Bollettino telematico di filosofia politica
Il labirinto della cattedrale di Chartres
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Ultimo aggiornamento 7 giugno 2002

Vittorio Mathieu, Le radici classiche dell'Europa, Milano, Spirali, 2002, 211 pp.

Il volume pubblicato da Spirali costituisce la raccolta di tre saggi già pubblicati separatamente: L'avventura, spirito dell'Europa è uscito in una serie di venti volumi d'arte, ciascuno su un tema filosofico, uno dei quali dedicato appunto a L'Avventura; L'Odissea, allegoria dell'Europa, costituiva un articolo all'interno di un numero di "Art'è"; L'Eraclito, infine, è stato originariamente concepito come monografia di supporto a delle cassette multimediali sulle Radici del pensiero filosofico, edite dall'Enciclopedia italiana in collaborazione con l'Istituto Italiano di Studi filosofici e con la Rai. Non è quindi del tutto legittimo ricercare in questa riedizione unificata dei tre saggi la coesione e l'organicità che si potrebbe pretendere da un opera pensata, concepita e scritta come un testo unico: essa si presenta invece come una raccolta di riflessioni "erranti", dotate di una propria autonomia e compattezza interna e nel contempo attraversate da un'aria di famiglia, da un idem sentire tanto innegabile quanto difficilmente riassumibile in una tesi puntuale.

Ai tre saggi viene preposto un breve testo intitolato La navigazione, che rappresenta la versione scritta di un intervento orale. Intervenendo ad un convegno dedicato alla Costituzione europea, Mathieu dichiara di poterne parlare proprio perché una tale Costituzione non c'è (ancora), e quindi si tratta, per il filosofo, di vagliare nell'immaginario spirituale della cultura europea per rintracciare ciò che ne rappresenta la costituzione intesa come complessione o struttura - operazione, questa, assolutamente legittima proprio perché l'oggetto del convegno non è, e non può essere, una Carta costituzionale già esistente e da commentare nella sua adeguatezza, completezza o efficacia. Esponendo in forma sintetica il contenuto del saggio successivo, l'autore afferma che l'unità dell'Europa coincide con l'avventura, cioè le ad ventura, le cose che ci vengono incontro. L'avventura si distingue da qualsiasi forma di casualità o evento imprevisto perché è sì, come questi, qualcosa che ci viene incontro, ma ci viene incontro perché noi abbiamo deciso di muoverci, di metterci in viaggio, di esporci. Le avventure non riguardano chi sta fermo, e ciononostante viene colpito dal destino - esse ci vengono incontro perché noi per primi siamo disponibili, disposti ad andare incontro a lei.

L'esperienza storica da cui deriva questa connotazione del termine "avventura" è rappresentata dalle popolazioni germaniche, dalle migrazioni barbariche: i Germani impersonificano l'archetipo dell'eterno viandante, che scorrazza per le ampie pianure dell'Asia, giunge fino agli spazi sempre più angusti dell'Europa finché non incontra la stabilità, rappresentata da Roma e dal Senato, i cui esponenti, come segno visibile di questo carattere di permanenza, sono sempre ritratti da seduti e non si scompongono nemmeno quando un barbaro tira loro la barba.

L'avventura germanica conosce tuttavia due fondamentali antecedenti classici: le peregrinazioni di Ulisse, avventurose proprio perché è Ulisse stesso in gran parte a cercarsele e a scegliere di continuare a viaggiare piuttosto che fermarsi, anche se il suo è un viaggio di ritorno; le spedizioni di Alessandro Magno, le cui gesta danno origine al cosiddetto "romanzo ellenistico" - ed è proprio il romanzo, in quanto genere letterario romantico e quindi costitutivamente germanico e anticlassico, a portare l'avventura al centro della scena continuando ad evocare, tuttavia, la parola Roma nel proprio stesso nome, per assonanza. E' pertanto sensato e significativo, ci suggerisce indirettamente Mathieu, parlare di radici classiche dell'Europa.
La categoria dell'avventura diviene quindi un filo conduttore, uno strumento ermeneutico attraverso il quale leggere la vicenda culturale dell'Europa: il cavaliere errante, le scoperte geografiche, il grand tour; infine, l'ultima figura in cui si cristallizza il tema dell'avventura europea è rappresentata, secondo Mathieu, dalla scienza. Tuttavia, nella scienza è contenuta non soltanto l'apoteosi dell'avventura, bensì anche il pericolo della sua distruzione e del suo esaurimento, che si manifesta quando essa diventa eccessivamente applicativa e tecnocratica, quando si trasforma in un'arte del calcolo dimenticando lo spirito avventuroso e rivoluzionario da cui è nata, quando dà luogo a scoperte e invenzioni che, come la reazione nucleare, mettono a rischio l'esistenza stessa dell'umanità.

