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Home > Riviste > Index - Rivista Intern.le di Filosofia del Diritto, LXXIX, 2002, n. 3, p. 437.
Ultimo aggiornamento 13 gennaio 2003


Nico De Federicis

Condizioni di coerenza pragmatica e trascendentalità in Kant *


Quest'ultimo libro di Giampaolo Azzoni è un impegnativo studio sul problema della coerenza pragmatica nella filosofia del diritto di Kant. Come il lettore potrà verificare da sé, la questione è molto importante per la comprensione della specificità della filosofia kantiana rispetto ad altre concezioni non soltanto del diritto, ma anche morali e logiche. Tutto ciò resta confermato, nonostante l'apparente specificità ed astrattezza dell'argomento. Infatti, la materia che l'a. definisce "filosofia dell'atto giuridico" può essere risolta nell'oggetto posto a fondamento del metodo trascendentale kantiano; vale a dire, può essere ricondotta a quello stesso problema della revisione della logica da analitica a sintetica (come risulta palese già nel Beweisgrund del 1763), a cui si lega anche il percorso per altri versi molto differente delle logiche contemporanee. è proprio sulla linea di queste ultime che, nel suo saggio, Azzoni propone un'interpretazione deontica del pensiero kantiano attraverso una lettura esegetica dei testi giuridici e morali. I primi due capitoli pongono le basi per la definizione della questione, sviluppata poi nei suoi aspetti particolari nel terzo e quarto capitolo. Infine, il capitolo conclusivo svolge le premesse poste in precedenza. Una menzione esplicita merita anche lo stile del libro, che resta sempre lucido e scorrevole nonostante il livello astratto dello studio e le riconosciute difficoltà poste da quei testi. Si tratta di un pregio non usuale per un lavoro di logica giuridica saper coniugare il necessario rigore scientifico con un intreccio argomentativo capace di destare aspettative. Inoltre, la discussione dei testi kantiani è condotta alla luce di un vaglio attento delle fonti e della letteratura, anche recente. Ma come abbiamo scritto, tutto questo non impedisce all'a. di restare sempre impegnato nella presentazione di una tesi propria, eminentemente 'teoretica', restando così fedele alla propria storia scientifica, dedicata all'accostamento della filosofia del diritto al pensiero logico-analitico. A ben guardare, lo studio su Kant resta collegato a doppia maglia ai lavori precedenti sulla validità semantica in deontica1, dei quali quest'ultimo può rappresentare di certo l'applicazione alla storia della filosofia morale e del diritto. Diamo ora conto di alcuni fra i temi di rilievo del volume.

1.

Seguendo le formulazioni di Amedeo G. Conte, nel primo capitolo Azzoni analizza i celebri luoghi delle opere critiche kantiane (soprattutto della Critica della ragion pura, della Fondazione e della Critica della ragion pratica), rivolti esplicitamente alla definizione del concetto di "invalidità della massima di un'azione" (invalidità pragmatica). Il capitolo è volto alla individuazione delle due diverse forme d'incoerenza pragmatica. Azzoni le definisce come: "autocontraddittorietà eidetica" e "autocontraddittorietà buletica". Al contrario della prima, quest'ultima non riguarda la forma logica bensì la volontà2. Alla base della differenziazione si pone il problema ben noto della natura del postulato morale kantiano, cioè la sua capacità di rendersi imperativo categorico, da un lato, e il suo carattere puramente formale, dall'altro (rimandando in tal modo a una distinzione tra una forma e un contenuto del volere, la cui presunta impossibilità già all'epoca aveva mosso alcune obiezioni al criticismo)3. Pertanto, intenzione dell'a. è procedere alla chiarificazione della concettualità logica kantiana, per dimostrare come le tesi dei critici di Kant abbiano tralasciato l'indagine e il tentativo di comprensione delle due forme di incoerenza pragmatica. Ciò si sarebbe risolto a vantaggio della versione (poi divenuta vulgata) secondo la quale Kant avrebbe infine teorizzato una morale formalistica, e di conseguenza incapace di prospettare degli elementi di contenuto validi per la scelta morale4. Quest'ultima è pure l'interpretazione di molti critici del secolo seguente, a partire da Hegel fino a Tolstoj, Dostoevskij (la cui eco giunge fino a Nietzsche), per i quali l'assolutezza che Kant aveva conferito al dovere aveva sancito la subordinazione dell'individualità ad una legge astratta e in ultima analisi spersonalizzante.

La direzione intrapresa dallo studio di Azzoni è del tutto differente. Egli non riconosce lo statuto d'impossibilità pratica (o pragmatica) alla sola dimensione logica, ma la riconosce pure a quella forma peculiare di contraddizione che non coinvolge il semplice intelletto (il principio logico di non contraddizione), ma coinvolge la razionalità pratica stessa (pp. 2 sgg., 13 sgg.). Secondo le parole di Kant:

è impossibile volere (unmöglich wollen) che la massima di una certa azione divenga legge universale di natura […] perché una tale volontà contraddirebbe se stessa. (GMS, trad. Carabellese, 58)

Pertanto, siamo di fronte ad una forma peculiare di contraddizione che non coinvolge solamente il "pensiero", ma pure l'elemento della "volontà" (p. 4). L'azione soggetta alla "contraddizione buletica", e pertanto immorale, non annulla la propria pensabilità, come capita invece all'azione soggetta alla contraddizione logica.

Esempi di contraddizione pragmatica di natura buletica sono: "l'abbandonarsi al piacere vanificando le proprie doti naturali" e "l'elevare a legge il non soccorrere il prossimo nel bisogno" (p. 5). Esempi di contraddizione pragmatica di natura logica sono: "il promettere sapendo di non poter mantenere".

