Bollettino telematico di filosofia politica
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Etica politica e "arte dello stato".

Antonio da Vercelli: un osservante francescano consigliere politico di Lorenzo il Magnifico 1

Paolo Evangelisti


La scena politica e istituzionale fiorentina quattro-cinquecentesca costituisce uno dei quadranti in cui l'impegno e l'azione del francescanesimo non solo osservante, ma anche conventuale ed amadeita 2 si sono dispiegati con notevole intensità.

Se Bernardino da Siena e Giovanni da Capestrano sono stati oggetto di alcuni importanti studi che hanno considerato almeno in parte anche questo profilo della loro attività, le figure di Antonio da Vercelli, di Francesco Micheli del Padovano, di Antonio da Cremona 3 sono sostanzialmente espunte dalle indagini storiografiche che affrontano le questioni dello sviluppo politico e istituzionale di Firenze e della Toscana sul finire del Medioevo, così come dagli studi che si sono specificamente interrogati sui rapporti di potere che connettevano le istituzioni ecclesiastiche e gli organismi di governo nella Toscana di allora 4 .

L'importante tradizione di ricerca storiografica, soprattutto anglosassone e tedesca, che ha analizzato nella seconda metà del secolo scorso la dimensione politica e civile del Rinascimento fiorentino quattrocentesco, sulla spinta delle acquisizioni fondamentali di Eugenio Garin e di Hans Baron, ha aperto numerose piste per comprendere specificità e caratteri di quella stagione dimostrando la necessità di procedere ad indagini che affrontassero in modo sinergico la storia delle istituzioni, delle diplomazie, dei linguaggi, dei miti fondativi e delle teorie politiche 5 .

Tuttavia in questo quadro, assai stimolante anche nei suoi profili metodologici, il ruolo del francescanesimo, la presenza e la multidimensionalità dell'azione minorita restano singolarmente sottostimate e, se si eccettuano gli importanti lavori prodotti abbastanza recentemente sull'impegno dell'Osservanza come soggetto direttamente impegnato nella dimensione sociale e come elaboratore di un linguaggio dell'analisi e della proposta etico-economica per le comunità cittadine - frutto peraltro di studiosi particolarmente attenti alla storia dei pauperes Christi 6 -, la storiografia che si occupa delle istituzioni e delle teorie politiche del Rinascimento fiorentino rivela una sostanziale indifferenza al tema del rapporto, che pure si realizzò, tra poteri locali, classi dirigenti, organi di governo politico, amministrativo, fiscale e Ordine minorita, e, ancora, alle modalità ed ai contenuti con cui gli esponenti dell'Ordine serafico seppero inserirsi nel dibattito politico della Firenze medicea.

La stessa produzione storiografica degli anni novanta continua a procedere nello studio delle vicende politico-istituzionali e delle teorie politiche lasciando al margine le acquisizioni dovute alla ricerca storica che ha analizzato l'evoluzione dell'Ordine, ed i contenuti della testualità francescana, in una prospettiva capace di comprenderli in un quadro che non si limita ad individuare genesi dei fenomeni e dinamiche di sviluppo solamente entro l'orizzonte interno all'Ordine serafico.

In realtà i testi osservanti, elaborati non solo da Bernardino da Siena e Giovanni da Capestrano o, più tardi, i sermoni di Bernardino da Feltre, si rivelano come fonti preziose per capire la natura dei rapporti tra Ordine e poteri civili, ma ancor più per cogliere lo specifico contributo che essi seppero dare alla riflessione e all'elaborazione di progetti e discorsi politici in quel contesto istituzionale.

Sulla base di queste premesse storiografiche si è posta al centro di questo studio una serie di scritti dell'osservante lombardo Antonio da Vercelli, conosciuto anche come Antonio Balochio o Antonio Uccelli 7 .

Ma occorrerà tener presente che nel periodo immediatamente precedente anche il conventuale Francesco Micheli del Padovano di Firenze (n. 1396/7- m. post 1469) si segnala per i rapporti che fu in grado di costruire con il ceto politico fiorentino: dai Medici all'importante famiglia dei Martelli 8 . In questa sede sarà sufficiente ricordare il rilievo politico dell'attività e dell'opera di Francesco a Firenze che emerge da almeno quattro delle sei lettere inviate ai Medici 9 , dal testo etico-politico scritto per Braccio di Domenico Martelli 10 intorno al 1460 e dal discorso celebrativo tenuto ai consoli dell'"arte dei mercatanti" 11 .

Si tratta di dati significativi non solo per la storia politica del quattrocento fiorentino, ma anche perché servono a ricordarci che l'equazione storiografica secondo la quale fu la sensibilità e la formazione culturale degli esponenti di spicco dell'Osservanza a rendere possibili e fecondi i rapporti con i ceti politici italiani ed europei, non può essere ulteriormente sostenuta. Basterà ricordare al riguardo la straordinaria azione, ed il contributo anche in termini di elaborazione teorico-politica, messi in campo nell'area catalano-aragonese da Francesc Eiximenis 12 , l'attività politica e sermocinale di Roberto da Lecce nonché la figura dello stesso Antonio de' Medici 13 .

Antonio da Vercelli, nato nei primi decenni del XV secolo, fu attivo esponente dell'Osservanza francescana a partire almeno dal 1449, quando abbiamo notizia di una sua prima presenza a Firenze, ma il suo periodo d'oro si dipana dal 1460 al 1483, anno in cui, il 22 settembre, muore a Orvieto.

Il suo diretto coinvolgimento in attività politiche e l'intensità di rapporti stabiliti con i ceti dirigenti di alcune città, rintracciabili negli stessi suoi scritti, non costituiscono certo un'eccezione nel panorama dell'impegno politico francescano due-quattrocentesco: oltre al rapporto con i Medici lo sappiamo attivo a Pistoia 14 , a Borgo S. Sepolcro 15 , città di particolare interesse strategico per la sua posizione di confine tra possedimenti toscani e territori pontifici, a Volterra 16 , acquisita solo recentemente al dominio fiorentino, città nella quale si segnala l'esistenza del convento osservante di S. Gerolamo protetto da Cosimo de' Medici che finanziò totalmente la costruzione della chiesa annessa 17 . E' inoltre documentato il suo diretto impegno politico a Parma, Orvieto e l'Aquila quale pacificatore tra le diverse fazioni politiche esistenti in quelle comunità 18 .

Particolarmente importante anche il suo rapporto con il potere ducale milanese, soprattutto nei suoi tre anni di governo vicariale (1467-1470) 19 , nel quadro delle solide relazioni politiche che legano l'Osservanza lombarda con il potere sforzesco.

Ne sono testimonianza una serie di documenti tra i quali il più emblematico è quello conservato nel Regestum Observantiae Cismontanae, datato 28 giugno 1467: “Determinatum est per patres videlicet Vicarium generalem, fr. Baptistam de Levanto, fr. Antonium de Vercellis, vicarium provinciae Mediolani ... quod, quia domina ducissa Mediolani se obtulit determinationi fratrum stare, pur [sic] quod audiatur in confessione ab eis, quod ex nunc audiatur cum modificationibus infrascriptis: Primo quod pro viribus instet obtinere titulum ducatus; 2° quod non suspendat executionem iustitiae in causis civilibus ... 20 . Antonio da Vercelli vi compare quale uno dei componenti di una commissione, composta di soli frati minori Osservanti, incaricata di offrire un supporto di tipo consiliativo e di proposta su una serie di questioni politiche che riguardano direttamente il governo e l'amministrazione del Ducato allora in mano alla duchessa Bianca Maria Sforza 21 . In questa sede pare rilevante segnalare che lo strumento di intervento dei frati sia costituito dalla confessione 22 , affidata in particolare a Bonaventura dei Piantanida, tenuto non solo a far avere alla duchessa le proposte della commissione, ma anche a verificarne l'attuazione ed eventualmente a modificarle avendo però consultato il Vicario Generale o, in subordine, Antonio da Vercelli ovvero i frati da lui delegati 23 . La tipologia, oltre che l'intensità, dei rapporti instaurati da Antonio da Vercelli, e più in generale dall'Osservanza milanese, con il ducato offrono tra l'altro un elemento importante per capire la posizione politica assunta da Antonio nelle vicende fiorentine negli anni cruciali compresi tra il 1476 e il 1478. Una posizione che occorrerà valutare tenendo presente il forte asse d'intesa politico-diplomatica esistente in quel periodo tra i Medici e Milano.