L'avventura, spirito dell'Europa sviluppa analiticamente la nozione di avventura nella sua accezione etica e storico-ideale. L'avventura è, innanzitutto, da contrapporsi alla moira greca e al fatum latino poiché tali nozioni esprimono, come ben sintetizza Hegel, la nostra stessa essenza, proiettata sopra di noi e avvertita come ostile - il fato è il nostro destino, e non importa dove andiamo: non possiamo sfuggirgli, ci raggiungerà ovunque cerchiamo di nasconderci. L'accadere dell'avventura non è, invece, indipendente da noi: siamo noi ad "andare in cerca di avventure", accettando che esse ci vengano incontro. Mentre il destino è un futuro già segnato, l'avventura è la produzione di un futuro.
Come abbiamo già detto, la genesi storica di questo concetto è barbara e nomade: perché, allora, la parola ha un'etimologia latina (ad ventura)? Essa non rispecchia un'incoerenza; al contrario, questo fatto rafforza la tesi del carattere germanico dell'avventura: i Germani non avevano un nome per indicarla perché non ne erano coscienti, essa era troppo connaturata in loro, non avevano il distacco necessario. La rivolta di Sertorio, osserva Mathieu, costituisce quanto di più blasfemo e antiromano perché essa non costituisce un attacco a Roma, bensì ambisce a insediare Roma altrove, in Ispagna: "Roma è là dove io sono"; ebbene, un Germano non avrebbe mai pronunciato queste parole perché sarebbero state troppo ovvie: portare con sé la propria casa come la tartaruga fa con il proprio guscio era per lui un dato di fatto incontestato, non un principio da affermare. L'espressione ad ventura appartiene al latino altomedievale, inizia a diffondersi tra i Franchi (cioè fra dei barbari) che hanno imparato il latino, e con la lingua l'idea di stabilità che la civiltà latina comporta: all'avventura viene dato un nome quando fra i suoi paladini erranti si fa strada l'idea che essa non costituisce un'ovvietà indiscutibile, che sono possibili altri modi di intendere la nazionalità - non come qualcosa che ci si porta dietro, bensì come qualcosa che è legato a doppio filo a un luogo, a un territorio.

L'Europa consiste dunque in questa sintesi dinamica tra lo spirito classico del centro, della stabilità e lo spirito germanico dell'avvenura: l'avventura europea nasce quando lo scorazzare disordinato diviene un errare che però ha un centro. Tuttavia, un centro fisico e stabile come Roma non è più possibile: ad esso si sostituirà dunque un centro ideale - la Roma dei Senatori diventa la Roma cristiana, centro etico e ideale delle avventure dei cavalieri erranti.
Questa sintesi, mai hegelianamente conciliata, si esprime, per Mathieu, almeno in tre forme, idealmente impersonificate in tre ceppi barbari: l'insediamento franco, l'andar per mare vichingo, il ritorno a Oriente teutonico. Un soluzione è appunto quella dell'insediamento, dell'ubi consistam: i Germani trovano quel centro che prima non avevano, ma appropriandosene lo modificano profondamente. Il Sacro Romano Impero, e poi lo Stato moderno, costituiscono sì dei centri, ma dei centri cui l'avventura è connaturata (si prendano come esempi i templari o i paladini di re Carlo): solo, essa acquista ora un punto di riferimento oggettivo ed universale. Un'atra via percorsa è stata quella vichinga, e poi normanna: l'avventura meno centralizzata ma più incisiva. Se l'angusta Europa è troppo stretta, non resta che prendere la via del mare: le conquiste Normanne, la scoperta dell'America e poi dell'Australia, il Commonwealth britannico costituiscono altrettante forme dell'errare vichingo.
Infine, un'ultima opzione è rappresentata dal Drang nach Osten teutonico: se verso Occidente non si può più proseguire - se non abbandonando il cavallo per la nave - allora non resta che "rifluire verso Oriente, e riallargare l'Europa troppo stretta con un movimento di ritorno verso le regioni di provenienza". Una volta conosciuto ed interiorizzato il centro ideale, lo si riporta a casa: la Prussia, e poi la Germania di Hitler, sono gli esempi più vistosi di questo tentativo di germanizzazione dell'Oriente.

