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Ultimo aggiornamento 18 novembre 2000
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Amartya K. Sen, La ricchezza della ragione. Denaro, valori, identità, prefazione di Stefano Zamagni, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 124, £. 18.000.
Indice: Prefazione di Stefano Zamagni, pp. VII-XV; La ragione prima dell'identità, pp. 3-29; Mercati e libertà di scelta, pp. 31-51; Denaro e valore: etica ed economia della finanza, pp. 53-90; Codici morali e successo economico, pp. 91-110; Valori e successo economico: Europa e Asia, pp. 111-124. La ricchezza della ragione è il titolo della raccolta, pubblicata da Il Mulino, che include alcuni brevi saggi scritti da Amartya Sen lungo l'arco degli anni novanta del secolo scorso, dunque nell'ultima fase della sua produzione scientifica. Anche da questi contributi emerge il profilo di un intellettuale completo, che intreccia piani del discorso molto lontani fra loro (economia, letteratura, politica), senza mai suscitare effetti stravaganti, ma piuttosto attirando l'attenzione del lettore, per la sua capacità di spaziare fra la freddezza della teoria pura e il calore di problemi dibattuti e attuali. Come è noto, Sen non è solo l'economista che si è guadagnato nel 1998 il premio Nobel per i suoi contributi alle teorie economiche del Welfare, ma anche uno degli interlocutori più autorevoli nel dibattito contemporaneo sulle teorie delle giustizia che ha dominato negli ultimi trent'anni la filosofia politica angloamericana. Ed è anche un intellettuale saldamente radicato nel suo paese d'origine, l'India, un crogiuolo di valori, cultura e storia, su cui da sempre Sen ha edificato le sue teorie, anche le più sofisticate. Così non stupirà il lettore di questi saggi il continuo rinvio, solo apparentemente casuale, da John Rawls a R. Tagore, da Aristotele al Bhagavadgita. Nonostante la grande varietà di temi trattati, La ricchezza della ragione è centrata sull'idea fondamentale che la metodologia delle scienze sociali, e dell'economia in particolare, trovi il suo fondamento nel comportamento reale degli uomini. Ogni analisi che miri ad aderire ai problemi concreti della gente deve tenere in considerazione la complessità delle motivazioni degli individui. Per isolare alcune aree tematiche rilevanti si può seguire la triade di concetti che formano il sottotitolo della raccolta: denaro, valori, identità. Proprio al tema dell'identità è dedicato il primo saggio, La ragione prima dell'identità, certamente quello che affronta in maniera più diretta e incisiva temi di filosofia politica. Qui Sen ha in mente due referenti polemici. Innanzitutto il riduzionismo che permea larga parte della teoria economica e che fa leva su una lettura mistificante del pensiero di Adam Smith. Non è infatti plausibile la pretesa che l'interesse sia l'unica base motivazionale sufficiente per spiegare la scelta di agenti razionali, né la conclusione, che ne discende, secondo cui il benessere collettivo non sarebbe altro che il risultato delle interazioni vantaggiose tra soggetti razionalmente autointeressati. Queste tesi trascurano inspiegabilmente quella dimensione del pensiero di Smith, presente nella Teoria dei sentimenti morali, in cui è messa in risalto tutta una sfera di valori sociali come la simpatia, la generosità, il senso del bene collettivo, generalmente considerati estranei ai puri dettami dell'interesse egoistico. Tuttavia Sen non si limita a denunciare la fragilità di questo impianto teorico che poggia su una base motivazionale inadeguata, quella dell'homo aeconomicus dedito esclusivamente alla ricerca dell'interesse personale. Giudica anche sbagliato sostituire a quest'approccio angusto una prospettiva radicale che enfatizzi oltremisura l'influenza dell'identità sociale sul comportamento delle persone. Non è in altri termini sostenibile l'ipotesi comunitaria di un'eticità sostanziale che cementi gli individui in una comunità coesa attorno ad un nucleo di valori condivisi. L'idea di una "voce morale" comunitaria che assorbe ed esaurisce le motivazioni degli individui soffoca la loro libertà e capacità di scelta. Nella prospettiva del comunitarismo, scrive Sen, "l'identità viene prima del ragionamento che porta alla scelta" (p. 14), "è una questione di scoperta e non il risultato di un processo di scelta" (p. 27). E' proprio contro l'accettazione acritica di un'identità predeterminata (dal sesso, dalla razza, dall'etnia...) che Sen esorta a liberare le energie e la ricchezza della ragione. Nello stile ereditato dal migliore illuminismo, argomenta Sen, rinunciare a compiere scelte ragionate, nella condotta individuale come nelle decisioni sociali, significa abdicare dalle responsabilità del pensiero. Denaro e valori delimitano lo spazio da cui si dipartono numerose altre direzioni di ricerca, che non è possibile qui trattare esaurientemente. È