Nella prima sede non è in gioco la coerenza logica di un concetto, come accade nella seconda. Come scrive Kant, nel concetto di 'promessa' è implicito il fatto che essa sia rispettata; al contrario, nel concetto di 'piacere' non è immediatamente contenuto il fatto che noi decidiamo di non renderlo assoluto. Di conseguenza, la massima soggetta a contraddizione buletica mantiene la propria coerenza logica, ma è la volontà stessa (considerata come pura) ad opporsi alla sua universalizzazione, avvertendola come posta in contraddizione con la propria natura. Da ciò deriva pure la differenziazione tra i doveri che vengono sottoposti alle condizioni di coerenza pragmatica (p. 4).

Secondo Kant, si tratta di una forma della contraddizione del tutto peculiare, ma non meno stringente dell'altra, e la cui natura dev'essere ricercata all'interno del fondamento della ragion pratica; o meglio, della ragione come tale, se prendiamo in considerazione il fatto che, notoriamente, Kant ha espresso la natura più profonda della razionalità nella sua capacità di "essere per sé solamente pratica" (KpV, Ak. V, A56). Com'è altrettanto noto, una tale questione ha sollevato più di un rilievo: in effetti, il dibattito sul tema del postulato pratico kantiano non si è mai esaurito, fin dalle prime polemiche che vide protagonista Kant e i suoi contemporanei, delle quali abbiamo dato cenno. Si pensi solamente alla obiezione di "incoerenza" (Inconsequenz) mossa da Johann Friedrich Flatt (1759-1821) alla formulazione del postulato della libertà nella Fondazione (1785), che costrinse Kant ad una replica nella Critica della ragion pratica (1788). Ancóra oggi, su questi medesimi temi si fondano le critiche apportate all'etica kantiana da Sergio Landucci5.

Azzoni intende intende confrontarsi con questo complesso di problemi, precisando fin dal primo capitolo l'idea che guida la propria ricerca: le forme dell'incoerenza pragmatica si possono comprendere qualora ci si orienti verso una "teoria delle forme e dei limiti della possibilità". In particolare, egli sostiene "che la possibilità sia sempre relativa all'essere, e che da esso sia sempre limitata" (p. 3), riportando in tal modo la filosofia pratica di Kant all'interno di quella stessa linea di pensiero che trova le sue radici nella teologia agostiniana, e in genere nelle teorie etiche che hanno escluso la pensabilità come "possibilità assoluta" (ibid.). Come avviene per Dio, il concetto di onnipotenza definisce le forme e i limiti dell'onnipotenza stessa, così per l'uomo il concetto di "moralità" (nella quale trova espressione la volontà razionale) definisce a priori i limiti della volontà stessa, definendo il criterio della scelta dovuta al libero arbitrio6. Come apparirà palese al lettore che ha qualche familiarità con la filosofia kantiana, a questi temi risulta implicita la distinzione tra libertas come fondamento noumenico della volontà (che è causalità razionale) e potestas ad utrumque, cui fa riferimento l'arbitrio posto alla base della facoltà di scelta, che può essere esercitata anche in favore del male e della contraddizione7.

Solamente, questa è la tesi di Kant, il male e la negatività possono essere scelti sì con libero arbitrio, ma non già posti "a norma universale", pena la caduta in quella stessa forma di contraddittorietà buletica che, sulla base di un'indagine deontica, Azzoni mette in rilievo.

2.

Il secondo capitolo del volume è dedicato all'applicazione dell'intuizione kantiana sulla duplice forma dell'incoerenza pragmatica a due differenti discipline pratiche: il diritto e la deontica. In particolare, nel diritto civile quella medesima distinzione sarebbe rintracciabile attraverso il paradigma diadico che vede contrapporre l'invalidità sostanziale all'invalidità naturale di un atto giuridico. Per quanto riguarda la deontica, le due tipologie di invalidità pragmatica riferibili alla distinzione kantiana in oggetto sono l'invalidità strutturale e l'invalidità praxeologica: la prima si riferisce alla struttura analitica dell'atto, la seconda a quella sintetica. La puntualizzazione di un tale esito nelle discipline logiche e giuridiche contemporanee rappresenta uno dei pregi maggiori del volume, che sapientemente mette a confronto risultati che provengono da ambiti di ricerca differenti, quali la filosofia, il diritto e la logica.

Per quel che riguarda la ricostruzione della struttura interna all'atto giuridico nella tipologia del contratto, Azzoni fa ampio riferimento alla teoria di Paolo Grossi sulla natura del contratto. Riferendosi alla tradizione giuridica medievale (in modo particolare alle formulazioni di Baldo degli Ubaldi e Francesco Mantica) Grossi compie la distinzione tra gli elementi sostanziali del contratto (substantialia negotii), indisponibili dalle parti che pongono in essere il negozio, e gli elementi naturali (naturalia negotii) che, pur appartenendo alla struttura necessaria del contratto, tuttavia possono essere rimossi dalla volontà delle parti. Azzoni evoca la teoria di Emilio Betti per chiarire quest'ultimo concetto.

Nella definizione della causa entrambi gli elementi entrano in forma costitutiva, ma ad un livello ontologico differente: i substantialia riguardano la quidditas; i naturalia la qualitas, come ricorda ancóra Grossi a proposito della dottrina di Baldo (p. 19).

Nel passare alla deontica la ricostruzione s'accresce di un nuovo contenuto. Dall'idea kantiana di auto-contraddittorietà eidetica, Azzoni coglie la rilevanza di alcuni paradigmi appartenenti alla teoria dei predicati verbali. In tal modo la discussione dell'autore si estende all'analisi degli essential sortals e dei substance sortals: solamente a questi ultimi compete il carattere 'pragmatico' della invalidità8.

