Il
ciclo di seminari, organizzato nell'arco di cinque giornate presso
la Scuola Sant'Anna di Pisa, è stato pensato
per dare gli elementi fondamentali del diritto musulmano e dei paesi
arabi, in particolare su
il sistema giuridico e le fonti
l'ordinamento giudiziario e il diritto processuale musulmano
classico
il diritto penale musulmano
il diritto di famiglia e lo statuto
personale
il sistema giuridico del diritto islamico classico
le obbligazioni e i contratti
la filiazione e il diritto delle successioni
la presenza musulmana in Italia e in Europa
in preparazione delle 'Quattro
giornate di diritto musulmano e dei paesi arabi', in
programma presso la Scuola Sant'Anna (Pisa) dal 4 all'8 giugno 2002.
Nell'introduzione al corso, Luigi
Sapio, ricercatore presso la Scuola Sant'Anna e organizzatore
del corso, ha tracciato brevemente un quadro del contesto sociale,
culturale ed economico preislamico, in cui si inserisce la rivelazione
del profeta Muhammad (Maometto), per cogliere gli elementi di continuità
e quelli di distinzione che intervengono con la presa del potere da
parte di Maometto, nel 630 d.C.. In tale introduzione Sapio ha messo
in luce un'importante distinzione tra il Corano e la Bibbia, ovvero
il fatto che nel primo la parola
viene intesa come rivelata da Dio,
mentre nella seconda la parola è da questo solo ispirata.
I fondamenti (pilastri) dell'Islam
sono cinque atti di culto fondamentali:
1. la testimonianza di fede (Shashâda), che stabilisce
l'unicità del creatore, va pronunciata col cuore
davanti a testimoni musulmani e ha valore di contratto, fatta salva
l'abiura.
2. la preghiera (salât) (cinque giornaliere), che deve
essere preceduta da abluzione ed avere luogo secondo una precisa procedura,
col corpo rivolto verso la Mecca (in passato la direzione era quella
di Gerusalemme).
3. l'imposta del Corano (zakât) è un atto di solidarietà
verso la comunità che funziona come sistema di redistribuzione
del reddito; in origine si trattava di un semplice atto volontario,
adesso a tale forma si è aggiunta quella della tassa obbligatoria.
4. il pellegrinaggio (hagg) alla Mecca deve essere compiuto
dal musulmano almeno una volta nella vita, a meno che le sue condizioni
economiche o di salute glielo impediscano.
5. il digiuno (sawm) del mese di ramadân (mese in cui
nel 610 Muhammad ebbe la prima rivelazione) vieta di assumere cibo
'finché il filo bianco e il filo nero non siano indistinguibili'
(ovvero prima del tramonto) e spetta a tutti gli adulti in buona salute;
sono dispensati i malati, le donne incinta e chi è in viaggio.
Sapio ha successivamente introdotto al sistema
giuridico e alle fonti
del diritto
musulmano.
Il sistema del diritto è
opera di scuole giuridiche successive alla morte del Profeta, ed è
quindi il risultato di una riflessione dottrinale. Le scuole giuridiche
(madhâib) dell'Islam sunnita sono quattro e hanno il proprio
centro in diverse aree geografiche:
1.malikita, è la scuola di Medina (Nordafrica, Africa
subsahariana);
2.hanafita, è scuola ufficiale dell'Impero Ottomano
e la più diffusa nel mondo (Turchia, Balcani)
3.sciâfi'ita, è la scuola che ha maggiormente
contribuito alla codificazione (India, Pakistan, Bangladesh)
4.hanbalita, è la più tradizionalista e rigorista
(Arabia Saudita, Oman, Kuwait).
Le scuole elaborano i testi di scienza giuridica su cui si basa il
diritto musulmano classico che dalla combinazione delle fonti costruisce
la scienza giuridica. Solo nel corso del secolo scorso, il diritto
musulmano diventa sempre più un diritto statuale (dei paesi
arabi).
Le fonti (radici)
del diritto islamico sono quattro:
1. Corano
(Qur'an): il libro sacro che contiene il complesso delle rivelazioni
di Dio al Profeta, la scrittura del quale è attribuita generalmente
ad Abu Bâkr, il primo califfo.
Il Corano è l'unica vera legge per la Sharî'a.
Su 6000 versetti circa, solo un dieci per cento (600 circa) contiene
precetti giuridici, pertanto è necessaria da parte del giurista
un'operazione di integrazione per quelle materie che non sono comprese
nel Corano. L'aspetto giuridico non è tuttavia separabile da
quelli politico, religioso, morale: al contrario c'è tra le
parti una compenetrazione. I versetti che regolano propriamente soltanto
i rapporti tra uomini sono circa cento.
