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BFP - Home | Titoli :: testi on-line: Una lettura della dimensione simbolica dell'identità femminile in Anindita Balslev: tra paradigma della differenza e postmoderno

Una lettura della dimensione simbolica dell'identità femminile in Anindita Balslev:
tra paradigma della differenza e postmoderno
di Paola Meozzi



Che cos'è l'altro? Anindita Balslev, studiosa di origine indiana [1], intervenuta nel dibattito sul pluralismo culturale e religioso con un opera di recente pubblicazione [2], si è già posta questa domanda quando, rispondendo a Rorty, analizza l'alterità come complemento dell'identità soggettiva in chiave antiessenzialistica: il soggetto non può mai essere interpretato come verità essenziale rispetto alle costruzioni sociali cui partecipa. Che cosa succede, tuttavia, quando la diversità diviene alterità svalutata e l'altro, in quanto differenza inclusa o esclusa in base a «definizioni» non prende parte ai processi decisionali e alle dinamiche di potere? Il punto di partenza è che la differenza sessuale non è altro che una delle tante stratificazioni del soggetto insieme alla classe o alla razza. L'attenzione per la categoria dell'alterità non solo interessa molta parte della filosofia contemporanea, ma costituisce il nucleo fondante del pensiero femminista, in quanto il soggetto, verrebbe a contrapporsi come io molteplice e frammentato al falso valore universale di un'identità forte e universale, per la quale non esisterebbero differenze di genere e che in realtà presupporrebbe una logica dualistica a fondamento delle dicotomie uomo donna, vero falso, barbarie e civiltà e via dicendo.

Da questa analisi il pensiero femminista trae la necessità di ripensare forme di soggettività che non si fondino su un assetto improntato ad un altro inessenziale, escluso, determinato a partire da un polo affermativo e definitorio, ma che siano, invece, fondate su una valorizzazione della diversità che, in luogo dell'imposizione dei propri valori, ponga l'ascolto dell'altro e il dialogo.

Da un lato, quindi, la necessità di smascherare l'universalismo falsamente egalitario, che interpreta la differenza sessuale come un'espressione dell'essenza individuale, dall'altra il rifiuto di circoscrivere il problema unicamente in una serie di costruzioni sociali a partire da un sé neutro, deterministicamente e biologicamente dato. Il problema della differenza sessuale, del modo in cui viene eluso dal pensiero occidentale, insieme alla perdita del simbolico, risultano il nucleo fondante di questo tipo di prospettiva teorica [3].

Come collocare, quindi, all'interno dell'universo composito e differenziato moderno, luogo della crisi identitaria e della complessità, la categoria femminile? In che maniera può essere costruito un processo di emancipazione da parte delle donne e su cosa può essere fondato il dialogo? La sfida, afferma la Balslev, è quella di recuperare un senso di identità comune, di «sorellanza», fondato su un riconoscimento di comuni valori e rappresentazioni. Occorre ricercare forme alternative di significazione delle categorie culturali della soggettività femminile; la strada dell'egalitarismo e del riformismo normativo si è verificata insufficiente a promuovere una vera e propria «rivoluzione culturale». Di fatto, continua la Balslev, molti dei tentativi compiuti in tale senso si sono dimostrati inadeguati, puri vantaggi illusori che non hanno fatto altro che regalare alle donne una «parità dei diritti» sulle carte costituzionali che di fatto non esiste. La lotta, per essere proficua, deve da un lato essere di tipo culturale, affinché possano essere scardinate le basi fondanti, nell'immaginario collettivo, di una concezione della donna obsoleta e stereotipata e, al contempo politica, in quanto occorre istituire degli organi sovranazionali che vigilino sull'applicazione e il rispetto dei diritti acquisiti, affinché non venga elusa la legge. Nella dimensione simbolica, quindi, è importante il recupero di archetipi e miti provenienti dalla tradizione religiosa, come quella indiana, che valorizzino e ripropongano all'attenzione di un pubblico sessualmente neutro e reso ormai androgino, la necessità di riavvicinarsi e comprendere una differenza che arricchisce, riproponendo un altro da sé dotato di valore, che non si esclude in maniera dicotomica, ma completa dialetticamente, partecipando al discorso costruttivo dell'identità individuale. Certamente tale recupero in sé può essere pericoloso, specialmente quando l'immagine mitica si sovrappone e sostituisce a quella della donna reale. Ecco perché la Balslev, oltre a riprendere miti che raccontano di donne, vede nell'interpretazione e nella rilettura di alcuni personaggi femminili reali recuperati da materiale biografico vario, così come nella narrativa per l'educazione interculturale, un modo di portare alla luce una lotta condotta nei secoli, molto spesso attraverso il silenzio.

Resta comunque un fatto che la lotta alle istituzioni sociali legate al patriarcato debba ripartire dalla sostituzione delle immagini rappresentative della donna socialmente condivise attraverso i canali educativi. L'ordine simbolico sorretto dalle attuali istituzioni scolastiche, se non del tutto soppresso, verrebbe sostituito da forme alternative di soggettività femminile, rispettose delle differenze, che non rinuncerebbero ad una «lettura» politica del termine «donna», senza tuttavia confinarlo in una dimensione puramente universalistica o normativa.

Ecco che, osserva la Balslev, la filosofia gioca in questo un ruolo importante. La crisi della modernità, nelle sue varie declinazioni e interpretazioni, diviene un'occasione per mettere in discussione l'intero sistema fondato sulla logica della razionalità patriarcale e il suo compito diviene quello di soverchiare l'ordine precostituito, ma anche e soprattutto quello di ricostruire nuove appartenenze che contraddistinguono l'essere donna. In sostanza, il programma della Balslev si articola in due parti, secondo uno schema già noto: per prima cosa occorre decostruire le proprie concezioni e adesioni ai modelli identitari proposti dallo status quo, smascherando concezioni e ideologie che si professano neutrali e il cui intento non è altro che quello di lasciare immutata la realtà politico-economica e sociale attuale; secondariamente, occorre costruire nuovi modelli di rappresentazione dell'identità soggettiva e di interpretazione della diversità in senso positivo, secondo ciò che è e non ciò che viene escluso, che sia essa rappresentata dallo straniero, da colui che aderisce ad un culto religioso diverso o dalla donna, non a partire da sé, quindi, ma per arrivare a sé attraverso l'altro, lungo la linea di una costruzione dialettica che non perde mai di vista la storia. La sfida che, in sostanza, viene lanciata è comunque quella di un pensiero nuovo, che abbia spezzato i legami con l'eredità metafisica e che sia in grado, al di là delle varie cornici culturali e teoriche, di pensare ad un'alterità portratrice di valore. 


Vai al testo: Anindita N. Balslev, Riflessioni sui diritti della donna e sulle norme culturali


Ipertesto a cura di Francesca Di Donato (france[at]sssup.it) Valid XHTML 1.0!