Su questa strada, la tesi di dogmatica giuridica di Betti circa la distinzione tra una "essenzialità della causa e una essenzilaità degli effetti" rimanda ad una distinzione formulata di recente da Maria Elisabeth Conte a proposito della teoria della contro-performatività. (pp. 22-23). La Conte sostiene che la contro-performatività di praxis "vanifica l'esecuzione dell'atto", mentre la contro-performatività di poiesis "vanifica il conseguimento dei suoi fini" (pp. 26-27). In conclusione, l'invalidità pragmatica per assenza di un elemento sostanziale è chiarificabile nella tipologia kantiana dell'auto-contraddittorietà eidetica, mentre la schizo-praxía è affine al caso di contro-performatività praxeologica.

Alla medesima tipologia 'schizopraxica' Azzoni riconduce pure la definizione di "contraddizione pragmatica" formulata da Gaetano Carcaterra e quella di "autocontraddizione performativa" di Karl-Otto Apel (pp. 30-33). Gli stessi concetti sono riportati alla dicotomia formulata da Amedeo G. Conte tra "invalidità strutturale" e "invalidità praxeologica"9. In particolare, la kantiana invalidità eidetica verebbe a collocarsi come l'orizzonte dell'invalidità strutturale (la forma estrema di invalidità che mette capo ad un atto auto-contraffattorio, Selbstwidrig). La forma dell'invalidità praxeologica sarebbe interpretata invece dalla auto-contraddittorietà buletica: in questo caso l'atto non è auto-contraffattorio ma praxeologicamente invalido. Come nel caso della teoria del negozio, la prima riguarda la quidditas, la seconda la qualitas dell'atto.

A conclusione della propria analisi, Azzoni rileva una questione molto importante: i modelli di diritto civile e di deontica contemplano anche un terzo elemento, oltre alla già citata incoerenza pragmantica (sostanza e natura del negozio; invalidità strutturale e praxeologica). Questo elemento è l'accidens, rintracciabile negli elementi accidentali del contratto e nella invalidità praxeonomica della teoria deontica - che è eidetica, perché relativa "a regole estrinseche alla struttura dell'atto, theticamente poste dai differenti ordinamenti normativi" (p. 42). L'autore si domanda se la formulazione kantiana sia allora incompleta, ma a una tale domanda risponde in modo negativo, rintracciando nella diadicità del modello kantiano (il quale espunge l'elemento materiale dell'accidentalità dalla costruzione logica dell'atto giuridico) la precisa volontà di riportare una tale tipologia interamente nell'ambito della logica trascendentale.

3.

L'idea che abbiamo appena illustrato guida interamente lo sviluppo del terzo capitolo. Evidenza razionale e geometricità delle condizioni di coerenza pragmatica costituiscono i caratteri della dottrina giuridica kantiana, che, al pari della scienza matematica, si basa su un carattere di certezza e verità (pp. 47-48).

La praxeologia kantiana va riferita pertanto all'epistemologia, e in tal modo trova una nuova definizione anche la questione relativa al rapporto tra essere e dover essere. Nella is/ought question, secondo la nota formulazione di Hume, essere e dover essere sono tra loro incommensurabili.

Azzoni ribadisce la funzione della lettura unitaria della trattazione del metodo del diritto e di quello delle matematiche: d'altra parte, oltre che nei luoghi della Grundlegung che ricorda l'autore, l'importanza di un tale nesso si ritrova pure in un passaggio dello scritto sul Detto comune10. Notoriamente, il tentativo kantiano di una fondazione della metafisica dei costumi (nella sua formulazione più tarda del 1797), si muove proprio in quella direzione, tentando una deduzione 'scientifica' del diritto e dell'etica a partire da un unico principio, quello della libertà11.

Con l'intenzione di riportare una tale formulazione nell'ambito della deontica, Azzoni ricostruisce una "epistemologia delle condizioni di coerenza pragmatica" (pp. 50-51), facendo del paradigma epistemologico delle matematiche quello della "praxeologia trascendentale". Come scrive Kant:

La conoscenza filosofica è conoscenza razionale per concetti; la conoscenza matematica per costruzioni di concetti (...). [KrV, Ak. III, A713, B741]

La conoscenza filosofica considera (...) il particolare solo nell'universale, la conoscenza matematica considera l'universale nel particolare, anzi nel singolo. [Ibid.]

In breve, l'equivalenza tra le due discipline impone un ripensamento delle "proposizioni sulle condizioni di coerenza pragmatica" (p. 52). Queste ultime, così come le proposizioni della scienza, sono tutte "sintetiche a priori". L'a. puntualizza che alla stessa conclusione era già pervenuto il giurista tedesco Adolf Reinach, in Die apriorischen Grundlagen des bürgerlichen Rechts (1913).

Tuttavia, Azzoni intende apportare un contributo ulteriore a questa sezione della deontica applicando le due tipologie di proposizioni sintetiche a priori formulate da Conte: sintetico-noetiche e sintetico-dianoetiche, per spiegare la distinzione kantiana tra contraddittorietà eidetica e contraddittorietà buletica. Ci si imbatte in questo luogo nella citazione kantiana secondo la quale "esistono alcune proposizioni sintetiche a priori presupposte dai geometri, che in realtà sono strutturalmente analitiche anche se epistemologicamente sintetiche12" (p. 54). La conseguenza di tutto ciò è la seguente: mentre tutte le proposizioni sintetiche a priori in deontica rientrano nella tipologia delle proposizioni sintetico-dianoetiche, le proposizioni sintetiche atipiche di cui parla Kant (che in realtà sono analitiche a priori) rientrano invece in quella delle proposizioni sintentico-noetiche, e per questa ragione sono sottoposte alle leggi di non contraddizione "eidetica". Proprio a quest'ultima specie appartiene la legge fondamentale della moralità, l'imperativo categorico (p. 56).