2. Sunna: il comportamento del Profeta.
La Sunna è la tradizione, cioè i detti,
i fatti e i silenzi (intesi come tacito assenso) del Profeta; la condotta
di Muhammad ha efficacia normativa in quanto è ispirata da
Dio; pertanto rispetto al Corano (che è la rivelazione della
parola di Dio) è una fonte secondaria del diritto.
3. igmâ: il consenso dei dottori o della comunità.
In presenza di consenso, la comunità non è
soggetta ad errore; tale consenso può essere dei dottori (esperti)
o della comunità intera. Il filosofo Averroè in particolare
sostenne la necessità di distinguere tra un consenso ampio,
necessario per le decisioni che hanno ad oggetto gli atti cultuali,
e uno ristretto (dei sapienti, che conoscono l'Islam) per le materie
più tecniche.
4. qiyâs: il ragionamento analogico.
Gli oggetti del diritto che non sono disciplinati
dal Corano o dalla Sunna sono trattati sulla base del ragionamento
analogico (qiyâs), a parità di ratio legis.
Fonti sussidiarie (accessorie) sono inoltre le consuetudini e le raccolte
della prassi, che si ispirano alla dottrina.
Deborah Scolart (Università di Roma
Tor Vergata) ha tenuto una lezione sull' ordinamento
giudiziario e il diritto processuale
musulmano classico.
I primi giudici (qâdi) sono istituiti dal terzo califfo,
quando, al crescere dell'impero, si pone il problema di gestire grossi
territori. Nascono così figure tipiche che sostituiscono l'arbitrato,
il metodo attraverso cui, sia prima sia dopo Maometto, venivano risolti
i conflitti (lo stesso Maometto fu nominato arbitro da alcune tribù,
anche ebraiche).
I qâdi hanno un ruolo importante per lo sviluppo del diritto
musulmano, perché scrivono il Corano. Sono funzionari dello
stato che decidono in virtù di una delega del capo dello stato
(Califfo). È da sottolineare l'importanza della forma della
nomina del qâdi per l'esercizio della funzione a svantaggio
della titolarità effettiva ad esercitare il diritto di nomina:
la logica di fondo, importante per comprendere il diritto islamico,
è fondata sulla saldezza degli atti, per garantire al suddito
la certezza della legge. Meglio cioè la tirannide dell'anarchia;
solo se il tiranno va contro la Sharî'a, allora il popolo ha
diritto di resistenza nei confronti del capo dello stato.
Il qâdi dev'essere: 1. musulmano (l'infedele non può
esercitare potere sul fedele); 2. uomo (la donna è subordinata
al maschio, tentatrice e non idonea per natura); 3. sano di mente;
4. libero (non schiavo).
È solo desiderabile che sia ricco, per evitare la corruzione
(in teoria il lavoro è svolto a titolo gratuito, nella pratica
esistono forme remunerative che non assumono mai la forma di stipendio).
Tra le competenze del giudice ci sono la sorveglianza delle prigioni,
la nomina dei notai, la rappresentanza degli assenti o degli incapaci
di intendere e di volere.
In ogni caso, basta che una delle due parti sia musulmana perché
il giudice sia musulmano (esiste cioè una presunzione di superiorità
del diritto musulmano).
Il qâdI giudica su ogni materia ed ha competenza su tutto; nel
diritto civile non ha potere esecutivo, cioè le parti sono
libere di non ratificare. Non così nel diritto penale, dove
la sentenza è immediatamente esecutiva.
Non esistono inoltre diversi gradi di giudizio (l'unica possibilità
perché possa aversi una revisione di un giudizio già
espresso, è l'occasione del controllo dei casi in corso, meramente
formale, che un qâdi è tenuto ad effettuare nel momento
dell'insediamento).
Il qâdi della Sharî'a è sopravvissuto ancora oggi
per determinate competenze, relative al diritto di famiglia e al diritto
penale, in alcuni paesi (tra cui l'Arabia Saudita, il Kuwait, gli
Emirati Arabi Uniti).
Ci sono due elementi che è importante sottolineare nel diritto
processuale musulmano.
In primo luogo è importante capire chi è l'attore e
chi il convenuto, perché il sistema probatorio è configurato
sulla base del giuramento e si dà (di solito) presunzione di
verità al convenuto (si confida nel fatto che dica la verità).