Il testo dedicato all'Odissea riprende i concetti sviluppati nel saggio precedente - l'avventura, l'errare con un centro ideale, lo spirito romantico, l'alternarsi della nave e del cavallo come vettori dell'avventura - e ne individua, all'interno del poema omerico, un possibile campo d'applicazione. Il viaggio di Ulisse è un viaggio di ritorno, un viaggio con un centro forte costituito da Itaca, non è un vagabondare per il semplice gusto di vagabondare. L'Odissea è un allegoria ante litteram dell'Europa perché ne esprime bene la tensione tra lo spirito errante e la necessità che vi sia un centro, un motore di questo errare; le polarità del mare e della terra, della nave e del cavallo, del concavo e del convesso, di Calipso e di Penelope costituiscono altrettante riproposizioni di una medesima tensione.
Inoltre, la figura di Ulisse sembra contenere in sé anche l'altra faccia dell'avventura europea, vale a dire il suo versante più cupo e autodistruttivo: il versante di quella scienza che, per la propria avventurosa sete di conoscenza, rischia costantemente di oltrepassare il limite. La scienza europea è avventura perché, al pari del cavaliere errante, produce il proprio futuro, sceglie di mettersi in viaggio alla scoperta di nuovi mondi che lei stessa contribuisce a creare (potremmo dire, più sobriamente, che la scienza costruisce il proprio oggetto); proprio per questo non sono propriamente scienze, nonostante i notevoli risultati raggiunti, la matematica e l'astronomia antiche.
In Ulisse sono individuabili più di un aspetto fra quelli che attribuiamo all'avventura scientifica. Egli non è solo il più saggio e il più astuto fra i comandanti achei: la sua è un'intelligenza tecnica, calcolante, applicativa (un suo epiteto è polymechanos, "capace di elaborare molti marchingegni"), come ben dimostra l'espediente del cavallo di legno. Ma in Ulisse la scienza diviene allegoria anche nel suo aspetto più problematico: egli è l'uomo della hybris, che attraversa le colonne d'Ercole per eccessivo desiderio d'avventura e di conoscenza; Ulisse è quindi anche il simbolo del costante pericolo del naufragio connaturato all'avventura.

La monografia dedicata ad Eraclito costituisce sicuramente la parte più eterogenea rispetto al resto del volume. Mentre nei primi tre saggi è riscontrabile un'organicità consequenziale forte e visibile, qui il discorso si sposta, quasi bruscamente, ad una rilettura del pensiero di Eraclito. L'eterogeneità tematica è anche eterogeneità stilistica: ad un andamento prevalentemente evocativo si sostituisce una maggiore analiticità, in cui l'aspetto suggestivo è tutt'altro che escluso ma che più si avvicina all'idea di un commento filosofico in senso tecnico. Tuttavia, ad una lettura attenta non sfugge il motivo per cui si è deciso di pubblicare questo saggio con i primi tre: l'interpretazione del pensiero di Eraclito proposta da Mathieu è una lettura che all'importanza dell'aspetto cosmico-metafisico affianca quella della componente etico-politica. Il problema delle leggi del cosmo, afferma Mathieu, nasce in prima istanza, per Eraclito, dal problema delle leggi della polis, intese come leggi del vivere in comune: per capire queste, e cosa può conferire loro il carattere dell'universalità proprio della legge, è necessario indagare quelle.

L'armonia fra gli opposti eraclitea costituisce una visione ontologica in cui la moira ha un ruolo fondamentale: di fronte ad esso l' "evo" della vita umana non è altro che "il gioco di un bambino"; e tuttavia, se anche la conclusione è segnata, il modo di giocare dipende da noi, sta a noi trasformarla da fato in avventura.



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A cura di:
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