Per collocare più precisamente l'analisi dei testi di immediata valenza politica scritti da Antonio all'epoca della sua presenza a Firenze è utile ricordare che il ramo dei Medici che governò nei fatti la repubblica fiorentina per un sessantennio stabilì, in un arco cronologico più ampio che va dal 1417 al 1492, uno stretto rapporto con l'Osservanza toscana, un rapporto che coltivò con costanza ed al quale affiancò un'oculata politica di attenzione, e di sussidi economici, nei confronti dei centri più prestigiosi del minoritismo umbro. Si tratta di rapporti che, nel loro insieme, dimostrano come Giovanni Bicci, Cosimo, Giovanni, Pietro e Lorenzo, abbiano dato corpo ad una politica di supporto e di protezione del minoritismo osservante nella piena consapevolezza del ritorno di immagine e di consenso che essa era in grado di determinare. Basterà richiamare i ripetuti sussidi finanziari che i Medici inviano ai nuclei osservanti più contigui al Sacro Convento: da un lato la chiesa di S. Damiano ad Assisi, dall'altro la basilica di S. Maria degli Angeli dalla quale ricavano un evidente segno di notorietà e di prestigio che ha la sua materializzazione nell'esposizione delle insegne del casato presso quel complesso. Grazie agli interventi medicei i frati della Porziuncola vedono realizzate sia opere idriche di notevole importanza per il potenziamento dell'accoglienza dei pellegrini, sia, fatto dalle evidenti implicazioni simbolico-propagandistiche, l'integrale pavimentazione della strada che porta dalla basilica di S. Maria sino alla porta d'ingresso di Assisi.

Cifra emblematica di come venga svolgendosi il rapporto politico Osservanti-casa Medici appare la determinazione assunta all'indomani della congiura dei Pazzi, di installare non solo a Firenze, ma anche in S. Maria degli Angeli, una statua di Lorenzo con le mani e la testa di cera, realizzata in grandezza naturale e rivestita degli stessi abiti da lui indossati al momento dell'attentato. Una scelta politica che occorre leggere nel quadro di quella strategia di propaganda e di consolidamento del consenso che si concretizza in quelle settimane attraverso una radicale operazione di damnatio memoriae della famiglia dei Pazzi (soppressione del cognome, abolizione delle insegne da tutti i loro palazzi, confische dei beni, divieto di accesso agli onori ed alle cariche pubbliche, condanne al confino, riproduzioni pittoriche sui palazzi cittadini dei congiurati impiccati alle finestre) cui si accompagna una fortissima esaltazione della persona e del prestigio di Lorenzo 24 .

Accanto a questa attenzione verso i luoghi sacri dell'Ordine in Umbria non manca, opportunamente stimolata dai Minori, la sensibilità medicea per la Custodia di Terra Santa.

Quanto ai rapporti con l'Osservanza toscana basterà dire qui che già con Cosimo si sviluppa una politica di attenzione e di protezione anche economica che si concretizza nell'acquisto, nel restauro o nella fondazione di conventi sin dal 1427, anno in cui l'avo di Lorenzo compra e restaura per gli Osservanti un antico convento detto del Bosco a' Frati, in singolare vicinanza della villa medicea di Cafaggiolo 25 . Qualche anno più tardi, lo si è già segnalato, Cosimo mette a disposizione dei frati le somme per la costruzione della chiesa del convento di Volterra 26 . Sia Cosimo che Lorenzo intervengono inoltre per favorire e proteggere il regolare svolgimento di riunioni degli Osservanti con misure di ordine pubblico e con atti di esplicita dimostrazione di vicinanza 27 .

I contenuti ed il tono delle tre lettere e del Memoriale inviati da Antonio a Lorenzo il Magnifico tra il 6 marzo ed il 22 maggio 1478, in coincidenza con la sua presenza come predicatore della Quaresima (4 febbraio - 22 marzo 28 ) in S. Maria del Fiore, indicano innanzitutto il rapporto di familiarità con i Medici e con Lorenzo in particolare 29 , un rapporto ancora poco indagato tanto nelle sue implicazioni politiche quanto per i riflessi che esso produsse nella storia dei rapporti tra Ordine e ceto dirigente cittadino 30

Questi testi, tuttavia, rivestono un ulteriore interesse per la storia istituzionale della repubblica fiorentina inscindibilmente collegata al consolidamento del potere mediceo, essendo redatti nei mesi cruciali della congiura de' Pazzi e della prima reazione di risposta all'indomani del suo fallimento.

La loro lettura incrociata inoltre, insieme ad una serie di riscontri estrinseci che danno conto del buon esito di alcuni interventi proposti da Antonio, consente di affermare sin d'ora che quei testi non possono essere considerati come semplici testimoni di una generica attività di apostolato, essi costituiscono invece il segno di una consapevole e dinamica presenza del Frate nelle questioni sociali e politiche della Toscana allora sotto il dominio fiorentino.

Ne è un esempio il contenuto della lettera, datata sul dorso 13 marzo 1477 31 , che contiene un pressante invito a Lorenzo ad occuparsi della questione che interessa due famiglie di grande rilievo nel panorama politico ed economico della città: i Borromei e i Pazzi. Antonio chiede infatti a Lorenzo di intervenire direttamente per sanare una situazione che deriva dall'applicazione di una legge recente, di cui egli stesso è stato promotore, secondo la quale i nipoti maschi erano anteposti alle figlie nella successione ab intestato. Si tratta della legge "De testamentis" del 18 marzo 1477 (“Qualiter mulier ab intestato succedat”) concepita dal Magnifico, anche per il modo in cui fu discussa e deliberata, come un pubblico pronunciamento contro i Pazzi. Il caso specifico, che è considerato sia dalla storiografia dell'epoca che da quella contemporanea come uno dei tasselli che spinsero i Pazzi ad impegnarsi direttamente nella congiura del 1478, è quello di Giovanni, fratello di Francesco di Antonio dei Pazzi, vistosi privato dell'ingente eredità del suocero essendosi sposato con la figlia unica di un Borromei 32 . Nella stessa direzione va registrato anche un sollecito affinché venisse definitivamente approvata la legge sugli omicidi (“preterea humelmente e cordialmente prego vostra reverentia date opera che è la reformatione de li homicidii, bolletini e presenti, habia bono effecto et expeditione, perché sariti casone de infinito bene a tuta questa vostra republica”), e un ulteriore invito ad occuparsi della "vostra comunità di Pistoia" dove, da informazioni avute dal Nostro, risulta in atto una attività sediziosa (“Demum, caritate compulsus vi ricomando, amore Yhesu Christi, la vostra comunità di Pistoia che vi piaza de ricomandarla alli signori Comissarii: questo dico perché intendo, salva veritate, che una persona cercha de danificare tuta la comunità; quod minime tollerandum est. Iterum ve ricomando la prefata comunità”) 33 . Si noterà, in margine, che in quest'ultima missiva Antonio dimostra una certa consapevolezza del fatto che Pistoia è un punto debole nella rete territoriale di adesione e di consenso ai Medici, un fatto che si evidenzierà nella sua concretezza in una fase particolarmente delicata della guerra dei Pazzi; mentre non pare improbabile che quella precisa segnalazione di Antonio possa riferirsi a Piero Baldinotti, arrestato, condannato ed impiccato nel 1478 per essere risultato colui che doveva coordinare l'insurrezione di Pistoia contro Lorenzo d'intesa con il re di Napoli; secondo alcune fonti lo stesso omicidio di Lorenzo avrebbe dovuto realizzarsi in quella città con la sua complicità. Arrestato in novembre, Baldinotti sarà condannato dagli Otto di Balia il 2 dicembre 1478 e giustiziato il giorno successivo 34 .

