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Scheda: L'importanza di Trasimaco.

Il labirinto della cattedrale di Chartres


L'importanza di Trasimaco.

Gli interpreti disposti ad accordare forza ed interesse filosofico alle tesi trasimachee sono sempre stati poco numerosi, ma in questi ultimi anni le cose sembrano essere cambiate.
Un esempio lo si può avere nel considerare gli interpreti che, discutendo sull'intentio dicendi trasimachea, si sono proposti di rivalutare l'importanza filosofica del sofista e di difenderlo dalle accuse più grossolane e prevenute. Qui mi limito a considerare, anzitutto, le considerazioni di Vegetti, che sono significative per la loro insistenza sull'importanza di Trasimaco non sono nel I libro della Repubblica di Platone, ma in tutta la sua filosofia politica (Vegetti, Trasimaco, 1998). La rivalutazione di Trasimaco operata da Vegetti può costituire il punto di riferimento per studi che riconoscano l'importanza del sofista per tutta la filosofia politica, come accade per esempio in Iacono, che riconosce in Trasimaco il portavoce di una "metatesi disvelante e denaturalizzante" sulla giustizia ed i meccanismi del potere (Iacono, Milano 2000). Su questi argomenti, si veda anche la quinta parte della bibliografia ragionata.
Secondo Vegetti, c'è almeno un argomento socratico che ha una certa efficacia: quello secondo cui l'ingiustizia impedisce a qualunque gruppo di uomini di agire concordemente, producendo contrasti e dissensi, sia all'interno di una polis, che in un esercito oppure in una banda di ladri. (Vegetti, Trasimaco, 1998, p. 255). Da qui parte, allora, la ricerca platonica di una forma di potere davvero giusta, e al servizio di tutta la polis. In ogni caso, chi non prende sul serio Trasimaco rischia «di non prendere sul serio l'intero dialogo» (ibidem, p. 256), perché la sua tesi sulla giustizia mette in difficoltà Socrate, e Trasimaco costituisce il problema di Platone in tutta la Repubblica. Trasimaco inoltre, secondo Vegetti, è di levatura filosofica ben superiore a Callicle (ibidem, p. 236: l'identificazione della posizione di Trasimaco con quella di Callicle, secondo Vegetti, è «banalizzante»).
Rispetto alla tesi di Vegetti, credo si possa precisare che Trasimaco non immagina una società senza giustizia: non è su questo piano che egli dissente da Platone e da Socrate. Il più forte, in quanto tale, sa che una qualche presenza di giustizia gli è utile. Se la giustizia è l'utile del più forte, si presuppone che ad essere utile al più forte sia anzitutto la presenza di un modello condiviso di giustizia. Condiviso da chi? Anzitutto dai sudditi, certo. Il più forte non condivide come suddito il criterio che egli stesso pone: al limite, può fingere di condividerlo. Ma l'attribuzione di una specifica episteme al più forte trasimacheo, consente di supporre che il più forte saprà valutare quando dover fingere di condividere anch'egli quell'ideale di giustizia. La tesi di Trasimaco svela la natura del potere, ma comporta che chi detiene il potere si mascheri opportunamente: la giustizia non deve realizzare l'utile del più forte in modo necessariamente esplicito; anzi, principalmente il più forte si serve della giustizia per mascherare il proprio interesse. L'episteme attribuita al più forte presuppone ch'egli sappia strategicamente gestire la sua collaborazione con gli altri.
Insomma, per superare Trasimaco non basta dimostrare che in una società deve esserci un criterio condiviso di giustizia, o anche soltanto che può esserci. Trasimaco ammetterà sempre che tale criterio può e deve esserci, ma troverà sempre motivo di sospettare che la condivisione sia deformata dalla presenza di interessi conflittuali, più forti e più deboli.
La vera sfida, per Platone, consiste nel mostrare allora la possibilità di riferimento ad un criterio assoluto di giustizia, oltre ogni possibile parzialità interessata ed oltre ogni sospetto.
Ma su questo piano, è davvero possibile superare Trasimaco? Ed è sempre opportuno metterne a tacere la provocazione?



TORNA INDIETRO .......... A cura di Luca Mori


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