Bollettino telematico di filosofia politica
Il labirinto della cattedrale di Chartres
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Ultimo aggiornamento giugno 2001


Il ricorso ai valori: riproduzione e cura

Come si è detto in precedenza, il pensiero della differenza ritiene che riconoscere la differenza sessuale come caratteristica essenziale della persona sia un primo passo importante. Tuttavia, quei filosofi che hanno dato ampio spazio alla differenza tra i sessi, hanno poi attribuito alla femminilità valenza negativa. Anche Aristotele che nella Riproduzione degli animali riconosce la differenza e addirittura la assume come centrale, continua la Tommasi, finisce per attribuire ad essa un valore negativo: la donna è 'passiva' per quanto riguarda il concepimento, e dunque passivo è il suo ruolo nella famiglia.

Così dalla svalutazione della funzione femminile nella procreazione segue lo svilimento del ruolo materno: l'attribuzione di valore negativo alla 'passività' ha permesso e giustificato il predominio dell'uomo sulla donna. La teoria morale di Kant, in modo particolare, non fa altro che proporre l'affermazione di un modello di individualità e di mascolinità che, mettendo al centro la ragione, implica la svalorizzazione della sensibilità: "In Kant la virtù è nuda, spogliata di ogni ornamento: […] la morale kantiana si pone agli antipodi rispetto alla donna, dal momento che, per elaborare la femminilità, è occorsa molta arte." (pag. 145)

La maternità, al contrario, ha un valore proprio perché non è soltanto generazione ma include tutta una gamma di implicazioni umane e sociali e di occupazioni -il lavoro gratuito di cura-: un'etica della differenza sessuale, afferma Luce Irigaray [1985], ha bisogno di un linguaggio femminile che non sia "fallogocentrico" ma incentrato sull'importanza del rapporto orizzontale tra donne e di quello verticale con la madre, e pone come centrale l'elemento della relazionalità riconoscendo importanza alla sensibilità, a scapito della ragione. La madre è colei che può e deve trasmettere alle figlie la controcultura femminile.

Il punto di partenza del femminismo dell'uguaglianza era, lo si è detto, un altro: educate come gli uomini, le donne possono svolgere gli stessi compiti. Non esiste dunque altra ragione da quella culturale per giustificare l'esclusione delle donne dalla sfera pubblica: non è il nascere donna a dover essere oggetto del femminismo, ma il modo in cui lo si diventa.

Considerare la funzione materna un dato naturale significa renderla priva di interesse teorico, e dunque accettare che non debba essere spiegata; al contrario, la riflessione sulla formazione dei ruoli di genere rende chiaro che grazie al nesso tra riproduzione e cura le donne sono state identificate con il proprio ruolo di madri di famiglia; e che questo ruolo, naturalizzato sulla scorta della biologia, ha impedito e impedisce loro di accedere liberamente alla sfera pubblica.
Si potrebbe allora argomentare, riprendendo il secondo esempio che utilizza Platone nella Repubblica [454 d,e], che la riproduzione sta al lavoro cura come il fatto di essere calvi al mestiere di calzolai; è vero che i calvi sono diversi da quelli che hanno i capelli, ma questo non significa che il fatto di avere o meno i capelli debba essere rilevante ai fini della scelta della professione.
Grazie all'argomento di Platone così è possibile mostrare che la cura non è affatto legata alla riproduzione da ragioni biologiche, ma culturali: come sostiene Nancy Chodorow [1978] le donne non sono, ma fanno le madri poiché non si limitano a generare i propri figli, ma dell'allevamento e della cura di essi fanno il loro mestiere.

Pare allora evidente che la separazione tra sesso e riproduzione, resa possibile dalla contraccezione e dalle nuove tecnologie riproduttive, non sia sufficiente a dare accesso alle donne alla sfera pubblica, se la scelta di avere un figlio implica il fatto di accettare quello che resta un destino (se non biologico, culturale), facendosi interamente carico della maternità e dell'allevamento dei figli.
Non si tratta dunque di affermare l'importanza del ruolo materno come esso si configura nella società occidentale, poiché esso non è una scelta libera ma invece obbligata, dunque una non scelta.

In questo senso, invocare il riconoscimento di un ordine simbolico femminile significa semplicemente tentare di ribaltare la gerarchia tra i sessi rimanendo all'interno della scala dei valori in cui essa è creata; e così accettare implicitamente la scala e con essa il fatto che al suo interno una gerarchia sia postulata.

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Il Bollettino telematico di filosofia politica è ospitato presso il Dipartimento di Scienze della politica della Facoltà di Scienze politiche dell'università di Pisa, e in mirror presso www.philosophica.org/bfp/



A cura di:
Brunella Casalini
Emanuela Ceva
Dino Costantini
Nico De Federicis
Corrado Del Bo'
Francesca Di Donato
Angelo Marocco
Maria Chiara Pievatolo

Progetto web
di Maria Chiara Pievatolo


Periodico elettronico
codice ISSN 1591-4305
Inizio pubblicazione on line:
2000


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