Su questa base Azzoni difende il concetto kantiano di dovere morale (cap. IV) dalle critiche che a questo concetto apportarono altri autori, già a partire dai kantiani del tempo. Si tratta di una critica poi riformulata su una base più ampia da Hegel, e ancóra riproposta nel ventesimo secolo da Simmel, Lukács, Bergson e da Croce. Alle posizioni dei critici di Kant, egli oppone le tesi di eminenti giuristi del secolo diciannovesimo, quali Friedrich Christian Glück e Anton Justus Thibaut, e poi di Windscheid, alla cui dottrina aveva fatto riferimento il Tribunale dell'Impero asburgico in una nota sentenza (III. Zivilsenat, 23 marzo 1886), che sanzionò la difesa dell'obbligatorietà della restituzione del deposito.

4.

Le critiche di Hegel alla morale di Kant sono oramai ben note. Allo stesso modo, conosciutissima è pure la fortuna di cui esse hanno goduto nel Novecento, soprattutto per via delle analoghe obiezioni al 'formalismo' kantiano che si sono avute all'interno del paradigma interpretativo posto dal marxismo. Quest'ultimo ha accomunato la posizione hegeliana (non senza apportarvi un proprio orientamento ben saldo e alla fine decisivo) alla propria critica della "società borghese", di cui le libertà civili, le libertà politiche e il diritto sarebbero stati i parti ideologici. Azzoni si concentra su un esempio di scuola di una tale critica, quella all'istituto giuridico del deposito, che Hegel formula già nell'articolo sul Diritto naturale13 e che ricompare, in forme pressappoco simili, anche nella Fenomenologia14.

La posizione di Hegel si articola intorno all'analisi del principio di non contraddizione, sopra il quale, impiegando la formula dell'auto-contraddittorietà eidetica, Kant fonda il dovere della restituzione del deposito (pp. 61-63). Come noto, Hegel obietta che in tal caso siamo posti di fronte ad una "vuota identità formale". Ciò che preme a Hegel è la riabilitazione del contenuto all'interno dell'azione morale, oltre la pura e semplice coerenza pragmatica dell'atto, che definisce la sua "validità strutturale".

Per quanto riguarda Croce, una tale critica s'estende alla possibilità di una caduta del concetto kantiano di coerenza pragmatica nel principio utilitario. Come abbiamo segnalato, Azzoni prende in considerazione anche autori come Simmel e Lukács, ma in questa sede è forse più utile mettere in rilievo quali siano le ragioni teoriche che muovono la ricostruzione.

Facendo propria la tesi dei giuristi, come quella di Glück e di Thibaut, formulata già all'epoca di Hegel, Azzoni nega il valore dell'obiezione a Kant, e ripropone una visione autenticamente giuridica del problema, avvalorata sulla base di quel principio deontico che Kant aveva compreso appieno: un tale principio fa riferimento al concetto di identità creaturale. Rintracciandone le origini dogmatiche nel Codex giustinianeo, i giuristi hanno riconosciuto l'impossibilità di derogare alla restituzione del deposito perché una tale obbligazione non deriva da un diritto reale, ma da un diritto personale. Vale a dire, essa sorge dall'accordo implicito alle volontà delle parti contratto al momento della consegna (p. 83). Per questa ragione, rendendo giustizia alle ragioni dottrinarie di Windscheid, il Tribunale dell'Impero ha previsto l'inderogabilità della norma.

Ma per quale ragione Azzoni ha concesso tanto rilievo a questo caso di giurisprudenza in un volume dedicato a Kant? Com'è stato anticipato, il problema in realtà s'estende a un tradizionale punto di dissidio, ancóra molto controverso, tra gli interpreti della filosofia pratica kantiana. Si tratta del rapporto esistente tra forma e contenuto all'interno della legge morale, dalla quale devono essere dedotti anche gli imperativi di ordine giuridico, sebbene in seconda istanza. L'a. scioglie questi dubbi nel corso del quinto e conclusivo capitolo, che è pure il più esteso del volume.

5.

In quest'ultima parte Azzoni presenta un'interpretazione della tesi kantiana sulla coerenza pragmatica (p. 85). Essa è interamente condotta intorno alla distinzione tra coerenza formale e formalismo, la quale si radica a sua volta all'interno di una concezione metafisica dell'essere umano. In questa sede il volume può essere forse avvicinato a quella parte della filosofia analitica che ha posto Kant al centro del proprio interesse. In particolare, il riferimento obbligato va in direzione del dibattito sui concetti di soggettività e di identità. In questo senso, Azzoni sembra aderire ad una linea di logica e di filosofia del linguaggio che è favorevole a una concezione performativa dell'identità e dell'autocoscienza, contro una visione peculiarmente ontologica della stessa.

Azzoni chiarisce questo concetto con l'affermazione secondo la quale l'atto giuridico si basa su massime che non sono enunciati (Sätze) con soggetto impersonale, ma dichiarazioni (Äusserungen) in cui il soggetto è "il termine 'Io', è deietticamente l'essere umano" (p. 89). In tal senso egli fa riferimento al concetto di origo, coniato da Karl Bühler (pp. 89-90). Solamente quello sarebbe il reale contenuto di ogni proposizione morale (pp. 89-90). In virtù di un tale spostamento di fuoco sull'"antroponomia trascendentale", l'a. tenta di dare una spiegazione dei punti più complessi della dottrina morale kantiana, relativi a: 1) la conoscibilità della legge morale; 2) alla fonte della legge morale; 3) ai limiti della legge morale; 4) al rapporto tra la legge morale e il mondo.

