F.D.
Toussaint Louverture, La libertà del popolo nero. Scritti politici,
Torino, La Rosa, 1997.
Scelta editoriale particolarmente felice, quella operata da Carlo Galli,
nella sua veste di direttore della collana "Libertà nella Storia".
La pubblicazione degli scritti politici di François Dominique Toussaint
Louverture, protagonista degli avvenimenti rivoluzionari a Santo Domingo
dal 1792 al 1802, illustra infatti, significativamente, il principio cardine
della collana stessa, quello secondo cui cioè - cito seguendone
l'efficace presentazione editoriale - "la libertà è nella
storia; se non la governa, tuttavia la può mobilitare; se non ne
è il senso ne può nondimeno innervare ritmi e cesure".
A Sandro Chignola, autore della esauriente (una segnalazione particolare
merita la completa bibliografia) e suggestiva introduzione, va riconosciuto
il merito di essere riuscito a guidare il lettore nella non facile lettura
del primo esperimento costituzionale di una Repubblica autonomamente organizzata
e governata da cittadini di colore.
Saint Domingue, come si chiamava allora l'attuale Haiti, sul fianco
occidentale dell'isola di Hispaniola, ceduta nel 1697 con il Trattato di
Ryswick dalla Spagna alla Francia, rappresentava per essa la colonia più
redditizia, in quanto costituiva più della metà del suo mercato
coloniale. Zucchero, cotone, tabacco, indaco e schiavi. Un giro d'affari
assolutamente rimarchevole: duecento milioni di franchi tornesi, destinati
a salire a circa cinquecento, ove si voglia considerare l'intero commercio
estero francese lungo la direttrice delle Antille. Un sistema economico
fondato, sorretto e consentito dalla presenza e dal conseguente sfruttamento
di oltre cinquecentomila schiavi, cui era stato forzatamente assegnato
dalla stessa Encyclopédie un ruolo di "organes vivans et
animés de l'économique", ma senza alcuna vivacità
politica, in grado cioè di esprimere solo "una soggettività
remissiva e muta", un "nulla politico". Schiavi, quindi, solo ed esclusivamente
(ovverosia immutabilmente) schiavi. In realtà bastava considerare
la nutrita serie di episodi di rivolta e di cospirazione, che , solo a
Santo Domingo, si erano succeduti nel 1679, 1691, 1703, 1704, 1758, 1775
e 1778 (ma episodi di eguale gravità erano stati registrati in tutte
le Antille), per intuire l'approssimarsi della tempesta. E tempesta fu.
Nel solco delle rare voci che nel corso della seconda metà del
sec. XVIII avevano aperto la "lunga stagione di dibattiti e di critica
della schiavitù", gli avvenimenti rivoluzionari in Francia fecero
ben presto precipitare la situazione. Dapprima quasi indifferenti al "beau
délire", gli schiavi neri dettero vita alla "loro" rivoluzione:
una gigantesca rivolta, che a partire dall'agosto 1791 infiammò
l'intera isola e il cui vero salto di qualità fu rappresentato dal
successivo, esplicito impegno, assunto dai Commissari inviati da Parigi,
dinanzi alla Assemblea dei coloni bianchi, proprietari di piantagioni,
che la Dichiarazione dei diritti non sarebbe mai stata estesa al
popolo degli schiavi. E mentre Inghilterra e Spagna, nei primi mesi del
1793, entravano in guerra contro la Convenzione, promettendo libertà
ai neri, che avessero combattuto al loro fianco, ecco apparire sulla scena
François Dominique Toussaint Louverture, "The Black Napoleon", ma
io preferirei chiamarlo "the most unhappy man of men", come lo definiva
William Wordsworth, strana e tragica figura di ribelle. Nero, ex-schiavo,
simbolo duraturo della lotta per l'emancipazione. Attraverso i suoi scritti,
che qui vengono presentati nella loro prima edizione moderna, è
quindi possibile ripercorrere l'accavallarsi frenetico degli avvenimenti,
che lo videro comunque sempre protagonista, almeno fino al suo arresto
e alla sua deportazione in Francia, nel giugno 1802.
Vittima del proprio amore per la libertà e nel rispetto assoluto
dell'interesse generale (liberté-devoir), Louverture perseguì
con coerenza l'obiettivo di assicurare piena dignità ai "cittadini"
neri attraverso una non facile politica di pacificazione tra le razze.
Questa in estrema sintesi la chiave di lettura della sua biografia politica:
dall'acceso contrasto con il commissario giacobino, bianco e francese,
Léger-Félicité Sonthomax, cui pure l'aveva legato
sincera amicizia (fino al momento in cui gli aveva confidato il progetto
di scannare tutti gli europei), attraverso la vivace opposizione alle dichiarazioni
dello schiavista Vienot Vaublanc, cui obietterà nel sacro nome della
fraternité che i francesi neri di Santo Domingo avrebbero
preferito essere sepolti sotto le rovine del loro Paese, piuttosto di veder
rivivere la schiavitù, fino allo scontro finale con Napoleone.
L'accanimento del Primo Console nei confronti di Louverture e delle
sue ipotesi di semindipendenza venne inizialmente motivato dal progetto
politico di restaurare ed estendere il dominio coloniale francese nell'ambito
caraibico, soprattutto dopo la restituzione alla Francia della Lousiana
da parte della Spagna (1 ottobre 1800). Ma ben presto fu lo stesso Napoleone
a svelare il vero, profondo motivo dell'opposizione al potere nero a Santo
Domingo: si trattava della necessità, ideologica ancor più
che economica, di arrestare per sempre l'avanzata dei neri nel mondo, ricordando
loro che i maestri erano "blancs et français" e ristabilendo ovunque
la tratta
e, dove possibile, addirittura la schiavitù.
Dopo l'arresto Toussaint Louverture venne condotto in carcere nel castello
di Joux, nel Jura francese. Là, dopo pochi mesi, affollati di stenti
e di privazioni (la sua "diversità" biologica venne richiamata a
giustificazione del fatto di avergli negato le cure mediche), nell'aprile
1803 venne infine trovato morto nella sua cella. Morte crudele e soprattutto
inutile: ormai il popolo immenso degli schiavi aveva definitivamente "appreso,
imposto e imparato a difendere, il colore della libertà".
Maurizio Vernassa
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