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Ultimo aggiornamento 18 ottobre 2001 |
Elena Pulcini, L'individuo senza passioni, Torino, Bollati Boringhieri, 2001
Il volume di Elena Pulcini prende in considerazione l'importanza delle tensioni emotive nella riflessione filosofica della modernità, ricostruendo la fitta rete di riflessioni che hanno impegnato assiduamente diversi pensatori riguardo i caratteri apparentemente più costanti della dimensione umana. L'autrice ci offre un complesso e suggestivo percorso di ricerca che si propone, nell'introduzione, di "smentire la presunta razionalità dell'individuo moderno, avvalorata dalla tradizione liberale" (p. 11), ma che, evidentemente, non si accontenta di mettere in evidenza i limiti e le aporie del paradigma dell'homo economicus, quanto piuttosto di dimostrare, in opposizione ad una linea interpretativa che si muove in senso contrario (Hirschman; Weber; Elias), l'importanza e la persistenza delle passioni nella modernità (p. 12). Il primo capitolo, Dall'etica dell'onore all'autoconservazione, ripercorre la critica di Montaigne verso il modello eroico-aristocratico dell'individuo che spinge ad abbandonare "vita, salute e quiete" a favore di una gloria che si rileva "puro desiderio di plauso e di approvazione altrui che rende gli uomini dipendenti dal giudizio della moltitudine e li fa agire unicamente in funzione della visibilità e del riconoscimento esteriore". La passione della gloria spinge gli individui al sacrificio di sé nel nome della identità del soggetto e del legame sociale. È il modus delle società antiche e primitive, ma è anche molto vicino alla definizione che Marcel Mauss offre del dono. Anche Bataille sottolinea la generosità insita nella gloria e la scomparsa di essa nella modernità a favore della stabilità dello Stato moderno, alla contemporanea ed affatto casuale scomparsa del sacro. Elias sottolinea la repressione e l'addomesticamento delle pulsioni. In sostanza risulta evidente "il definitivo tramonto del mondo premoderno e il rovesciamento del rapporto tra l'individuo e la comunità che si risolve in una inedita valorizzazione del primo, dei suoi diritti, bisogni, desideri". Ma piuttosto che la scomparsa delle passioni, secondo l'autrice si realizza "una metamorfosi, che implica, contemporaneamente al declino di alcune, l'emergere e il cristallizzarsi di altre".
Secondo Montaigne la prevalenza delle passioni non fa che indebolire l'io attraverso l'ambivalenza e la volubilità di queste. Di fronte alla debolezza dell'io, la sfera di libertà dell'individuo necessita dello Stato, grazie al quale il saggio rinuncia ad ogni interesse nella sfera pubblica ed esprime se stesso compiutamente nella propria intimità. In questo senso Montaigne realizza lo "slittamento decisivo da una antropologia della pienezza, della dépense e dell'eccesso a un'antropologia della mancanza e dell'autoconservazione che costituirà il presupposto comune e imprescindibile del paradigma moderno" (p. 45).
La centralità delle passioni e la loro utilità è tipica anche di Mandeville, mentre in Adam Smith il bisogno di riconoscimento dato dalla ricchezza è esaltato solo quando è in grado di produrre attraverso una "trasformazione etica delle passioni, un tessuto etico fortemente interrelato e coeso, nel quale l'interesse individuale diventa inscindibile dalla realizzazione del bene comune" (p. 88).
Per l'autrice il percorso rousseiano è viziato da diverse aporie: "i legami di amicizia sono evidentemente limitati a una piccola comunità retta da un'economia rurale e tradizionale tesa alla produzione di valori d'uso (...). La philia sembra possibile solo tra individui legati da un rapporto di prossimità e di familiarità fraterna" (pp. 105-106). In secondo luogo "la philia, la fratellanza si fondano sulla rinuncia e sul sacrificio (...) la philia sembra infatti poter scaturire solo dalla rinuncia al pathos e alle "insocievoli" verità di esso, nelle quali tuttavia risiede la chance di una irrinunciabile fedeltà a se stessi" (p. 107). L'autrice si sofferma a lungo sulla riflessione rousseiana sul ruolo della donna e sul modello di comunità che incarna.
Con Tocqueville l'individuo democratico appare schiavo delle passioni, di desideri sempre crescenti in seguito ad una eguaglianza che "pone l'individuo di fronte ad un eccesso di possibilità che lo rende incapace di una ragionevole selezione", che determina una "ambivalente coesistenza della violenza dei desideri con la debolezza dell'Io" (pp. 134-135).