  1) Per Kant la connessione tra la legge morale e la natura umana è così radicale, che tutti gli individui sono in grado di possederne una conoscenza immediata. Si tratta della celeberrima formula secondo la quale la legge morale sarebbe un "fatto della ragione". Di conseguenza, essa permette una forma di conoscenza della ragione stessa, condotta solamente sulla base del dovere morale, che impone un "sentimento di rispetto" a ogni individuo15. Azzoni conduce una tale formulazione kantiana alla tipologia dell'elemento "più comune" (p. 93), vale a dire dell'uomo comune, parafrasando l'elogio che Kant aveva sempre tessuto del "sano intelletto comune", o della "ragione umana comune", che risale già alla Fondazione16. In modo fedele alla propria metodologia, egli traduce una tale tipologia teorica nei termini di una "teoria formale della normatività ingenua" (p. 95). In questo luogo si pone il confronto con l'eracliteo xunós (22 B 2 DK) e si rinvia alle nozioni di "generalia" e di "pubblicità". Allo stesso modo, l'a. ricorre al concetto heideggeriano della quotidianità, al si impersonale (das man), che il filosofo tedesco interpreta però in senso negativo17 (p. 97). In modo differente da Heidegger, che considera la formula della comunità ancóra celata nella medietà della quotidianità e di ciò che è ordinario, e dunque privo di autenticità, Azzoni reperisce in essa ciò che egli chiama "l'allonimo dell'uomo". Nella lingua tedesca - scrive - al significato del termine uomo (Mann) deve essere ricondotto il termine man, il si generico, di cui quest'ultimo è una semplice variante, appunto, un allonimo. Una tale corrispondenza si ritrova pure nella lingua francese. Alla fine della propria ricerca l'a. apre dunque la strada a riflessioni che prendono spunto dall'ontologia esistenziale heideggeriana e in generale dalla filosofia dell'esistenza. Seguendo l'intuizione di Karl Bühler, l'argomento dell'elemento "più comune" non rimanda ad una soggettività concreta, ad un individuo, che per Bühler, come già per Aristotele, corrisponde al nome proprio, alla "denominazione". Esso rimanda invece al più astratto concetto di persona (p. 103). Azzoni suggerisce di rintracciare il valore peculiare dell'etica di Kant nel suo essere un'etica dell'inclinazione, vale a dire l'etica "dell'uomo in generale" che è un'etica della persona (p. 105 passim).

  2) La seconda questione è il problema della fonte della legge morale. Come si sa, fonte e sede della legge morale è la capacità della ragione di "pensare se stessa come pratica"18, vale a dire la sua capacità di darsi le proprie leggi. è altrettanto noto come un tal discorso rimandi alla questione dell'autonomia della legge morale. Azzoni ricorda che, in ultima istanza, le forme di legislazione a cui dà origine la concezione dell'autonomia della ragion pratica sono due: da un lato quella del diritto, dall'altro quella dell'etica (p. 117). Con questa citazione, l'a. solleva uno dei problemi più delicati dell'intera filosofia trascendentale, cioè la peculiarità dell'attività legislatrice 'divina' rispetto alla legislazione della ragione pratica umana. Azzoni precisa questo fatto sostenendo la tesi secondo cui Dio non è solo il "legislatore santo"19 e il "legislatore morale di tutti gli uomini"20, come stabilisce la teoria etica, ma è pure l'intelletto archetipo della metafisica, la cui attività legislatrice è allo stesso tempo attività creativa: egli è "legislatore e creatore"21. Il fatto di individuare Dio come l'autore morale del mondo, spiega Azzoni, chiarisce pure l'incommensurabilità tra la volontà umana e la volontà divina, e pertanto offre una prospettiva per leggere le pagine hegeliane della Fenomenologia, che fanno della moralità un oggetto della distorsione (Verstellung) della coscienza. Hegel ricostruisce la presenza di una scissione tra la volontà morale propria del Gewissen, e il "legislatore morale santo", determinando in tal modo un'elevazione della coscienza morale stessa al ruolo di "ordinatore morale del mondo", e compiendo un passaggio da una forma finita ad una forma assoluta (p. 120). Nella lettura di Azzoni, la creaturalità tanto della soggettività morale, quanto della legge, dovrebbe impedire un tale procedimento di distorsione. Per questa ragione, conclude, in Kant assume un ruolo importantissimo il cuore dell'uomo, che è la sede della legge morale. Pertanto, l'immanenza della legge della moralità nell'essere umano finito rende la legislazione divina una realtà non arbitraria. Al contrario, il fatto di essere 'incorporata' nella natura umana ne esprime l'autenticità e l'interna sostanza (pp. 123-24).

Questa interpretazione può essere utilmente riferita al fondamentale, seppur sintetico, luogo della Religione, in cui viene data una delle definizioni più dirette del termine personalità22. Qui al riguardo dobbiamo rilevare che l'interessante analisi dell'a. lascia inesplorata (e si tratta di un'esplicita scelta, ci pare) una differente via interpretativa che potrebbe condurre a un'altra ben nota interpretazione del concetto di legge morale. Si tratta di quella medesima idea che da ultimo ha riproposto Dieter Henrich, e che si muove in direzione opposta a quanto ha fatto Azzoni, il quale segue invece la dottrina logico-linguistica dell'autocoscienza e della soggettività. Non a caso, in Germania il confronto su questi temi ha coinvolto il dibattito tra lo stesso Henrich e Ernst Tugendhat, che, già allievo di Heidegger ed esponente tra i maggiori della filosofia analitica contemporanea, aveva invece difeso la concezione performativa dell'identità23.

Sotto quest'ultimo aspetto, è possibile porre in luce la specificità di Kant nei confronti dei diversi tentativi di fondazione dell'etica a lui contemporanei e non, come ad esempio quelli di Fichte e di Hegel, o ancóra quello aristotelico, come ricordava già Henrich24. In modo diverso, Azzoni sviluppa questo tema seguendo una strada che lo porta a sposare elementi peculiari alla filosofia esistenziale contemporanea, investendo la soggettività finita di un valore senza dubbio privilegiato rispetto alla tradizione che sviluppa il progetto di fondazione trascendentale dell'etica. Al contrario, gli autori che si riferiscono in modo diretto o indiretto ad una tale tradizione, tentano invece di dare una lettura della fondazione kantiana all'interno di quello stesso panorama logico-metafisico che vede la teoria della soggettività impegnata in un progetto di costruzione ontologica della filosofia pratica, e che, alla fine, può essere inserita in modo coerente nella prospettiva di un "monismo speculativo", sebbene le dovute riserve relative alla specificità delle soluzioni proprie di ciascun autore siano poi indispensabili (a questa possibilità di lettura aveva fatto riferimento Fichte nella Seconda Introduzione a una nuova esposizione della dottrina della scienza)25.