In secondo luogo, il giudice cerca di capire se l'azione delittuosa
è esattamente quella indicata dal Corano; l'attenzione cioè
è rivolta alla forma del diritto; al contrario, non si cerca
di scoprire la verità (infatti, se due testimoni di uno stesso
soggetto non dicono la stessa identica cosa, entrambe le testimonianze
non sono valide, e chi le porta perde la causa).
Deborah Scolart ha inoltre fornito alcuni elementi
di diritto penale
musulmano.
I versetti del Corano relativi al diritto penale sono circa venti
e regolano solo figure particolari, il resto dei casi si basa sull'interpretazione
dottrinale.
Nel sistema penale musulmano, inoltre, i delitti sono contraddistinti
dalle pene (come nel nostro).
Una prima categoria di delitti è quella dei delitti di sangue;
la pena per questi è contenuta nel Corano, dove si sottolinea
che il bene protetto è l'interesse di Dio e, solo in seconda
istanza, quello dell'essere umano. La legge del taglione era
già diffusa prima di Maometto; al Profeta però Dio rivela
che la comunità non è pronta ad abbandonare questa legge
(Corano, Sûra 2, versetti 178-9). Il taglione si applica sempre
se è l'atto è doloso; se non lo è, esistono sfumature
per l'operatività del prezzo del sangue (che consiste nel quantificare
il prezzo della vita umana in cento cammelli, e le singole parti del
corpo in frazioni di tale unità).
Altre tre categorie di delitti sono:
i delitti sessuali (l'adulterio, punito con la lapidazione,
e la fornicazione, punita con cento frustate) che consistono nell'avere
rapporti sessuali fuori del rapporto giuridico.
Il furto, punito col taglio della mano secondo il Corano ('al
ladro e alla ladra tagliate la mano').
L' apostasia e l'assunzione di bevande alcoliche. La
prima viene punita con la pena di morte; il secondo divieto invece
non viene in generale rispettato, e non è recepito come tale
negli ordinamenti positivi moderni.
Tutti gli altri delitti sono a discrezionalità del giudice
(sono variabili e poco interessanti per il giurista, anche se molto
più diffusi).
Tale sistema ha avuto validità fino al primo dopoguerra; successivamente,
in seguito alla formazione degli stati nazionali, la legislazione
penale ha subito l'influenza dei principi occidentali, in particolari
quelli della chiarezza e della rieducazione. Fanno eccezione all'opera
di revisione e all'occidentalizzazione del diritto musulmano l'Arabia
Saudita, e la Libia, il Sudan, il Pakistan che, per ragioni diverse,
hanno reintrodotto i principi della Sharî'a. Nei paesi dell'area
del Maghreb, e in Siria, Libano e Giordania, in particolare non esistono
più pene corporali.
Barbara Guerrucci ha trattato del diritto
di famiglia e dello statuto personale,
mettendo in rilievo come le leggi del diritto di famiglia si siano
staccate per ultime dalla Sharî'a (la Libia, e l'Algeria solo
nel 1984), e come queste siano ancora strettamente legate al Corano.
Il matrimonio musulmano è un contratto (e non un sacramento,
come quello cristiano) che serve a legittimare i rapporti sessuali.
Inoltre, se nell'Arabia preislamica esistevano forme di matriarcato,
Maometto parla invece di naturale
superiorità dell'uomo.
L'età non è un requisito per contrarre matrimonio (ma
solo per la consumazione). La donna vergine comunque è un minore,
cioè ha bisogno di un tutore (solo la scuola hanafita permette
alla donna di concludere il matrimonio).
Oggetto del contratto è la donna: l'uomo acquista una moglie
(fino a quattro), come in un contratto di compravendita, e deve trattarle
tutte equamente.
Oggi, oggetto del contratto sono per il marito l'autorità maritale
(la donna deve obbedire, altrimenti può subire punizioni corporali
e la sospensione del mantenimento) e la potestà sessuale; per
la moglie il donativo nuziale, che viene versato a lei ed è
di sua proprietà. Inoltre possono essere apposte al contratto
clausole che stabiliscono accordi particolari tra i coniugi, quali
ad esempio il divieto della poligamia.
Un istituto molto particolare del diritto di famiglia è il
ripudio, che è solo maschile e non dev'essere motivato. La
donna può invece autoripudiarsi.
Il diritto dei genitori sui figli stabilisce che la potestà
è del padre, che decide sull'istruzione, l'educazione, l'avviamento
al lavoro, e le punizioni corporali. La madre ha invece un ruolo di
custodia.