Questi tre passaggi documentali rivelano in modo evidente la forte autoconsapevolezza del Frate nello svolgimento di un ruolo consiliativo necessario e puntuale, il cui obiettivo è, insieme, quello del bene della res publica fiorentina e quello di Lorenzo, ma anche la tipologia delle attività che egli ritiene di dover mettere in campo rispetto a quel doppio obiettivo. Non si tratta cioè di farsi solamente latore di istanze, avanzate magari da terzi a margine del suo impegno sermocinale 35 , ma di esercitare direttamente un ruolo di mediatore sociale, di informatore per conto del Magnifico, anche se risulta evidente che egli non concepisce e non riduce mai queste attività ad un livello di mera segnalazione: il suo compito è quello di fornire un'indicazione precisa per la soluzione delle singole questioni e un'interpretazione del valore politico che esse assumono nel quadro dell'attività di governo, di gestione del potere, del Magnifico.

Sarebbe tuttavia un errore considerare le tre lettere ed il Memoriale inviati a Lorenzo come elementi isolati nella produzione testuale di Antonio. Se ci si rivolge infatti ai suoi sermoni e, più in generale, a quei testi che una certa storiografia continua a rinchiudere nella definizione di "spirituali", - quali il Tractato utile e salutifero de li consegli de la salute del peccatore 36 , il Sermone de' dodici frutti della confessione 37 ; i Sermones quadragesimales de XII mirabilibus christiane fidei excellentiis 38 , il Tractatus de virtutibus 39 , così come alcuni degli inediti tra i quali: il Quadragesimale alterum de aeternis fructibus Spirtus Sancti 40 , il Tractatus de preservatione a recidivatione peccatorum, i Sermones de anima, de iustificatione, caritate, maleficio, perseverantia e il Sermo de sequela Christi - essi si rivelano come la testimonianza evidente di un progetto e di una volontà di disciplinamento 41 complessivo della società, che riguarda tanto i domini che i diversi stati delle comunità cittadine. Un progetto che Antonio realizza attraverso l'azione convergente della predicazione, dell'elaborazione di una testualità sermocinale e penitenziale 42 e della specifica attività consiliativa che egli svolge per i governanti, contribuendo a realizzare quella significativa trasformazione, innanzitutto semantica, della funzione sociale e politica delle virtutes individuali, sempre più definite come virtù dative, anziché come facoltà native di ciascuno 43 .

Occorrerà dunque rileggere, anche in questa chiave, il suo impegno sermocinale svolto a ridosso della congiura de' Pazzi.

Ed è in questa scansione interpretativa che va inserito e compreso, a mio giudizio, lo stesso testo del Memoriale, sinora assai poco studiato, e considerato dal suo benemerito editore solamente come una sorta di speculum principis sui generis 44 .

Il particolare momento storico-politico in cui viene redatta ed inviata quest'opera, il maggio 1478 45 , i numerosi riferimenti interni alle vicende del 26 aprile e alle sue conseguenze per il regime politico, ne fanno di per sé un documento di straordinario interesse tanto per gli studiosi delle strutture giuridico-costituzionali della repubblica fiorentina all'indomani delle riforme del 1458 e dei primi anni '70 46 , quanto per chi si occupa del pensiero politico e, ancora, per chi voglia comprendere meglio gli orientamenti filorepubblicani, antimedicei o prosignorili in quel momento di crisi che verrà definitivamente superata solo al termine della guerra de' Pazzi (15 marzo 1480) e, sul piano costituzionale, con l'istituzione del Consiglio dei Settanta (aprile 1480) 47 .

Vi è inoltre un ulteriore profilo di interesse di quest'opera: in quanto scritta da un frate osservante che mostra una particolare sensibilità per il governo mediceo e per il suo consolidamento, essa costituisce un documento utile a comprendere dinamiche e posizioni politiche del Nostro e dell'Osservanza toscana più in generale rispetto alla congiura, ai promotori del complotto e alle determinazioni assunte da papa Sisto IV, francescano conventuale. Non è irrilevante allora ricordare i movimenti di Antonio in quei giorni cruciali: mentre il Frate risulta presente a Firenze sino a una decina di giorni prima del 26 aprile 48 , è certo che il Memoriale venne iniziato e concluso, tra il 12 e il 21 maggio 1478, nel convento osservante di Volterra 49 . Dal 22 maggio al 29 novembre di quell'anno non si hanno invece notizie sugli spostamenti del Nostro, presente dal penultimo giorno di novembre e sino al 28 dicembre a Parma 50 .

L'impianto complessivo dell'opera, il suo registro retorico-argomentativo, rivelano che Antonio si ritiene naturalmente investito di una competenza e di un prestigio che gli consentono di proporre a Lorenzo un modello di perfectio dominativa del quale egli è insieme propugnatore e garante 51 .

Non si tratta, come ormai alcuni studi hanno dimostrato, di un tratto peculiare di Antonio. Questa modalità di approccio alle questioni del potere e ai potentes si inscrive infatti in una tradizione testuale, frutto di un'attiva presenza minorita presso le strutture dominative dell'Europa occidentale e centrale ormai plurisecolare, una tradizione sviluppata e consolidata sin dai decenni centrali del XIII secolo. Esponente di questa tradizione, Antonio propone sé stesso quale soggetto capace di esercitare funzioni di consiglio e di guida che hanno come precipua finalità la conservazione del potere e del prestigio necessarie al governo della res publica fiorentina, autocandidandosi a svolgere un ruolo di sostegno nei confronti di una struttura di potere che attraversa un indubbio momento di debolezza 52 . In questo senso Antonio condivide una delle costanti tipicizzanti l'azione politica e la produzione di testi consiliativi del francescanesimo due-quattrocentesco, particolarmente attivo presso le corti di quei "poteri deboli" che, su scala italiana ed europea, stanno costruendo propri autonomi percorsi di legittimazione tanto interna quanto rispetto alle prerogative che continuano ad essere rivendicate dalle auctoritaes universalistiche 53 .

Parimenti il Memoriale si segnala per la forte rivendicazione dello statuto pauperistico dell'Autore quale segno di credibilità e garanzia per poter svolgere un discorso dominativo e consiliativo adeguato alla gravità della situazione politica.

La paupertas volontaria, l'appartenenza all'Ordine serafico, la certa, letteralmente, mediazione spirituale del Fondatore esercitata a favore di Lorenzo - purché si conformi alle indicazioni del Vercellese 54 -, sono considerate da Antonio oggettivi elementi di legittimazione per il suo intervento e, insieme, fattori che gli consentono di impostare un confronto realizzato su un piano di parità con il Magnifico, anche se in una serie di passaggi Antonio utilizza la doppia leva della propria competenza consiliativa e del proprio statuto religioso per collocarsi in modo indiretto in una posizione di preminenza su Lorenzo 55 .

Non si potranno allora sottovalutare una serie di passaggi che, per definire alcuni aspetti fondamentali della perfectio dominativa di Lorenzo e per argomentare l'adozione di specifici provvedimenti di governo, recuperano alcuni lessemi, sintagmi e strutture logico-argomentative che appartengono tanto alla testualità regolativa dell'Ordine che a quella elaborata dai pauperes Christi per proporre precisi e multiformi codici idoneativi per l'esercizio del dominio.

Si faranno in questa sede tre sole citazioni esemplificative.