  3) La conclusione del volume è dedicata all'esame delle condizioni di violazione della legge morale (pp. 125 sgg.). L'impossibilità per l'uomo di rigettare in modo assoluto la legge morale, e dunque di compiere il male per il gusto del male26, equivale all'impossibilità per l'uomo di negare in modo assoluto la validità e il fondamento della propria ragione: si tratta del destino dell'uomo a non potersi sottrarre all'imputazione davanti al tribunale di quella. Ma in tal modo la razionalità assume di per sé un valore che trascende l'elemento della finitezza umana e che di contro si apre ad un procedimento d'indagine autonomo, il quale condurrà non solo agli sviluppi propri dell'ultima stagione della filosofia kantiana, particolarmente legata ai temi della filosofia giuridica e politica da un lato, e religiosa dall'altro, ma condurrà anche alla formulazione dell'idealismo27.

Se è vero quanto asserisce Azzoni, che può essere rintracciato un legame sistematico tra la legge morale e le condizioni di coerenza pragmatica del mondo, in quanto creato dalla volontà divina, allora, una volta abbandonati i presupposti teorici kantiani, la medesima forma di coerenza si estende in modo conseguente dalla dimensione pratica a quella propriamente teoretica. Di una tale coerenza, gli autori dell'"idealismo classico" hanno inteso ricercare i presupposti logici e metafisici, reintroducendo anche nelle leggi del pensiero quel tipo di uniformità. Si tratta di un progetto che invece Kant aveva abbandonato con la celeberrima formulazione del "primato della ragione pratica", anche se d'altra parte aveva tentato una differente soluzione al problema dell'unità di ragione teoretica e ragione pratica attraverso l'idea di un "regno dei fini".

  4) La possibilità di una lettura che, partendo dai presupposti della filosofia critica, finisce poi per abbandonarla, o 'tradirla' che dir si voglia, forse è anticipata persino dallo stesso Azzoni, allorché, in chiusura del volume, elabora la nozione di "sincronicità della legge morale al mondo" (pp. 136 sgg.).

La sincronia è la "coincidenza tra uno stato psichico e un evento anteriore", tra la legge morale e il regno di Dio. Com'è noto, questo tema rinvia alla grande disputa interpretativa relativa al modo di leggere la prospettiva morale di Kant in relazione alla sua filosofia della storia, le coordinate teoriche della quale sono già presenti nella Methodenlehere della 'Critica del Giudizio teleologico'. Non si tratta certo di riformularla qui. Tuttavia, il paragone di Azzoni tra la concezione etica e religiosa kantiana e alcune pagine di Kafka è davvero esemplare sotto più di un profilo. Contro il pessimismo kafkiano, l'a. ricorda l'apertura di Kant alla dimensione della speranza e alla fede morale. Se l'uomo compie quanto è in suo potere per l'affermazione della giustizia sulla terra, è allora lecito sperare che gli venga concesso anche ciò che non è in suo potere; una tale speranza vale tanto per il regno di Dio, quanto già qui sulla terra, per il mondo sensibile (pp. 138-39). Proprio su questa strada, a ragione Azzoni scrive di una "inconcepibilità di una collisione di doveri" dal punto di vista coerentemente kantiano28 (p. 139). Siamo nuovamente di fronte alla tesi dell'incoerenza pragmatica, secondo la quale la contraddizione sarebbe impossibile dinanzi a un dovere incondizionato com'è quello che muove dall'imperativo categorico. L'a. rinvia una tale "sincronicità della legge morale col mondo" alla dimensione della facoltà del giudizio teleologico, e in particolare all'interpretazione dell'uomo come "scopo finale" (Endzweck) della creazione (p. 140). In tal modo, i prodotti culturali divengono lo "scopo ultimo" (letzter Zweck) dei processi naturali. Sorvolando pure sulle molteplici difficoltà esegetiche poste da questi luoghi della Critica del Giudizio, nei quali le pesanti décalages semantiche in riferimento ai termini Endzweck e letzter Zweck pongono quesiti che meriterebbero ben di più delle scarne battute di una chiusa (del resto, con la consueta magistrale profondità, questi problemi sono già stati messi a fuoco nelle letture kantiane di Luigi Scaravelli)29, è impossibile non rilevare come tutta questa parte della filosofia di Kant, che si sviluppa intorno alla scoperta del metodo dell'analogia introdotto dalla terza Critica, apra in realtà un nuovo ordine di problemi. A partire da questi ultimi muoveranno le nostre notazioni conclusive sul volume di Azzoni, per far cenno infine al concetto della libertà.

6.

Se volessimo indicare una datazione precisa, la necessità di una fondazione della metafisica dei costumi era già chiara al filosofo nelle sue linee fondamentali fin dal 1785, l'anno della pubblicazione della Grundlegung: d'altra parte egli lo scrive espressamente. Tuttavia, si tratterebbe di un riferimento persino convenzionale perché questi temi sono davvero cooriginari alla stesura di tutta l'opera critica. Non a caso, ancóra Henrich, sulla base della consultazione del Nachlass, ricorda come fin dalla prima stagione del pensiero kantiano sia possibile reperire numerosi tentativi di "deduzione" della legge morale che si svolgono in accordo con questa direzione30.

