisce qui molto
dallo Spirito di Hegel;
l'essere (o la libertà, o l'esistenza)
è la storia sorprendente della libertà
dell'essere stesso. Storia che, peraltro, rimane sempre "da fare"
(secondo modalità pratiche piuttosto che poietiche). La libertà
trova qui una nuova definizione come il farsi
dell'esistenza, il suo esporsi alla presenza e il
suo ritrarsi da essa (ma il pensiero per non finire non dovrebbe mai
definire potrebbe forse dire Nancy, se l'originaria coincidenza di
fatto e diritto non ponesse già da sempre al riparo da questa
e molte altre spiacevolezze...).
Come appare evidente il principale interlocutore di Nancy è
Heidegger,
del quale vengono seguite le peregrinazioni attorno al concetto in
questione. Nel 1929 in Dell'essenza del fondamento, Heidegger
aveva definito la libertà come "il
fondo abissale (Ab-grund) dell esserci" (citato
a pag. 38). Questo abisso viene riletto da Nancy, al di là
delle oscillazioni heideggeriane, con un intenzione del tutto peculiare:
"L'abisso (della libertà) è il fatto che ci sia qualche
cosa, e basta" (pag. 57). La libertà, non come enigmatico fondamento
del fondamento dunque, ma come "fatto". Fatto che, a ben vedere, non
dovrebbe neppure essere espresso attraverso forme sostantive. La
libertà non è sostanza: è il
liberamente con cui ciò che accade accade. E' la stessa prodigalità
dell'essere o il suo evento. La filosofia non potrà mai allora
appropriarsi della libertà come di un oggetto del pensiero,
essendo il pensiero stesso esposto alla vertigine della libertà.
Nè la libertà potrà essere alcunchè di
simile alla "autonomia di una soggettività padrona di sè
e delle proprie decisioni" (pag. 69). Anche perchè ogni singolarità
contiene (secondo un tema caro a Nancy, che lo affronta in maniera
più diretta in altre opere) già da sempre in sè
il proprio rapporto con gli altri singolari: il Dasein è
perfettamente simultaneo al Mitsein ovvero "il singolare
del "mio" è di per sè un plurale" (pag.70). Essere
significa Essere-in-comune, ovvero l'essere esiste
solo come originariamente "spartito tra gli esistenti e negli esistenti"
(pag. 72).
Il singolare è ciò che non obbedisce ad alcuna legge,
che non possiede alcun fondamento, alcun carattere comune, che non
è prevedibile, che anzi riesce sempre a sorprendere. E sorprendente
in massimo grado è per Nancy la
storia. Storia che in nulla differisce, in definitiva,
dalla stessa libertà dell'essere che anzi ne costituisce "l'elemento"
o la "modalità fondamentale" (pag. 13). Storia che dovrà
allora essere "liberata" da ogni pretesa di fornire ad essa un senso,
di comprenderla in un progetto, la libertà dovendo essere "assoluta"
oppure non essere (cfr. pag. 109). Il massimalismo ipermetafisico
di questa affermazione porta Nancy ad ingaggiare un
vero corpo a corpo con la filosofia di Sartre.
La sartriana "condanna alla libertà" viene denunciata
essere "tragicamente in difetto
di libertà" (pag.100-101). La libertà
del "progetto" sartriano è, secondo Nancy,"la
volontà di diventare causa di tutto ciò per cui mancano
le cause", è una "causalità" desiderata
che sfocia in un vero e proprio "eroismo della disperazione"
(pag. 102). Per Nancy, che concepisce l'essere libero non come un
"causare liberamente", ma come l'essere-libero dell'esistenza
stessa, la concezione sartriana non riesce ad essere "pensiero
libero della libertà" ma solo desiderio di tale pensiero.
Il prezzo pagato da Nancy per la sua scelta di radicalità è
quello di dover riconoscere "la possibilità
del male" come costitutivamente congiunta al mettersi
in gioco della libertà stessa. Nancy non vorrebbe dare "tenore
ontologico all'indifferenza morale delle decisioni", ma anzi "riportare
sul piano dell'ontologia la possibilità positiva ... del male
e del bene" (pag. 10). Senonchè - a questo punto dovrebbe essere
chiaro - il male è libertà
- e non potrebbe essere altro giacchè tutto ciò che
è è nella libertà e per la libertà. E
la libertà dunque è il male - nella
misura in cui si scatena "dentro di sè e contro di sè".
Il male è "l'odio della libertà per sè stessa"
, "l'inquietudine annientante dell'infinità astratta" di Hegel,
ossia ancora "la libertà pura"
(pag. 131-132).
"In tal senso, la pietra è libera.
In altri termini, c'è in essa - o meglio, come essa -
la libertà dell'essere che l'essere stesso è e che la
libertà ... mette in gioco" (pag. 168). Sartre (l'ultimo Sartre
in particolare), liquidato da Nancy un po' troppo facilmente, di certo
non avrebbe negato la tragica deficienza di libertà propria
della condizione umana. Nè, scoraggiato dall'inattingibilità
di una libertà assoluta, si sarebbe messo a parlare con le
pietre.
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