Nel quarto capitolo del Memoriale, che sottolinea l'importanza della “provisio”, cioé della capacità politica di saper prevedere gli sviluppi e i pericoli di una situazione, Antonio si serve di uno dei modelli più rappresentati nella testualità francescana entro una fusione di passi patristici e neotestamentari tra le più magistrali realizzate dal Nostro: “Nequaquam denique praettermittendum puto, quod gloriosus ait Hieronymus Ad Paulinum (26, q.1, c. Ex merito): Cum Dominus dicat 'Estote simplices sicut columbae et prudentes sicut serpentes', habeto simplicitatem columbae, ne cuiquam machineris dolos, et serpenti astutiam, ne aliorum supplanteris insidiis 56 . Questo passo evangelico-patristico 57 , passato attraverso il Decretum (C6 q4) con l'esplicitazione di Antonio, mentre non è generalmente attestato nella letteratura "speculare" classica, è invece presente nei testi francescani a partire dalla codificazione normativa della stessa figura del perfetto pauper Christi stabilita dalla Regula non bullata, giungendo qui ad un'esplicitazione della sua funzione dominativa 58 . Tuttavia questa è già semanticamente equivalente in una serie di altri testi minoriti definenti la perfectio dominativa. Il passo evangelico infatti è già utilizzato in questa direzione sia nel testo duecentesco del francescano Fidenzio da Padova che codifica le figure del dux e dei milites Christi impegnati nel recupero e nel governo della Terrasanta 59 , sia in quello del secolo successivo che propone la figura del perfetto ambasciatore e informatore minorita nella Cina Mongola 60 . Esso inoltre è fatto funzionare con questo stesso valore semantico nei sermoni di Roberto Caracciolo, ove serve a definire la virtus della prudenza considerata come caratteristica cristiana propria di profili dominativi tra i quali il prudens negociator vel nauta. E per Caracciolo quelli che debbono saper esercitare una tale virtus, semanticamente così definita, sono tutti quelli chiamati a svolgere negocia familiaria vel civilia. Gli esempi utilizzati infatti si rifanno, per mezzo anche di autori classici, tanto a figure di amministratori di beni personali e familiari, quanto a coloro che debbono amministrare e governare le città 61 .

Un seconda citazione riguarda la presentazione e la definizione dei compiti di governo di Lorenzo come fedele esecuzione di una Christi instructio, veicolata da due specifici passaggi in cui il modello di riferimento amministrativo e dominativo non è solo quello dell'actio Christi, ma della sua concreta attuazione apostolica, in particolare laddove la conservatio del potere di Lorenzo viene direttamente collegata a questi passaggi: “Hoc quippe mandatum exemplum firmavit, ut ab omnibus esset observandum, Act 1, ubi sic legitur: 'Coepit Iesus facere et docere' [At. 1,1]” e, più avanti: “Nam omnis Christi actio, secundum Augustinum, nostra fuit instructio. Ob hanc causam Io 13 habetur: 'Exemplum enim dedi vobis, ut quemadmodum ego feci, ita et vos faciatis' [Io. 13,15] 62 . In questo ambito la testualità minorita è particolarmente ricca di riferimenti all'apostolomimesi e ai relativi passaggi neotestamentari. Basterà qui richiamare l'impianto argomentativo del Sacrum commercium cum domina paupertate per i profili idoneativi dei perfetti pauperes Christi, prospettati attraverso una serie di metafore che richiamano direttamente figure dominative 63 , o, tra i testi francescani che hanno proposto modelli laici di perfectio dominativa, il Regiment della cosa pùblica, scritto dal minorita Francesc Eiximenis per i consiglieri della città di Valencia nel 1383-84 laddove, ad esempio, l'esaltazione della res publica che egli propone viene immediatamente seguita dalla qualificazione della perfetta comunità politica come comunità apostolica secondo i passi degli Atti 4,34-35 e del capitolo 5 64 .

Un'ultima citazione esemplificativa riguarda la definizione e la qualificazione del perfetto dominus attraverso il ricorso ad un passo estratto da Bernardo di Clairvaux (Super Canticum): “Discite rectores subditorum, vos matres esse debere non dominos. Studete magis amari quam metui, et si interdum severitate opus est, paterna sit non tyrannica. Matres fovendo, patres corripiendo vos exhibentes, suspendite verbera, producite ubera; pectora lacte pinguescat, non tipo turgeant”. 65

Qui il richiamo più immediato alla testualità regolativa dell'Ordine è alla madre come paradigma del modello di governo per la comunità proposto da Francesco nella sua Regula pro eremitoriis data 66 . Si noterà peraltro che nel testo di Antonio questo passaggio di forte impatto retorico-argomentativo, e la specifica curvatura semantica che gli viene impressa, servono a sviluppare uno dei punti più importanti volti a sostenere la necessità di una pratica di governo e di una gestione del potere che sia capace di temperare l'esercizio della violenza e delle pene. Un punto che non può essere letto solamente in termini generali per gli indubbi riferimenti alle vicende politiche e giudiziarie che sta vivendo la città in quei giorni 67 .

Come è possibile vedere già da questi primi elementi strutturali e dai passaggi sin qui enucleati siamo di fronte ad un testo che, pur richiamando alcuni elementi della tradizione politica e letteraria degli specula principum, rivela, nel suo sviluppo e nella precisa autoconsapevolezza argomentativa dell'Autore, i segni di una peculiare attenzione politica alle dinamiche interne e contingenti della città e delle sue classi dirigenti coniugata ad un pragmatismo propositivo che fa di questo testo un'opera in cui la riflessione politica è strettamente intrecciata con le questioni dell'ars gubernandi, con le riflessioni intorno al modo con cui gestire e conservare il potere di un'istituzione civile e politica 68 .

Vi sono al riguardo almeno cinque punti nei quali Antonio sottolinea che l'obiettivo principale dei suoi consilia, definiti con notevole sensibilità linguistica e politica scuta, consiste proprio nel consolidamento del potere di Lorenzo, ne citiamo uno particolarmente significativo: “Eapropter, ut felix sit ac diutina conservatio vestra et in dies augeatur prosperitas triplex spiritualis videlicet, corporalis et temporalis, statui hoc perutilissimum Memoriale, quod duodecim continet regulas, tamquam scuta duodecim saluberrima, vestrae exhibere Caritati. Quae si illa (ut spero) servare et adimplere curaverit, minime ambigo, immo certior sum effectus, Dominum nostrum Iesum Christum, cui (ut credo) in sinceritate cordis mei servio, sua infinita clementia et bonitate Magnificentiam vestram iuxta pia vota diutissime conservaturum specialeque munimentum sedulo ministraturum, cuncta amovendo noxia et optata largiendo 69 .

L'impegno del Frate è dunque esplicitamente rivolto ad individuare tutte le misure capaci di rafforzare la fidelizzazione dei cittadini, ed in primo luogo del ceto politico fiorentino, nei confronti del Magnifico: “Conetur ergo pro viribus Magnificentia vestra ab omnibus, videlicet mediis, infimis ac supremis, civibus potius amari et diligi quam metui et formidari. Haec namque forma dilectionis singulare praestat auxilium vitae regentium grandiumque virorum 70 . Ed è il Memoriale nel suo complesso, per il registro stilistico e retorico con cui è stato redatto, per la particolare attenzione con cui viene sempre richiamato ed appellato Lorenzo, che si costituisce come uno strumento utilizzabile per l'esaltazione della sua figura dominativa.

Questo testo tuttavia intende fornire al Magnifico una gamma di strumenti concreti per il governo, inteso specificamente non come generico esercizio di virtù etico-politiche, ma come pratica volta al consolidamento e alla conservazione del potere mediceo nel quadro istituzionale della res publica fiorentina.

In tale ambito assume un particolare valore il contenuto dell'undicesimo scutum denominato scutum observationis. Si tratta in realtà di un forte sollecito rivolto a Lorenzo affinché dia piena esecuzione alla "Legge sugli omicidi", approvata, con larghissime maggioranze, il 16 marzo 1478 dal Consglio del Popolo, il 17 dal Consiglio del Comune ed il giorno successivo dal Consiglio del Cento. Per l'effettivo varo di questa legge, che intendeva eliminare ogni possibilità di sottrarsi all'esecuzione della pena capitale o di quella del "ribello" sia per gli esecutori materiali che per gli eventuali complici o favoreggiatori riconosciuti colpevoli, lo stesso Antonio si spese in prima persona con grande convinzione sollecitando il Magnifico in due diverse lettere del 6 e dell'11 marzo del 1478. Per rendere chiaro il modo con cui Antonio argomenta il sollecito a Lorenzo si legga quanto gli scrive nell'epistola del 6 marzo: “Insuper prego vostra carità che sine mora vi piacia di dare opera che li homicidiali e assasini de la carne humana habiano lege che may più possano intrare nelle terre loro, e assignarli il termine grande della distancia; e potendosi havere sicut divina precepit lex, li sia tolto la vita secondo che essi l’ànno tolta alli proximi loro. Cossì vi prego. Date opera che may più per queste cose si facciano bollettini; item che non si piliano presenti etc. e che se observi iustitia a tutti universalmente. Se dareti opera si faciano le prefate cosse, vi prometo che dietim usque ad mortem pregarò Dio e la gloriosa vergene Maria e il nostro seraphico padre sancto Francesco vi conservano in ogni prosperità spirituale, corporale e temporale diutissime 71 ; mentre un tono ancor più accorato e convinto si registra nella lettera che precede di cinque giorni la prima approvazione della legge: “Preterea humelmente e cordialmente prego vostra reverentia date opera che è la reformatione de li homicidii, bollettini e presenti, habia bono effecto et expeditione, perché sariti casone de infinito bene a tuta questa vostra republica 72 . Non pare peraltro improbabile che il Frate, nel corso della sua predicazione quaresimale di quell'anno, abbia utilizzato anche il pulpito di S. Maria del Fiore per rinnovare e argomentare questa richiesta in materia di politica criminale 73 .