soprattutto l'istituzione del mercato uno dei principali fuochi su cui convergono le analisi di Sen. In particolare, si chiede l'autore, in che senso possiamo dire che il mercato, usando la canonica espressione di Milton Friedman, ci rende "liberi di scegliere"? La difesa e la giustificazione del mercato non può fare esclusivo affidamento sulla retorica della libertà, cioè sull'evidenza fattuale che la possibilità di liberi scambi rende effettivamente i soggetti più "liberi di agire". Questa libertà riposa sull'autonomia di una persona di scegliere ciò che vuole al riparo dalle interferenze altrui, di fatto una versione della celebre libertà negativa di I. Berlin. Ma vi è una dimensione più complessa in cui un agente può dirsi libero: essa fa riferimento a quanto una persona è "libera di conseguire"; tipico esempio la libertà di non essere affamato, ovvero di disporre di un reddito sufficientemente elevato per acquistare un'adeguata quantità di cibo. Limitarsi a rimarcare i meriti del mercato nel promuovere la libertà di agire significa evitare di addentrarsi nell'analisi di come il mercato opera, di quali effetti generano le transazioni tra le persone e su quanta libertà di conseguire esse riescano di fatto ad acquisire. Ciò spiega perché "anche nelle economie più ricche un meccanismo di mercato incompleto può generare molta miseria e l'effettiva impossibilità di scelta di risultati accettabili per ampie fasce della popolazione" (p.36). Occorre, tuttavia, tenere ferma una distinzione cruciale, spesso trascurata, tra gli interventi che integrano il mercato e quelli che invece mirano a sostituirlo. I fallimenti che i meccanismi di mercato frequentemente producono, ad esempio il terribile fenomeno delle carestie, cui Sen ha peraltro dedicato alcuni suoi famosi lavori pionieristici, dipendono più da omissioni che da azioni, sono cioè legate a ciò che il mercato non fa. Di qui la necessità di politiche pubbliche che integrino il mercato, ma non vi si sostituiscano. Vi è infine un'ulteriore questione che Sen affronta negli ultimi due saggi: possono i codici morali contribuire al successo economico? Si è già detto che A. Smith è stato a lungo, ed è tuttora da molti, considerato l'autorevole "padre filosofico" di quanti denigrano l'importanza dei codici morali nel perseguimento dell'interesse personale. Questa lettura, insieme curiosa e inspiegabile, fa torto alla sua valorizzazione di una serie di sentimenti morali, giudicati antitetici alla massimizzazione del profitto. Sostiene Sen: "un mondo degli affari privo di codici morali sarebbe non solo povero normativamente, ma anche molto debole in termini di prestazioni" (p. 96). Un'etica degli affari è quindi indispensabile per il successo del sistema capitalistico. La pura massimizzazione del profitto non è una chiave esplicativa sufficiente per comprendere le ragioni del successo economico. Il capitalismo poggia, infatti, su strutture motivazionali più complesse. Oltre al ruolo determinante delle istituzioni, essenziali sono quei codici di comportamento che includono la fiducia reciproca nel comportamento altrui, la lealtà agli accordi, il rispetto dei patti. Se è però vero che i valori incidono fortemente sul successo economico e che i valori variano fra aree diverse, giacché riflettono notevoli differenze culturali, non è affatto difendibile la tesi secondo cui il contrasto tra valori occidentali e asiatici sia utile per comprendere le differenti performance economiche in Europa e in Asia. Occorre analizzare dettagliatamente le trame articolate di valori radicati in specifiche culture, ammonisce Sen, evitando di affidarsi a sterili e semplificate dicotomie che nascondono più di quanto non rivelino. Né ha molto senso appellarsi a singole variabili (il protestantesimo, il cristianesimo, il confucianesimo...), che si presume dotate della capacità di dire l'ultima parola sulle ragioni del successo economico. "Dobbiamo avvicinarci ai valori, conclude Sen, non con un atteggiamento passivo, ma con il gusto dell'analisi. Non è necessario essere moralisti radicali per convincersi che non siamo schiavi dei nostri valori e che abbiamo il potere della ragione" (pp.122-123). Mettendo in luce l'incompletezza e l'inadeguatezza di molte risposte canoniche ai problemi che toccano in senso lato la ricerca economica, Sen privilegia in questi saggi il valore cruciale delle domande, che contribuiscono ad erodere acritiche certezze e solide opinioni. E ciò è appunto prova di un buon uso della "ricchezza della ragione". |
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![]() ![]() A cura di: Brunella Casalini Emanuela Ceva Nico De Federicis Corrado Del Bo' Francesca Di Donato Angelo Marocco Maria Chiara Pievatolo Progetto web di Maria Chiara Pievatolo Periodico elettronico codice ISSN 1591-4305 Inizio pubblicazione on line: 2000 ![]() ![]() |
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