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Shorey ritiene invece che la posizione trasimachea contenga una forte polemica contro le definizioni sentimentali e metafisiche della legge, come quelle che la considerano più o meno metaforicamente voce della divinità: il positivismo di Trasimaco si accompagna pertanto ad un cinismo machiavellico (Shorey, 1933). A proposito di Machiavelli, si può osservare di passaggio che non mancano interpretazioni di Trasimaco che ricordano le cosiddette interpretazioni oblique del Segretario fiorentino: Shellens, per esempio, ritiene che il Calcedone non intende sostenere veramente il diritto del più forte, ma denunciare i possibili abusi della giustizia (Shellens, 1953). Rachel Barney propone un confronto tra il problema linguistico del Cratilo platonico e il problema politico di Trasimaco (Barney, 1997) : il convenzionalismo linguistico, se ammette l'eguale correttezza di tutte le convenzioni (soluzione protagorea), acquisisce uno spirito di conservatorismo che inibisce la correggibilità dei nomi; in Trasimaco, la posizione sembra dapprima ispirata al convenzionalismo conservatore, ma rigettando il supporto di Clitofonte (Rep. 340a sgg.) rigetta anche il conservatorismo, con una soluzione realistica per la quale entra in gioco la necessità della conoscenza di un esperto legislatore (esperto di come tramutare in legge il proprio interesse). Bett, mettendo in discussione la visione diffusa dei sofisti come relativisti, sostiene che Trasimaco, in un senso profondo, non è relativista (Bett, 1989): è vero, infatti, che secondo il Calcedone i requisiti della giustizia variano da società a società, ma queste differenze sono dovute alle differenze d'interesse, nei diversi contesti, per chi governa. In senso più profondo, tuttavia, la natura della giustizia è la stessa ovunque, dal momento che è ovunque legata all'interesse della parte dominante. Broze, poi, solleva un'interessante questione: egli nota infatti che l'astuzia e la violenza, sempre attribuite senza esitazione all'uomo ingiusto, sono invece essenziali anche nella descrizione platonica del governante giusto: il filosofo-re, infatti, non rigetta la violenza, né l'astuzia (Broze, 1991). Una significativa rivalutazione di Trasimaco è dovuta anche a Chappell: egli sostiene che è possibile trovare coerenza nel Trasimaco platonico. Considerando descrittive le sue tesi sulla giustizia, ne deriva che non possono essere qualificate come espressione di immoralismo; in ogni caso, le tesi trasimachee rinviano all'importanza dell'intelligenza pratica, e possono essere esaminate riferendosi a quattro virtù cardinali, le virtù cardinali del più forte: Strength, Unrestraint, Imperiousness e Pratical Intelligence (Chappell, 1993). Nel contesto problematico di Broze e Chappell, torna utile anche il riferimento a Sachs: questi fa notare che le virtù platoniche di intelligenza, coraggio e temperanza sono compatibili anche con una varietà di comportamenti ritenuti volgarmente ingiusti. Il problema di Platone, allora, sarebbe proprio quello di superare la concezione volgare della giustizia sottintesa in Trasimaco, per arrivare ad una propria definizione (Sachs, 1963). Lo stesso Cefalo, volgarmente giusto, potrebbe essere carente della giustizia platonicamente intesa. Harrison affronta un altro versante problematico, che apre nuovamente la questione del riferimento al Trasimaco storico (Harrison, 1967). Secondo Harrison, dunque, Trasimaco sarebbe stato manipolato da Platone. Ma, viene da chiedersi, rispetto a quale Trasimaco il Trasimaco platonico sarebbe stato manipolato? Forse rispetto al Trasimaco storico? Si è visto nella prima parte di questa bibliografia critica che del Trasimaco storico ben poco si può dire. Forse, allora, Trasimaco è stato manipolato rispetto a come ce lo aspetteremmo? Harrison, infatti, si aspetterebbe in Trasimaco la distinzione nomos-physis. Henderson, invece, è tra coloro che rivalutano Trasimaco, proponendosi addirittura di difenderlo dalle facili mistificazioni. La visione di Trasimaco, secondo Henderson, può risultare plausibile e persuasiva (Henderson, 1970) , se si tiene presente che anche le argomentazioni socratiche sono in più punti difettose, e se si usano le opportune cautele critiche. Per esempio, occorre distinguere il più forte dall'ingiusto e dal governante. Non sempre queste tre figure coincidono. La distinzione tra ingiusto e più forte, per esempio, comporta che l'ingiustizia del più forte non significhi la stessa cosa dell'ingiustizia del suddito. Queste considerazioni mi sembrano di grande importanza, perché segnalano nell'intervento di Trasimaco distinti livelli predicativi della nozione di giustizia. Boter legge nella formulazione trasimachea la combinazione di ethical nihilism con psychological egoism (Boter, 1986). La posizione di Boter può essere così riassunta: la giustizia rimanda all'isotes, e comporta che ciascuno faccia il proprio dovere, come stabiliscono le leggi; alcuni però, vogliono avere più (pleon echein) di quello che è loro dovuto, e causano uno svantaggio (elatton echein) ad altri; la radice dell'ingiustizia è la stessa per chi governa e per chi è suddito, ma si manifesta diversamente, con le leggi nel primo caso, e con nascosta violenza nel secondo. Il concetto di pleonexia consente quindi, ad avviso di Boter, di capire il senso in cui Trasimaco definisce ingiusto il più forte al governo e, al tempo stesso, di definire in che senso un governante potrebbe invece essere definito giusto. Boter rigetta la prospettiva di Nettleship, per cui la giustizia del governante consiste nella ricerca del proprio interesse (Nettleship, 1901) e rigetta anche le prospettive per le quali il governante si pone al di là della giustizia (T. Irwin, 1977). Un altro studio importante è quello di Reeve (Reeve, 1985), il quale dichiara anzitutto che non c'è nessuna base testuale, in Repubblica, per attribuire T3 a Trasimaco: infatti, nel testo si trova solo che l'obbedienza a chi governa è giusta e che, derivatamente, per i sudditi, è giusto obbedire alle leggi di chi governa (Rep., 339b sgg.). Se la legge è espressione dell'utile del più forte, obbedire alla legge significa solo riconoscere, da parte del suddito, che giusto è l'utile del più forte. Il tiranno, poi, quando ha eliminato tutte le leggi, nella prospettiva trasimachea può comportarsi da ingiusto solo in un senso: riferendosi alle leggi eliminate come criterio di giustizia. Ma se quelle leggi non ci sono più, e se manca un criterio naturale del giusto, definire ingiusto il tiranno è solo il risultato dell'abitudine a valutare secondo leggi che esistevano in passato. Reeve rivaluta Trasimaco perché gli riconosce la capacità di mettere in crisi definitiva il metodo dell'elenchos socratico e l'uso socratico della craft analogy. |
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