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aggiornamento 29 ottobre 2000
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Paradigmi
La rivista non è presente sul web. Le schede offerte dal BFP sono di Luca Del Pozzo.
![]() 18 (2000), 52 Nuova Serie Il numero 52 di "Paradigmi" viene pubblicato ad un anno di distanza dagli eventi della primavera del 1999, che, per la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale, hanno direttamente coinvolto l'Italia in un'azione militare nell'area europea, sull'altra sponda, a noi vicinissima, del mare Adriatico. Ricondotto in extremis nel quadro legale delle Nazioni Unite, l'intervento internazionale in Kosovo non è ancora affatto concluso.[ ] In questa congiuntura, preoccupante e gravida di nuovi conflitti, è necessario che la discussione pubblica, che è stata scarsissima al momento della guerra, non venga del tutto a cadere.[ ] A tale proposito, è sensato e plausibile mettere in gioco anche i 'filosofi'? [ ] in ordine alla guerra ed alla pace, i filosofi possono richiamarsi ai precedenti, niente affatto irrilevanti, dell'epoca in cui ha incominciato a formarsi nel mondo una opinione pubblica illuminata. A questo pubblico Immanuel Kant ha indirizzato con insistenza [ ] le sue argomentazioni razionali in difesa del 'millenarismo filosofico', che si esprimeva nei progetti "per la pace perpetua" dell'abate di St. Pierre, di Rousseau e di Kant stesso (1795). Il riferimento a Kant è chiaramente presente nelle domande suggerite da "Paradigmi" e nelle risposte che vengono ora pubblicate (dalla Presentazione di M. Miegge) (L.D.P.) I FILOSOFI TRA PACE E GUERRA: CINQUE DOMANDE
G. Marini, I filosofi tra pace e guerra, pp. 59-65. L'autore sottolinea che l'intervento armato per cause umanitarie è credibile qualora venga legittimato dalle istituzioni internazionali vigenti; tuttavia, nel caso del Kosovo è assai dubbio che tale possibilità sussista. L'autore sostiene altresì che pur essendo necessario un confronto interculturale al fine di fondare la pretesa di universalità dei diritti umani, esso non è però sufficiente: il fondamento della suddetta pretesa deve piuttosto scaturire da un rigoroso esame critico condotto dalla ragione, che è una per tutti gli uomini.(L.D.P.) M. Mori, I filosofi tra pace e guerra, pp. 65-77. Secondo l'autore sono due gli aspetti che caratterizzano il conflitto bellico nel Kosovo. Da un lato, esso rappresenta la riproposizione della guerra tradizionale nel continente europeo; dall'altro, e a differenza della guerra del Golfo, esso ha una matrice etnica. Quanto poi all'intervento della Nato nel conflitto, l'autore lo giustifica in virtù del principio della difesa dei diritti umani ed escludendo eventuali motivazioni ideologiche (come la promozione dei valori democratici: questi infatti sono tali, cioè valori, solo in determinati paesi, ma non è detto che siano o debbano essere universalmente riconosciuti). La legittimità dell'intervento della Nato scaturisce così dal riconoscimento del carattere di universalità dei diritti umani; esso trova concreta applicazione nel conferire legittimità di intervento ad un soggetto internazionale capace di ricorrere alla forza basandosi su principi universalmente riconosciuti.(L.D.P.) F. Totaro, Si vis pacem para pacem.La pace oltre il suo paradosso, pp. 95-105. L'autore considera sostanzialmente fallimentare l'esito della guerra del Kosovo. Questa infatti ha bloccato, e non favorito come era nelle intenzioni, il processo di democratizzazione dell'area in cui è stato sferrato l'attacco. A tal proposito l'autore parla della guerra in termini di sospensione della democrazia e non ritiene plausibile che a suo riguardo venga usata l'espressione intervento umanitario. Troppo grande infatti è lo iato che separa la giusta esigenza di garantire e applicare i valori democratici dagli esiti catastrofici derivanti dalla condotta di guerra. Pertanto è auspicabile che venga promossa una logica della pace che, sola, è in grado di generare la pace: deputata a tale compito è, o dovrebbe essere, un'istanza sovranazionale.(L.D.P.) C.A. Viano, Guerra e diritti umani, pp. 105-115. Secondo l'autore l'intervento della Nato nella guerra del Kosovo non può essere in alcun modo ricondotto nell'alveo tradizionale della 'guerra giusta'. Ciò nondimeno l'autore considera legittimo l'uso della forza nel caso in cui le sofferenze arrecate siano minori di quelle evitate. Le 'guerre umanitarie' sono pertanto legittime e spetta ai paesi che fondano la convivenza civile sulla cultura dei diritti la loro conduzione. (L.D.P.) |
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![]() ![]() A cura di: Brunella Casalini Emanuela Ceva Dino Costantini Nico De Federicis Corrado Del Bo' Francesca Di Donato Angelo Marocco Maria Chiara Pievatolo Progetto web di Maria Chiara Pievatolo Periodico elettronico codice ISSN 1591-4305 Inizio pubblicazione on line: 2000 ![]() ![]() |
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