Di assoluto rilievo pare il fatto che il testo della legge rispecchi esattamente i contenuti e gli obiettivi esposti dal Nostro in quelle due espistole e ribaditi poi a Lorenzo nel Memoriale. La legge che dovette essere promulgata il 25 marzo 74 proibiva infatti ogni forma di salvacondotto sino ad allora concesso con l'unica eccezione per chi fosse stato condannato per omicidio già da dieci anni, a far data dal 15 marzo del 1478. Tale provvedimento, concesso a chiunque su deliberazione degli Otto di Guardia, poteva essere emesso per un solo anno eventualmente rinnovabile: “Ma a chi per l'adivenire conmetterà homicidio o presterrà favore o aiuto, o farallo conmettere e, per alcuna tal cagione sarà per sententia condempnato ad mortem o nella pena del ribello, o ad alcuno di loro, non si possa mai per alcun tempo, salvo quello che sotto si dirà, dare … bullettino, salvacondotto o sicurtà alcuna etc. 75 ; mentre la deroga prevista dalla legge stabiliva che la sicurtà, nella vigenza di una Signoria, poteva essere concessa solo una volta a ciascun reo per un termine massimo di quindici giorni non rinnovabili, su deliberazione congiunta degli Otto di Guardia e della Signoria. Non si tratta naturalmente di ascrivere ad Antonio la paternità di quelle "riforme", ma di scorgere in questo dato la forte connessione tra ceto politico cittadino e l'esponente dell'Osservanza, la sua capacità di sviluppare strumenti di indirizzo e di pressione sul ceto dirigente della res publica rappresentando se stesso anche come strumento e interprete delle istanze che venivano dalla società cittadina. Nel Memoriale Antonio prosegue questo specifico impegno politico annoverando quel testo normativo tra i “nova statuta sanctissima” cui Lorenzo è chiamato a dare piena e indefettibile esecuzione. Occorrerà osservare, afferma inoltre il Vercellese, “praecipue” la legge “quae nuper contra horribilia assassinamenta et homicidia, mediante vestra laudabili sollicitudine et diligentia est edita. Haec quidem in me regnat opinio firma, quod Deus protexit Magnificentiam vestram a gladiis inimicorum non solum propter alia merita vestra, sed singulariter liberatus estis propter grande bonum ac ineffabile meritum, adeptum pro labore et vigilantia, qua fretus estis, in harum legum ordinatione et affirmationem. Certior sum enim nonnisi per vos haec nova statuta sanctissima fieri potuisse 76 .

Si tratta, come è evidente, di una posizione di fondamentale importanza non solo per comprendere l'atteggiamento di Antonio nei confronti della reazione medicea e delle istituzioni verso i sostenitori della congiura del 26 aprile, ma anche per capire quali siano le indicazioni che egli intende dare al Magnifico per il futuro della politica criminale della res publica. Si ricorderà che Lorenzo, al di là del controllo indiretto che seppe costantemente esercitare anche su questa materia ricoprì proprio in quel periodo, nella prima metà del mese di maggio 1478, una posizione di responsabilità diretta nell'esercizio della politica criminale e della sicurezza della repubblica, essendo stato eletto tra gli Otto di Guardia. Una carica da cui si dimetterà proprio per le dirette connessioni tra i compiti di quella magistratura e la repressione contro i congiurati di aprile. Lorenzo peraltro entrerà a far parte, il 13 giugno, dei Dieci di Balia, la magistratura straordinaria chiamata ad esercitare la politica estera e militare in tempo di guerra 77 . L'argomentazione di Antonio si sviluppa infatti nel testo ammonendo Lorenzo: “Caveat igitur Caritas vestra, ne, quod sapentissime conditum est, insipienter aut amore aut odio aut cupiditate aut alia quacumque causa frangetur aut contemnatur ... Vae autem illi, per quem haec lex iustissima frangatur ... Vigilet igitur Humanitas vestra, ne per incuriam vel negligentiam vestram lex frangatur sanctissima, ne 'sanguis' hominum, ut habetur Gn 4, contra vos 'de terra clamet ad' Deum [Gen. 4,10]. Ioannes etiam ait in Apc: 'Vidi subtus altare' Dei 'animas interfectorum et clamabant voce magna dicentes: Vindica, Domine, sanguinem' sanctorum tuorum, 'qui effusus est' ... Qui consentit peccantibus et defendit alium delinquentem maledictus erit apud Deum et homines et corripietur punitione severissima 78 . L'argomentazione dunque si appoggia non solo sull'obbligo giuridico che discende dall'esistenza della legge, ma sui passi testamentari che, fin nell'Apocalisse (6, 9-10), dichiarano la necessità della vendetta, che però nel passo giovanneo è lasciata a Dio. Qui dobbiamo sottolineare non solo l'opera tecnicamente assai ben congegnata di interpolazione scritturistica ma anche il fatto che, nel passaggio che giustifica la vendetta civile (terrena), le uniche due parole inserite dal Francescano (sanctorum tuorum) conferiscono una valutazione di merito inequivocabile sulle vittime di chi infrange la legge, contribuendo ad un processo di esaltazione e nobilitazione di chi vive nell'osservanza del codice civile-politico della res publica laurenziana.

Il testo di Antonio procede ribadendo il carattere estensivo della legge, cioé la necessità che la pena di morte o il bando vengano irrogati anche a tutti coloro che in qualsiasi modo abbiano favorito l'esecutore materiale ovvero ne siano stati i mandanti. Il Frate definisce “haeresiarca”, chi protegge, consente, comprende gli esecutori materiali, mentre questi ultimi sono definiti “haeretici”, spingendo così al massimo la contaminazione linguistica tra gli universi lessicali dell'errore religioso e del reato penale 79 , e nel contempo facendo derivare da ciò con maggior facilità la legittimità della sanzione finale prevista dalla legge appena approvata. Il Francescano, citando Isidoro dal testo del Decretum (C11, q.3), tende poi alla più ampia dilatazione possibile del portato della normativa cercando di farvi rientrare anche quelle che oggi potremmo definire condizioni di favoreggiamento oggettivo, fino a coinvolgere nella sanzione comminabile chi si macchia di negligenza nell'applicazione della norma, dunque i giudici e Lorenzo stesso, citando qui sia Agostino, dal Decreto (C. 23 q. 4), sia il III libro dei Re (cap. 20,39). Lo scutum si chiude dichiarando “quanta sit virtus, meritum et laus, leges probatissimas servando colere et colendo servare 80 .

Questo scutum serve dunque ad Antonio per rivendicare e legittimare la legge sugli omicidi che viene da lui fatta valere in ogni possibile direzione attraverso una consapevole strumentazione lessicale ed il ricorso ad una amplificazione semantica dei testi scritturistici e canonistici. Operazione che fa di questa normativa, che non è solo di tipo penale, ma contiene evidentemente forti elementi di regolazione sociale e politica, una per usare le parole di Antonio - lex probatissima, in quanto fondata e corrispondente a precise prescrizioni evangeliche 81 .