La visione della fondazione kantiana dell'etica si basa su una concezione dell'uomo ben precisa. La tesi relativa alla "creaturalità" umana, alla quale fa riferimento Azzoni, dev'essere collegata con quella relativa alla sua "eccellenza", che alla prima è in parte antagonista. Di questo dissidio si rese conto Schiller, a cui non a caso Kant rimproverò il fatto di aver privilegiato una lettura dell'idea della libertà condizionata in modo eccessivo da suggestioni e legami con l'estetica e la mitologia classica31. L'etica eroica che Kant ha imposto agli individui, e che tanto dispiacque ai suoi critici, è di certo la testimonianza di una sensibilità ancóra 'classica' nei confronti dei grandi problemi della filosofia, ma al contempo si radica fortemente nella specificità della svolta operata dalla tradizione metafisica moderna. D'altra parte, anch'egli (come più tardi farà Hegel) vedeva una tale tradizione in sintonia con il contenuto di pensiero proprio del cristianesimo, cioè con la centralità conferita all'elemento della volontà. Kant era ben consapevole del fatto che l'adeguamento da parte degli individui ad un orientamento della vita pratica volto alla perfezione morale sarebbe risultata molto difficile, se non addirittura impossibile per molti. Tuttavia, non per questo egli ne mise in secondo piano la necessità razionale. L'esplicita rinuncia alla fondazione di un ordine metafisico del reale orientato in senso tradizionale, vale a dire su una forma di necessitarismo costruito sul modello 'naturalistico', rende la filosofia kantiana un esempio forse irripetibile di equilibrio tra le esigenze assolute della teoria e la destinazione pratica alla libertà degli individui, intesi ora come singole volontà umane, e che di conseguenza devono trovare nel libero arbitrio il fondamento del proprio carattere.

Esaminata sotto quest'ultimo profilo, la cogenza pragmatica della filosofia morale di Kant non è che l'altro versante della vocazione della sua filosofia teoretica alla libertà; si tratta di una vocazione che non si ritrae neppure dinanzi a gravi scolii teorici32. Non è troppo scorretto affermare che Kant non intendeva ridurre la teoria della libertà noumenica ad un uso ristretto esclusivamente all'ambito soggettivo, come invece è destinato ad accadere alla filosofia critica.

Lo studio di Azzoni si confronta in modo indiretto con quest'ultimo problema nell'analisi della finitezza quale fondamento della non-contraddizione pragmatica (noetica e buletica). La filosofia morale kantiana propone a beneficio della dimensione etica quel che la filosofia teoretica (nella cui figura, evidentemente, rientrano appieno pure le forme del diritto) non è in grado di produrre, vale a dire la sintesi tra essere e strutture conoscitive. Hegel si confrontò col medesimo problema in termini differenti, tentando a sua volta di recuperare appieno il fondamento logico di quelle due sfere. Una tale esigenza comparì proprio perché egli intese riformulare il rapporto della logica con quella stessa tradizione metafisica dalla quale Kant aveva in parte voluto prendere le distanze. In questo senso, il progetto di Hegel era quello di sciogliere gli individui dalla forma contrattualistica della obbligazione attraverso l'elevazione della volontà al rango di un'entità propriamente ontologica (cioè unificando la libertà con la razionalità e riducendola alla volontà libera)33. Al contrario, in Kant la libertà resta legata in modo sistematico alla facoltà della scelta. Nella Rechtsphilosophie di Hegel, il compito di condurre alla "realizzazione del bene" non ha più a che fare con la volontà dei singoli individui. In questo senso, però, Hegel apre la via ad una prospettiva che nella vita etica può condurre a quello stesso indifferentismo morale che gli è stato rimproverato in molte occasioni, e che gli rimprovera lo stesso Azzoni. In questa sede davvero non s'intende riproporre alcuna posizione 'hegeliana', ma si vuole segnalare soltanto il fatto che, con la soluzione in favore della Sittlichkeit, a Hegel preme non solo dare esposizione dell'autentica libertà, che per lui è identificata dalla dimensione dello spirito oggettivo, ma preme anche riconsegnare gli individui alla propria finitezza, svincolandoli in tal modo dalla concezione 'eroica' che Kant aveva in fondo assegnato loro. Hegel mosse la propria critica alla "cattiva coscienza morale" seguendo questo profilo interpretativo della soggettività: ne pose in luce la forma negativa e 'distorta'34, anche se di quella stessa soggettività morale utilizzò il contenuto spirituale per mettere capo all'idea della tutela delle prerogative dei singoli nello stato; è una tale tutela che si esprime attraverso la figura del "diritto della volontà soggettiva", con ciò che da una sanzione siffatta consegue nella sfera dei diritti soggettivi35. Tutto ciò poté avvenire perché, a differenza di Kant, egli aveva preventivamente risolto i singoli all'interno della loro accidentalità; in tal modo, anche la contraddizione tra doveri differenti aveva acquistato nuova luce. Infatti, in Hegel l'uscita dal paradigma del conflitto tragico avviene non perché la cogenza dei doveri soggettivi scompare, ma perché, intesi come frutto dell'opera della riflessione, quelli divengono tutti relativi e finiti, e nel mondo etico resta soltanto (con tutta la problematicità che questo comporta) il dovere di ubbidire alle leggi. Nell'opera di esaltazione dell'elemento razionale, fino ad identificarlo con il logos divino, Hegel lasciò le individualità finte libere di trovare conciliazione con il proprio elemento passionale, perché la realizzazione della razionalità è in grado di liberarsi da quelle stesse passioni36. Egli valuta quindi l'elemento patologico (a voler mutuare l'espressione kantiana) secondo una forma che, senza dubbio, Kant avrebbe ritenuto in antitesi al compito fondamentale del pensiero razionale, che deve considerarli totalmente estranei e potenzialmente dissolutori della sfera del dovere. Prendere in considerazione l'etica kantiana significa soprattutto comprendere che essa si risolve in un perfezionismo morale. Si tratta di una forma di limitazione della singolarità differente, ma non meno cogente di quella a cui fa riferimento lo stato hegeliano.

