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Trasimaco nega una serie di alternative alla risposta di Socrate, che invita il sofista a dare una sua definizione (337 a- 338 a): giusto, afferma Trasimaco, è l'utile del più forte, e pensa di non dover aggiungere altro, ma Socrate lo induce ad una serie di precisazioni (338 a-339 b). [Vegetti, Trasimaco, 1998; M. Stella, Socrate, Adimanto, Glaucone
, 1998]. Uno dei problemi che emerge è quello della fallibilità dei governanti (339 b-339 e): Trasimaco ribadisce la specificità della propria posizione, dopo gli interventi di Polemarco e Clitofonte (340 a-340 c). Il Calcedone è convinto che Socrate abbia l'insidioso proposito di tendere tranelli, e ribadisce il senso in cui va intesa l'infallibilità del più forte: essendo necessario parlare con esattezza (340 c- 341 c), il più forte, in quanto tale, non sbaglia nell'individuare il proprio utile, e chi cade in errore lo fa per difetto di scienza (340 a sgg.). Il più forte trasimacheo ha una propria specifica episteme ed avvedutezza. Nel confronto, a questo punto, compare anche il problema della techne (Vegetti, Techne, 1998): a chi giovano le technai? (341 c-342 e). Trasimaco, nel suo intervento più lungo, mette in crisi il ricorso socratico alla techne, riferendosi alla figura del pastore. La giustizia viene ora definita dal sofista come bene d'altri, ma la definizione precedente (utile del più forte) viene subito esplicitamente ribadita (343 a- 344 c). Socrate non è soddisfatto e vuole proseguire il confronto (344 d-345 e): si discute allora sulla volontarietà del governare e sull'arte mercenaria (345 e-347 a): si può anche governare per non essere governati da inferiori, secondo Socrate, ed occorre discutere sul profitto arrecato dalla giustizia (347 a- 348b). L'ingiustizia, secondo Trasimaco, è avveduta, e la giustizia può essere piuttosto definita come semplicità di carattere o ingenuità: a Socrate non deve interessare se questa sia davvero la convinzione di Trasimaco, ma deve provare a confutarla, se riesce (348 b- 349 a). Una nuova serie di argomentazioni socratiche intendono mostrare che il giusto è buono e sapiente, e viene ancora utilizzato il paradigma delle technai (349 b-350 c): le argomentazioni di Socrate non sono irresistibili, eppure Trasimaco sembra in difficoltà e arrossisce (350 d-e). Il Calcedone, lamentandosi perché non gli viene concesso di esprimersi come vuole, dichiara che d'ora in poi si limiterà ad una partecipazione di convenienza al dialogo (350 d-e). Socrate, allora, mostra che la giustizia comporta efficacia nell'azione e che il giusto è felice (351 a-354 a), ma non è soddisfatto. |
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