Da un punto di vista più generalmente politico nel loro insieme i passi che riflettono intorno alla figura, alle competenze, ai doveri, alla posizione istituzionale di Lorenzo possono essere letti come una sorta di invito alla moderazione rispetto alla tentazione di una assolutizzazione nelle forme e nell'esibizione del potere da parte del Magnifico. Ciò non significa che Antonio prenda le parti di coloro i quali mantennero, anche in quel periodo, "nostalgie" pro-repubblicane né alla maniera di Rinuccini, né in forme più misurate, o sotterranee, testimoniate dalla lettura dei verbali delle Pratiche tra gli anni '60 e gli anni in cui si realizzerà la repubblica savonaroliana 82 .

Se si pone mente al passaggio in cui Antonio invita Lorenzo a trasformare il pericolo e la crisi appena superate in un'occasione di rafforzamento del proprio potere - è proprio nel primo paragrafo del primo capitolo che Antonio, dopo aver richiamato i fatti del 26 aprile, come un tentativo insopportabile di dare la morte al Magnifico, e con ciò stesso alla repubblica fiorentina, si rivolge a Lorenzo con queste parole: “Quamobrem Caritati vestrae, mihi et ceteris cunctis benivolis, si homines, si sapientes esse et censeri volumus opus est necessitatem in virtutem commutare enormitatemque operis laudabili tolerantia reprimere et, quod humana fragilitas nequaquam potest, sanctissima et constans valeat patientia ... 83 - si potrebbe affermare che il Frate dia mano ad un progetto volto a favorire il consolidamento effettivo della posizione di Lorenzo. Un progetto in cui, tuttavia, è posta particolare attenzione, come appare in numerosi passaggi, a non rendere mai evidente questo rafforzamento attraverso l'adozione di atti politici né, tantomeno, attraverso la sua traduzione in modifiche dell'assetto costituzionale della repubblica.

Dalla ricognizione delle metafore e delle similitudini impiegate da Antonio per modellare il profilo di perfectio dominativa di Lorenzo, dalla tipologia degli appellativi utilizzati 84 , dai passaggi che definiscono gli obiettivi cui è finalizzato l'intero testo consiliativo, in particolare di quelli che tendono a far coincidere il rafforzamento e la conservatio della res publica con il consolidamento del potere del Magnifico, si può trarre l'evidente conferma che il Francescano è fortemente schierato sulle posizioni politiche portate avanti da Lorenzo e dalla componente filomedicea fiorentina. Nel solo Memoriale sono attestate 13 occorrenze in cui l'appellativo di Lorenzo è “Magnificentia vestra”, appellativo che non risulta essere un elemento esornativo poiché serve a qualificare il prestigio, l'esercizio oculato del potere e della forza, la capacità del Mediceo di essere “singularissimus pater” di tutti i più poveri, “venerator ecclesiasticarum personarum”, “pauperum amator, orphanorum et viduarum protector”. Egualmente le 4 occorrenze con cui il Magnifico è appellato “Humanitas vestra” valgono a qualificarlo per la sua capacità di saper recuperare al proprio campo i nemici, anziché colpirli quando sono comunque neutralizzati sul piano operativo, ed anche per l'esercizio inflessibile della giustizia penale sino alla comminazione della pena capitale per i rei di omicidio e per i loro favoreggiatori. Le 7 occorrenze ove Lorenzo è chiamato “Caritas vestra” valgono a conferirgli un vero e proprio attributo positivo per l'esercizio del governo e del potere anche militare e per l'amministrazione della giustizia penale, evidenziandosi qui un particolare esito lessicale e semantico della lunga tradizione francescana e mendicante che, tra Due e Quattrocento, aveva continuato ad utilizzare il vocabolario dell'agostinismo politico al cui interno il lessema caritas svolge un ruolo costitutivo e legittimante nella definizione della communitas politica e nella qualificazione del bonum commune.

La conferma dello schieramento di Antonio con la componente filomedicea fiorentina si rileva dalla convergenza dell'operazione di esplicta identificazione tra la conservatio della res publica e Lorenzo compiuta nel Memoriale con i documenti politici e diplomatici dell'epoca. Si legga, ad esempio, quanto afferma Piero Minerbetti in rappresentanza degli Otto di Balia il 12 giugno di quell'anno: “Laurentium … et Medicam domum non aliter defendendam quam patrie salutem”, o quando, il mese successivo (21 luglio 1478), la Signoria replicherà a Sisto IV sostenendo che Lorenzo, definito dal papa "tiranno", “at nos populusque noster defensorem nostrae libertatis … una omnium voce appellamus 85 .

Il Memoriale indica dunque che il frate osservante conosce e considera valido quel modello di governo e di potere mediceo venuto via via perfezionandosi dopo il parlamento del 1458 e caratterizzato da una autocrazia di fatto che poteva contare sul controllo della struttura costituzionale e politica della res publica. Un'autocrazia che aveva la netta consapevolezza di poter dispiegare il proprio potere solo nel rispetto del quadro costituzionale e all'interno dell'assetto oligarchico che quel quadro disegnava.

In questo senso l'opera di Antonio fornisce ulteriori elementi di rafforzamento e legittimazione, anche sul piano del linguaggio politico e della costruzione del consenso, a quella particolare fisionomia della repubblica plasmata ad opera dei Medici sin dal 1434 86 . Non è certo casuale il fatto che Lorenzo non venga mai evocato o rappresentato utilizzando figure proprie della classica tradizione repubblicana, ma compaia sempre, anche in termini di modelli ideali, quale rex, princeps o rector subditorum. Se si pone mente alla lunga tradizione di scritti e agli stessi vocabolari della testualità politica fiorentina di orientamento repubblicano e antitirannico 87 è assai significativo il passaggio in cui egli viene denominato dall'Osservante“Alter magnanimus Caesar 88 .

Nell'intero testo inoltre, pur non essendoci una autonoma riflessione dedicata alla dimensione istituzionale della res publica essa, in quanto tale, non è mai oggetto di provvedimenti o di azioni politiche proposte, venendo sempre collegata, se non apertamente identificata, con Lorenzo stesso. In questo quadro il già richiamato passo che presenta a Lorenzo il modello di dominus cui deve conformarsi come mater dei propri sudditi sia immediatamente seguito da una specificazione che pare consentire, per quanto eccezionalmente, anche il governo del tiranno 89 .

Ciò che emerge da tutto il Memoriale, ed anche dai passaggi specifici in cui Antonio affronta i fatti e le conseguenze possibili delle vicende del 26 aprile, è quindi un'oggettiva adesione del Frate al progetto politico di Lorenzo, contraddistinta però da un rivendicato diritto di intervento sul dominus e sul suo modo di gestire il potere. Una chiara autocandidatura dell'Osservante a svolgere questo ruolo si può cogliere anche nel passo nel quale egli invita Lorenzo a servirsi, nella sua attività di governo, di "religiosi" fidati 90 . Ed in questo quadro, anche per le implicazioni con l'attentato subito da Lorenzo il 26 aprile, occorrerà ricordare che Antonio, in una lettera del 6 marzo 1478, suggerisce al Magnifico di stare particolarmente attento negli impegni che deve svolgere in pubblico, consigliandogli vivamente di non partecipare ad una "giostra" che si stava preparando per i giorni successivi 91 .

E' questa infatti la prospettiva che è alla base delle numerose riflessioni svolte da Antonio sulla congiura antimedicea.

Se rileggiamo i quindici luoghi del testo dove il Frate esprime le proprie considerazioni e formula i suoi consigli a Lorenzo sul comportamento da adottare nel prossimo futuro, senza prescindere dal quadro argomentativo complessivo dell'opera e da quanto egli afferma nell'undicesimo scutum, potremo innanzitutto riscontrare una profonda differenza tra questo Memoriale e i testi politici sulla congiura prodotti in ambiente fiorentino. Le posizioni fortemente ideologiche e contrapposte, contenute nel testo antimediceo di Rinuccini 92 e quelle totalmente schierate con Lorenzo - si pensi al Poliziano, al Parenti o al testo preparato per la sinodo della chiesa fiorentina che doveva confutare sul piano storico-giuridico le bolle di scomunica del 1° e del 22 giugno 93 - , lasciano il posto, nel Memoriale, ad una posizione molto più politica e attenta sia ai punti di forza che ai fattori di crisi interna ed esterna che possono svilupparsi in quelle settimane. Si può dunque affermare che, mentre i testi dei "fiorentini" rimangono intrappolati nelle loro posizioni di principio, il testo francescano intende dimostrare la forte attenzione verso Lorenzo attraverso una serie di riflessioni e di consigli politici, costruiti con un linguaggio incisivo ed orientati al pragmatismo.

