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Ultimo aggiornamento 13 settembre 2001 |
Anthony D. Smith, Nazioni e nazionalismo nell'era globale, Asterios, 2000 (Nations and nationalism in a global era, 1995) ISIDORO Via, disème come la xe stada. L'idea cardine del libro di Smith - docente di Sociologia presso la prestigiosa London School of Economics - è che la sempre più completa e complessa interdipendenza del sistema mondo abbia stuzzicato in molti palati un desiderio di cosmopolitismo che è stato troppo ingenuamente scambiato con la realtà, finendo per ritenere la nazione un concetto in via d'estinzione. Smith apre mettendo in guardia da quest'errore. E' certo che la cosiddetta globalizzazione ci pone di fronte ad un mondo "sempre più piccolo ed integrato" nel quale i legami tra società ed economia si fanno sempre più stretti, avviluppando gli stati e le nazioni in una "ragnatela di organizzazioni e ordinamenti internazionali" che sono capaci di determinarne i destini. Ma ciò non toglie che negli ultimi anni si sia potuto assistere ad una vera e propria rinascita dei nazionalismi di fronte alla quale le risposte teoriche sono state diverse e - nel complesso - insufficienti. Tre tesi rispetto al futuro dei nazionalismi vengono passate in rassegna dall'autore:
Per Smith, l'era della globalizzazione, estrema appendice della modernità, non ha portato con sè la neutralizzazione dei conflitti etnici, nè tantomeno ha condannato a morte l'idea di nazione. Si nota al contrario una tendenza, parallela alla creazione di quel piano di interdipendenza globale cui prima si accenava, al riemergere di forme di particolarismo identitario di cui, a parere dell'autore, l'idea di nazione continua ad essere il miglior collante. Questo processo non rappresenterebbe che il corrispettivo dialettico dell'emergenza di quel piano monotono ed uniforme in cui consisterebbe il cosmopolitismo. Il gigantismo globale stimolerebbe il formarsi dei necessari "anticorpi" identitari e particolari capaci di preservare dall'aggressione cosmopolitica gli "insostituibili valori culturali" delle nazioni e "i simboli , i riti, gli ideali e le tradizioni peculiari di coloro che le avevano forgiate e vi erano appartenuti" (p. 39). La citazione weberiana è quantomai appropriata: per Smith come per Weber la vita delle nazioni è interminabile lotta per l'affermazione della propria Kultur, per trionfare nella quale è necessario risvegliare quei legami primordiali che compongono l'anima delle nazioni e senza i quali nessuna lotta è possibile. Priva del sangue conferito ad esso dalla Kultur, lo Stato - sia esso nazionale o sovranazionale - si svuota di senso, scoprendosi un guscio vuoto, un mero strumento privo della capacità di darsi da sè una direzione. Il tema dell'unificazione europea dà a Smith il destro per applicare la propria analisi. L'Europa non è una nazione, e dunque non possiede alcun futuro, giacchè la storia - ogni storia - è mossa dalle nazioni e alle nazioni - ossia alla loro supremazia nella lotta per l'affermazione delle rispettive culture - tende. Scrive Smith: "Senza memorie e significati condivisi, senza simboli e miti comuni, senza santuari, cerimonie e monumenti - a parte gli amari promemoria delle guerre e degli olocausti recenti - chi si sentirà europeo nel profondo del suo essere, e chi si sacrificherà di sua volontà per un ideale così astratto? In breve, chi morirà per l'Europa?" (p. 148). La domanda che vorremmo porre a Smith è la seguente: sino a che punto si deve spingere la regressione etnonazionalista? se il nazionalismo non deve essere identificato con lo stato che ne è solo il necessario strumento, quale sarà il livello al quale la descrizione si dovrà arrestare? dove si appoggerà il mito di cui la coscienza nazionale si compone? come si stabilirà la presenza di un'identità, scartando l'ipotesi che essa non inglobi fagocitandole preziose diversità storico culturali? si fermerà alle nazioni? o scoprirà di doversi spingere più a fondo? Per Dante, ci ricorda Chabod (cfr. F. Chabod, Storia dell'idea di nazione, Laterza, 1999), la nazione era ancora la "piccola nazione" fiorentina e lo stesso Weber conosceva bene le difficoltà nascoste nel tentativo di identificare la nazione in una qualsivoglia identità, fosse essa etnica, linguistica, territoriale, religiosa o culturale in genere (tanto che la nazione stessa era per Weber il frutto di una volontà, di una decisione, di una ri-soluzione). Ma queste domande non colgono forse nel segno. L'impressione è di trovarci qui di fronte ad una riproposizione del discorso weberiano sul demone come attributo necessario del politico. Se la nazione è il punto metafisico dal quale si origina e verso il quale si indirizza la volontà degli stati, allora non ha alcuna importanza su quale livello si appoggi l'analisi. Ben più decisivo è che la salvifica volontà erompa: la nazione per Smith non è - in ultima istanza - null'altro che questo erompere. |
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| ![]() ![]() A cura di: Brunella Casalini Emanuela Ceva Dino Costantini Nico De Federicis Corrado Del Bo' Francesca Di Donato Angelo Marocco Maria Chiara Pievatolo Progetto web di Maria Chiara Pievatolo Periodico elettronico codice ISSN 1591-4305 Inizio pubblicazione on line: 2000 ![]() ![]() |
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