Ali Abu Kaf (Scuola Sant'Anna), ha esposto
le linee generali del sistema giuridico
del diritto islamico classico, che si basa su tre principi:
1. l'unicità: tutto ciò che esiste, è creato
da Allah che dà anche le norme; Allah è l'unico legislatore
ed è l'unico ad avere il diritto di essere obbedito. La politica,
intesa come modo di governare la comunità di uomini, è
il complesso degli scopi, e dei mezzi per realizzarli. Nel diritto
islamico, Dio è il fondamento del diritto.
2. la procedura attraverso cui Allah comunicò all'uomo, ovvero
la rivelazione dei messaggeri attraverso cui si danno i principi perché
l'uomo viva in armonia con sé e con gli altri, con sé
e con l'ambiente. Il diritto divino trova espressione nel Corano e
nella Sunna (così la prima e l'ultima parola del Corano: leggi
il Corano, leggi l'Islam).
3. il califfato: il Califfo regge in luogo di un altro entro i limiti
assegnatigli dal Corano (in questo modo si stabilisce che ognuno in
una società statuale islamica è su un piano di parità).
La legittimazione del successore del Califfo avviene attraverso la
consultazione (una forma di elezione per acclamazione).
L'appartenenza alla comunità di religione islamica è
condizione sufficiente e necessaria alla cittadinanza; di conseguenza,
i non musulmani non possono essere cittadini dello stato islamico.
Un rapporto privilegiato è stabilito con i 'popoli del libro',
cioè gli ebrei e i cristiani.
Luigi Sapio, a proposito di obbligazioni
e contratti ha messo in luce tipologie
di beni che non sono presenti nel sistema del diritto romano e ha
sottolineato i legami fondamentali tra diritto di proprietà
e lavoro, che nel diritto musulmano è la principale fonte dell'acquisto.
Barbara Guerrucci ha affrontato i temi
della filiazione e del diritto
delle successioni.
La Guerrucci ha sottolineato come in tema di filiazione il Corano
detti principi molto rigidi; infatti la liceità del rapporto
che lega i genitori determina quella del rapporto tra padre e figli.
La filiazione è necessaria e sufficiente a stabilire chi è
la madre (il parto infatti costituisce la certezza della filiazione);
il riconoscimento di paternità è invece possibile solo
se la generazione è avvenuta in modo lecito: esistono quindi
particolari istituti tramite cui avviene tale riconoscimento. Inoltre,
nel diritto musulmano esiste il disconoscimento di paternità
(giuramento imprecatorio) che ha origine direttamente coranica ed
è presente, tra i paesi del Maghreb, nelle legislazioni libica
e tunisina.
La generazione è necessariamente biologica ed esiste
un esplicito divieto dell'adozione (Corano, Sûra 33,
versetti 4-5) tuttora accettato da tutti i paesi arabi ad esclusione
della Tunisia, che nel 1958 ha introdotto l'istituto. Esistono tuttavia
altri strumenti in grado di provvedere alla necessità di un
minore indigente; la differenza tra tali istituti e l'adozione sta
nel fatto che il minore non riceve il nome del suo benefattore, e
che il padre, se è vivo, non perde la potestà. Sulla
base di tale istituto, tuttavia, per un atto di ultima volontà
il minore è equiparato ai figli del benefattore nel diritto
delle successioni.
Nel diritto delle successioni non esiste testamento, non è
ammesso diseredare né rinunciare all'eredità. Le tipologie
di eredi sono due: gli eredi obbligatori (la cui quota fissa di eredità
è indicata dal Corano) e gli agnati. Da notare è che
sono decisamente privilegiati gli uomini rispetto alle donne.
Infine, Alessia De Caro (Università
di Pisa) ha presentato alcuni dati relativi alla presenza
musulmana in Italia, che dagli anni Settanta ad oggi
ha acquistato sempre più consistenza (basti pensare che fino
al 1970 esisteva in Italia una sola moschea mentre oggi ve ne sono
oltre sessanta); la De Caro ha sottolineato come soltanto in Spagna
si sia giunti alla stipulazione di un accordo bilaterale tra la comunità
islamica e lo stato nel 1992 (accordo che in larga parte resta disapplicato).
In Italia, le difficoltà relative a un'intesa tra comunità
islamica e stato dipendono sia dalla frammentazione interna alla comunità
islamica stessa, che raccoglie musulmani di origine geografica e culturale
molto diversa, sia dalla tipologia di alcune richieste (soprattutto
relative allo statuto personale delle donne), che è in conflitto
con i principi della nostra costituzione.