Non sarà peraltro privo di interesse sottolineare come il Memoriale non acceda, come ci si potrebbe aspettare, a posizioni filopapali, nonostante esso sia redatto ad una sola settimana dalla pubblicazione della bolla di scomunica di Lorenzo e dell'intero ceto di governo della città. In più punti il Memoriale esprime infatti una netta condanna dei fatti di aprile senza lasciare spazio alle tesi che verranno sostenute nel pronunciamento di Sisto IV.

L'attenta posizione politica di Antonio e la sua disponibilità verso la struttura di potere e la politica laurenziane riescono a convivere tuttavia con un rapporto molto positivo stabilito e mantenuto con il pontefice, prima e dopo la congiura del '78. Ne sono prove evidenti le indulgenze richieste ed ottenute per S. Maria del Fiore all'epoca della sua predicazione quaresimale o il fatto che sia proprio Antonio ad essere chiamato a redigere una delle tre relazioni che serviranno a sbloccare e a portare a buon fine il bicentennale processo di canonizzazione di Bonaventura 94 . Ed in questa direzione vanno sicuramente considerati anche i tre incarichi di predicazione quaresimale conferitigli da Sisto IV nel 1472, nel 1479 e nel 1480. Si tratta, in particolare per gli ultimi due, di incarichi che testimoniano la piena fiducia del pontefice nei confronti di Antonio: nel 1479 il papa decide di far predicare il Frate a Roma, nonostante un suo precedente incarico per quella quaresima a Vercelli, nel 1480 corrisponde ad un preciso invito del Doge della Serenissima inviandolo a Venezia.

Se torniamo al suo Memoriale vediamo che Antonio invita Lorenzo a riflettere sull'utilità di possibili atti di clemenza o di temperamento dei provvedimenti verso coloro che sono sopravvissuti alle rappresaglie e alle condanne dei primi giorni senza mai sostenere l'irresponsabilità di alcuno di essi, argomentando invece le sue richieste solo in termini di utilità politica per il Magnifico.

E non è certo un elemento secondario che proprio quando Antonio inizia a redigere quest'opera la sede apostolica concentri i propri sforzi diplomatci per garantire l'incolumità e la salvezza del cardinale Sansoni-Riario 95 . Questa specifica questione politica e personale del papa è sicuramente un elemento al centro della riflessione del Frate che può spiegare i suoi ripetuti inviti alla clemenza, nella consapevolezza della rilevanza diplomatica e politica che assume, per entrambe le parti, la gestione del trattamento e della liberazione di quell'ostaggio. Come noto la vicenda, anche per le numerose pressioni diplomatiche esercitate su Lorenzo, si risolverà positivamente tra il maggio ed il giugno di quell'anno attraverso una serie di provvedimenti che attenueranno la condizione di sostanziale prigionia del cardinale, per giungere poi alla sua definitiva liberazione. Ma qui interessa richiamarla perché essa può spiegarci da un lato il tipo di rapporti che Antonio mantiene e consolida con il Papa, dall'altro può chiarirci meglio la genesi e le motivazioni che spinsero il Vercellese a scrivere a Lorenzo questo testo che assume così un'ulteriore rilevanza se ne consideriamo gli "esiti": il suo livello contenutistico ed il suo indubbio valore politologico.

Nel Memoriale, inoltre, il Frate richiama il Magnifico e gli segnala che, nella situazione data, i rischi esterni sono sicuramente più elevati che quelli interni. Un passo come il seguente può essere esemplificativo della posizione di Antonio e dimostrare al contempo come l'Osservante avesse assai probabilmente notizie di quanto stava avvenendo nelle cancellerie di Roma e Napoli, si pensi in particolare al fatto che già il 12 maggio Ferrante fosse a Roma per un consulto su misure militari da prendersi di concerto col Papa 96 Obsecro ... custodiatis cum omni prudentia animam vestram, ne iterum ad manus deveniat hostiles. Dubitandum est sane Caritatem vestram aemulis in futuro non posse carere. Et si potentiores vobis existunt, qui in mortem vestram conspiraverant, sive convicini sint sive, quod magis est timendum extranei, vobis insidiari sedulo atque nocere studebunt, tum quia eorum impia periit intentio, tum quia se confusus undique conspiciunt, tum et quia facilius videbitur unum quam duos extinguere. Nam frater vester iam exstinctus est 97 . Anche per questo può essere importante praticare una politica di attenuazione dei provvedimenti nei confronti di quelli che Antonio considera ormai o nemici privi di forza, o semplici soggetti che, proprio in virtù delle misure prese nei loro confronti, possono divenire amici fedeli di Lorenzo e della "sua" repubblica oppure essere indotti a farsi amici degli sconfitti 98 . A sostegno di tale posizione Antonio chiama Lorenzo a considerare anche i benefici che gli potrebbero derivare in termini di buona reputazione, un elemento politico non secondario nel momento in cui le armi della diplomazia e della propaganda pro e contro il Magnifico si erano già messe in moto nella penisola ed in Europa.

Questi consigli, oltre a non essere generici appelli ad un codice morale, debbono essere letti accanto ai due capitoli del testo (i due scuta, intitolati pacificationis e observationis) che invitano Lorenzo a riflettere sulla liceità e l'opportunità della guerra e ad agire per la piena applicazione della legge contro gli omicidi.

Nel primo scutum Antonio chiede a Lorenzo di valutare l'opportunità di aprire uno scontro armato, ancora una volta ponendo come obiettivo ciò che egli definisce l'“optima et necessaria” conservazione “vestrae et reipublicae nedum civium vestrorum”, svolgendo un ragionamento che non esclude in alcun modo la possibilità di utilizzare le armi purché vi sia la certezza che quella che si va a combattere sia una guerra giusta e dunque lecita. Il Frate infatti, citando Agostino e il discorso evangelico della montagna, conclude lo scutum affermando che il governante che promuove una guerra giusta è, letteralmente, filius Dei, pacificus e beatus secondo il versetto di Matteo 5,9 99 .

Il secondo scutum, di cui più sopra si sono visti i contenuti, assume una rilevanza particolare se si rammenti che nelle settimane in cui Antonio scrive il suo Memoriale il cardinale Sansoni-Riario è ancora prigioniero di Lorenzo a Firenze, che tra il 28 aprile ed il 23 maggio vengono adottate e pubblicate ben quattro sentenze contro i partecipanti alla congiura ed i loro familiari, seguite da un'importante Provvisione giudiziaria e politica del 4 agosto 100 e che, tra il 17 ed il 19 maggio, cinque esponenti della famiglia dei Pazzi sono trasferiti dalle Stinche al carcere di Volterra, dove risiede il Frate 101 . Né si potrà dimenticare, in questo quadro politico, che una settimana dopo l'invio del Memoriale a Lorenzo, la bolla di Sisto IV, scomunicando Lorenzo e tutte le magistrature cittadine, farà appello al popolo fiorentino affinché si liberi di quel "tiranno" ed eviti così di venir colpita da quello stesso provvedimento 102 .

E' dunque assai significativo che Antonio, in coerenza con la sua accorta, ma chiara, adesione alla posizione di Lorenzo e al suo “partito di governo”, esprima in questo scutum una totale convergenza con le sentenze del Podestà deliberate in quei giorni e con i testi antipapali 103 che conferiscono piena legittimità alle esecuzioni immediatamente successive alla congiura: “De praeteritis autem homicidiis ante legum editionem patratis nec loquor nec locutus sum. Transeat Marte suo. Contra futura dirigo sermonem, ne quandoque nimia pietas seu aliorum insatiabilis cupiditas generet impietatem et ne amodo iniuste sanguis fundatur humanus 104 .