* Ci si riferisce al volume di G. Azzoni, Filosofia dell'atto giuridico in Immanuel Kant, Padova, Cedam, 1998, che risponde al seguente indice: Cap. 1. Due forme di incoerenza pragmatica in Kant – Cap. 2. Due forme di invalidità pragmatica in diritto civile e in deontica – Cap. 3. Il fondamento a priori delle condizioni di coerenza pragmatica Cap. 4. Coerenza pragmatica vs universalità formale: il caso del deposito – Cap. 5. Non-contraddizione pragmatica e identità creaturale in Kant – Riferimenti bibliografici.



Note

1 Cfr. G. Azzoni, Validità semantica in deontica, in "R.I.F.D.", 69 (1992), pp. 166-177.

2 Cfr. GMS, Ak, IV, 424.

3 Solamente ad esempio di un dibattito in realtà molto complesso, si pensi alle critiche che, proprio su questi argomenti, Gottlob Ernst Schulze mosse al criticismo nell'Enesidemo (1792), e che coinvolsero non solo Kant, ma anche Karl Leonhard Reinhold. Cfr. S. Landucci, Sull'etica di Kant, Milano 1994, pp. 120 sgg.

4 Cfr. Rph., § 29A.; § 108; § 135A.

5 Cfr. S. Landucci, op. cit., pp. 88-91.

6 MdS, Ak. VI, 213.

7 Da ultimo, si veda S. Landucci, op. cit., pp. 236 sgg.

8 Sul tema dei sortali si veda D. Wiggins, Substance and Sameness, Oxford 1980.

9 Cfr. A.G. Conte, Minima deontica, "R.I.F.D.", vol. 65 (1988), pp. 432-434, ora in Filosofia del linguaggio normativo, II, Torino 1994, pp. 357-407, in part. pp. 362 sgg.

10 TuP, Ak. VIII, 276.

11 MdS, Ak. VI, 214.

12 KrV, Ak. III, A16.

13 GW, IV, 436-437.

14 GW, IX, 236.

15 KpV, Ak. V, A133. Sullo sfondo di una tale concezione della legge morale quale ratio cognoscendidella natura noumenica della ragione pura pratica si cela il tema dell'intuizione intellettuale, la cui ammissibilità Kant aveva fermamente negato in sede teoretica, ma che attraverso la dottrina del "fatto di ragione" tenta di 'surrogare' in sede pratica. Sulla questione si veda il contributo di D. Henrich, Der Begriff der sittlichen Einsicht und Kants Lehre vom Faktum der Vernunft, ora nella trad. it. di G. Tognini, in Introduzione alla morale di Kant, Roma 1993, pp. 69-94.

16 GMS, IV, 404-405.

17 Cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, § 27.

18 GMS, Ak. IV, 458.

19 KpV, Ak. V, A236.

20 Rel, Ak. VI, 6.

21 KpV, Ak. V, A236.

22 Rel, Ak. IV, 27.

23 Si veda E. Tugendhat, Selbstbewusstsein und Selbstbestimmung, Frankfurt a.M 1979, pp. 282-291; D. Henrich, Identität – Begriffe, Probleme, Grenzen, in O. Marquard, K-H. Stierle (hrsg. v.), Identität, München 1979, pp. 133-186.

24 Cfr. D. Henrich, Der Begriff der sittlichen Einsicht cit., trad. it. cit., p. 94.

25 Cfr. J.G. Fichte, Zweite Einleitung in die Wissenschaftslehre…, "Philosophisches Journal", Bd. 5, Heft 4, 1797, pp. 319-378 [= ND, II], ora in GA, I,4, pp. 209-244: in part. § 5, pp. 218-219 (trad. it. a cura di C. Cesa, in Prima e Seconda Introduzione alla dottrina della scienza, Roma-Bari 1999). Per un ampio studio sul tema si veda il volume di X. Tilliette, L'intuition intellectuelle de Kant à Hegel, Paris 1995 (trad. it. di F. Tomasoni, L'intuizione intellettuale da Kant a Hegel, Brescia 2001).

26 Rel., Ak. VI, 36.

27 Al 'primato' della ragion pratica si era riferito Fichte per la fondazione della sua nuova filosofia, la dottrina della scienza, e proprio a una "neue Ethik" avevano fatto appello, da parte loro, Hölderlin e il giovane Hegel nel primo manifesto dell'idealismo tedesco. Cfr. Grundlage der gesamten WL, GA, I,2, § 3, D. (trad. it. a cura di F. Costa, Dottrina della scienza, Roma-Bari 19932, p. 101); ND, II, § 6, GA, I,4, pp. 221 sgg.; Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus, in Mythologie der Vernunft (hrsg. v. Ch. Jamme u. H. Schneider), Frankfurt a.M. 1984, pp. 11-14.

28 Cfr. MdS, Ak. VI, 224.

29 L. Scaravelli, Osservazioni sulla 'Critica del Giudizio', in Scritti kantiani, Firenze 1973, pp. 358 sgg., pp. 385-86; del medesimo problema danno traccia pure le appena pubblicate Lezioni su Leibniz, Soveria Mannelli 2000, pp. 82, p. 151, pp. 228-229.

30 D. Henrich, op. cit., pp. 84 sgg.

31 Rel., Ak. VI, 23.

32 Per una critica alla dottrina kantiana cfr. L. Scaravelli, Critica del capire, Firenze 1968, pp. 93-94, pp. 103 sgg.

33 Ibid., pp. 116-117.

34 GW, IX, 335; Rph, § 139 sgg.

35 Rph., § 124A.

36 Un tal principio, ad esempio, sancisce il "diritto del soggetto di trovar nell'azione il suo appagamento". Cfr. Ibid., § 121.

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