Nel capitolo conclusivo, Homo reciprocus: la passione del dono e l'individuo comunitario, l'autrice prende le mosse dalla teoria del dono nella definizione datane da Marcel Mauss, nella successiva elaborazione sviluppata da Caillé e Godbout.
Il dono è capace di sviluppare una passione in grado di rinsaldare il legame sociale, in quanto non pura gratuità, a determinarlo non è tanto il modello dell'amore cristiano, l'agape, ma la philia, amicizia vicina al modello dell'eros come "desiderio dell'altro, del legame dell'altro in quanto fine a se stesso" (p. 194). In questo senso l'autrice respinge la linea di Derrida di "immotivazione e assoluta unilateralità del dono", ma accoglie e sviluppa le tesi sulla philia di Nietzsche, Bataille e Blanchot. Il dono guadagna la dimensione di "evento simbolico che permea la realtà concreta degli individui", in quanto "simbolo della incompiutezza dell'io" (p. 195). Il legame sociale che ne risulta è condivisione della comune insufficienza, mozione della sfera affettiva e rottura dell'autosufficienza narcisistica dell'io.
Ma è la natura simbolica del dono a offrire diversi spunti di riflessione. L'esaltazione di un simbolo spontaneo, non materiale in quanto frutto di relazioni umane si può accostare alla riflessione delle scienze sociali sul simbolismo politico (Cfr. M. Edelman, Gli usi simbolici della politica, Guida, Napoli, 1987 con un saggio di G. Fedel e D. I. Kertzer,Riti e simboli del potere, Laterza, 1989 con una prefazione di G. Pasquino). Il simbolo mantiene una natura spontanea che funge da fattore dinamico dell'ordine sociale in Kertzer, anche se, come insiste Edelman, è solitamente connesso al potere e alle istituzioni Il simbolo inteso come sistema connesso alla legittimazione del 'politico', capace di generare rituali e facilitare la comunicazione e la legittimazione della sovranità non è tipico della modernità, ma, in questo senso Kertzer, è fondamentale in ogni aggregazione politica. Ciò dimostra l'importanza delle passioni umane. In special modo le vicende totalitarie del ventesimo secolo mostrano la debolezza interpretativa dell'homo economicus, non solo nel caso limite dello sterminio di massa dell'olocausto, privo di utilità materiale per le vicende della guerra (H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Comunità, 1997, p.563), ma nei confronti di una consapevole deriva delle masse e del regime nei confronti della realtà (ibid., pp. 538 ss.), la quale segna l'affermazione assoluta e incontrastata delle passioni. Il nesso tra totalitarismo, simbolismo e irrazionalità è evidente nella definizione del fascismo italiano offerta da Emilio Gentile (E. Gentile, Le origini dell'ideologia fascista (1918.1925), Il Mulino, 1996, pp. 21-22. Sulla definizione di totalitarismo: Id., La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo stato nel regime fascista, Roma, La Nuova Italia, 1995; sul simbolismo e la liturgia politica del regime fascista Il culto del littorio, Roma-Bari, Laterza, 1994.). Il fascismo rivendica la "subordinazione della vita individuale e collettiva alla supremazia assoluta dello Stato, attuata per mezzo di una organizzazione totale, e la mobilitazione permanente della popolazione, strumenti principali di una politica di massa basata sull'uso razionale dell'irrazionale, attraverso una mitologia e una liturgia politica" (Id., Il culto del littorio cit., p. 12) in grado di piegare a favore dello Stato totalitario una delle condizioni della modernità, che per la Arendt è la coincidenza del privato e del pubblico (H. Arendt, Vita Activa, La condizione umana, Milano, Bompiani, 1997; Sulla Rivoluzione, Milano, Edizioni di Comunità, 1996.). A confronto con la rilevanza e l'urgenza con cui le passioni e il simbolismo hanno segnato la storia del Novecento risalta maggiormente il carattere orizzontale del dono, lo "scatenamento delle passioni" in una modalità libera ma nella comunità (pp. 219-221). La riflessione dell'autrice indica nelle passioni libere ed autodeterminate il fondamento di una comunità libera ma non svincolata da obblighi, tanto semplice nella sua essenza puramente umana, relazionale ed assolutamente anti-élitaria, quanto solida in un legame sociale continuamente capace di rinnovarsi. |
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![]() ![]() A cura di: Brunella Casalini Emanuela Ceva Dino Costantini Nico De Federicis Corrado Del Bo' Francesca Di Donato Angelo Marocco Maria Chiara Pievatolo Progetto web di Maria Chiara Pievatolo Periodico elettronico codice ISSN 1591-4305 Inizio pubblicazione on line: 2000 ![]() ![]() |
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