E, d'altro canto, riflettendo sul futuro, Antonio è molto esplicito: la legge contro gli omicidi, intesa secondo la propria interpretazione estensiva di quella normativa, va applicata senza riserve a tutti i casi che si sono verificati dopo la sua entrata in vigore.

Se leggiamo i contenuti delle sentenze emanate in quel periodo verremo a riscontrare che i congiurati e tutti coloro che furono ritenuti loro fiancheggiatori sono colpiti dalla pena del ribello, venendo sottoposti al carcere o a provvedimenti di confino. Tuttavia non si potrà dimenticare che se il Memoriale invitava Lorenzo ad adottare anche atti di clemenza in funzione del proprio consolidamento al vertice del potere fiorentino, sarà solo nei mesi successivi, quando le condizioni politico-militari lo permetteranno, che le magistrature cittadine ed il Magnifico terranno un comportamento più duttile, mitigando quelle sentenze, riducendo le pene e poi amnistiando i condannati dai provvedimenti dell'aprile-agosto 1478 105 .

Se questo è il complesso rapporto che connette lo spettro delle proposte di politica criminale elaborate da Antonio alle dinamiche dei fatti politici, diplomatici e giudiziari della repubblica laurenziana possiamo, in conclusione, svolgere alcune considerzioni di ordine generale.

Complessivamente la lettura dei testi che esprimono più apertamente la posizione politica del Vercellese rivelano una precisa volontà del Frate nell'indicare a Lorenzo la via del consolidamento nella moderazione e nel “temperamento” dell'esercizio del suo potere sulla res publica fiorentina.

Resta aperto, e necessario, uno studio sistematico su questi testi di Antonio che consenta un confronto organico, in termini di analisi semantica e del linguaggio politico, con le opere degli umanisti che si schierarono a favore o contro i Medici e con quelle che, in quegli anni e insieme ad esse, contribuirono alla messa in forma di un discorso politico sulla res publlica e sull'arte di governo 106 .

Tuttavia ciò che è già emerso in queste pagine consente di affermare che Antonio è stato uno dei più consapevoli interpreti di quel ruolo sociale e politico che l'Osservanza aveva assunto e sviluppato attingendo alla plurisecolare tradizione di attività propria del minoritismo italiano ed europeo, inscindibilmente connessa alla elaborazione di una specifica testualità politica francescana.

In questo quadro il pauper Christi lombardo si è rivelato capace di esprimere, utilizzando un codice linguistico ed un sistema argomentativo non certo “umanistico”, un contributo personale di estremo interesse nello sviluppo di una testualità che in quel secolo mostra una crescente attenzione alla “scienza di governo” e all'operatività della misura politica, passaggio essenziale in direzione di quella che verrà definita la “Ragion di Stato 107 .

L'opera del francescano infatti si configura come un autentico testo politico in cui quella che Machiavelli definirà propriamente “l'arte dello stato” assume un peso qualitativo e quantitativo assolutamente rilevante rispetto ai contenuti più tipici degli specula principum cui in parte si ispira. La scelta di non inserire in questo “speculum” la tradizionale riflessione di matrice aristotelica su quale sia, in astratto, il miglior regime di governo, la chiara ed univoca considerazione di Lorenzo come uomo di governo e di potere, la stessa declinazione pragmatica delle virtutes che Antonio indica al Magnifico - proiettate al di fuori dalla loro dimensione pedagogica funzionale ad una mera definizione morale dell'esercizio del potere -, costitituiscono tre elementi emblematici in questa direzione.

Elementi che consentono di affermare che quest'opera non può certo rientrare in quel novero di testi politici che Machiavelli accomunerà definendo polemicamente i loro autori come i “molti” che “si sono immaginati republiche 108 .

Il Memoriale inoltre, sempre e in quanto opera interna alla testualità etico-politica francescana, costituisce un anello prezioso da studiare per comprendere il contributo che la produzione minorita etico-economica e politica ha dato alla costruzione di quel percorso di disciplinamento sfociato nella “trasformazione sistematica e razionale della vita etica collettiva” che Max Weber ha indicato come cifra determinante e distintiva della modernità occidentale e “capitalistica 109 . Una trasformazione che appare sempre più, come dimostrano anche gli studi che si sono occupati di etica-economica minorita 110 , non come un processo univoco e lineare alimentato dallo “spirito dell'ascesi cristiana” e dall' “etica di professione” ma piuttosto, o meglio anche, come il prodotto di un lungo percorso lessicale-semantico e di riflessione teorica che trova nei testi e nell'azione degli Ordini Mendicanti tra XIII e XV secolo uno snodo importante.

In questo ambito la testualità politica prodotta dai francescani rivela notevoli livelli di autoconsapevolezza e di elaborazione teorica, in particolare nella costruzione di profili dominativi per i laici così come di progetti di organizzazione della società. Apparirà allora assai restrittiva la lettura vulgata dei passi di Weber che, pur riconoscendo l'importanza del disciplinamento religioso in età bassomedievale per la costruzione di una condotta razionale ed etica della vita degli individui, proprio richiamandosi all'esperienza del Terz'ordine francescano - definito “un potente tentativo di penetrazione ascetica nella vita quotidiana” - riteneva, quale “punto decisivo”, il fatto “che l'uomo che per eccellenza viveva metodicamente, in senso religioso, era e restava il monaco soltanto, e che perciò quanto più il singolo si dava all'ascesi, tanto più ne era spinto fuori dalla vita mondana, perché nel superamento appunto della moralità intramondana consisteva la vita specificamente religiosa 111 . In realtà, se si voglia comprendere appieno, anche in un'ottica davvero weberiana, i livelli di autoconsapevolezza e gli spessori teorici elaborati dai Minori occorrerà tener conto del peso specifico che hanno avuto lo statuto pauperistico volontario assunto dai Francescani, i modi linguisticamente e discorsivamente definiti del codice di autodominio che deriva da quello statuto, la funzione-matrice della testualità normativa e apologetica dell'Ordine, sin dalle sue prime formalizzazioni duecentesche.



[1] Il testo qui pubblicato è la versione ampliata di una ricerca sugli scritti politici di Antonio da Vercelli uscita, in alcune sue parti, nel volume collettaneo Ovidio Capitani. Quaranta anni per la Storia medievale, a c. di M. C. De Matteis, Bologna 2003, II, pp. 167-187. Si ringrazia la casa editrice Pàtron per aver acconsentito alla ripubblicazione delle parti già uscite in quel volume.

[2] Per la genesi e i caratteri generali dell'Osservanza francescana in Italia ed in Europa gli studi fondamentali sono M. Fois, I Papi e l'Osservanza minoritica, in Il rinnovamento del Francescanesimo: l'Osservanza, Atti dell'XI congresso internazionale di studi, Assisi, 20-22 ottobre 1983, Assisi 1985, pp. 31-105, e D. Nimmo, Reform and Division in the Medieval Franciscan Order, Roma 1995 (2a ed.), pp. 353-645; altri riferimenti bibliografici nelle note successive.

[3] La sua predicazione politica si svolge a Firenze tra il 1508 e il 1509, uno dei suoi sermoni più importanti in questa direzione è quello del 26 dicembre 1508, v. G. Tognetti, Un episodio inedito di repressione della predicazione post-savonaroliana, in Bibliotèque d'Humanisme et Renaissance, XXIV (1962), pp. 190-99; un accenno alla vicenda si legge in D. Weinstein, The Myth of Florence, in Florentine Studies. Politics and Society in Renaissance Florence, a c. di N. Rubinstein, London 1968, pp. 15-44, in particolare p. 17.

[4] Su quest'ultimo aspetto cfr. comunque l'importante studio di R. Bizzocchi, Chiesa e potere nella Toscana del Quattrocento,Bologna 1987 e G. Chittolini, Stati regionali e istituzioni ecclesiastiche, in La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età contemporanea (Storia d'Italia, Annali 9), a c. di G. Chittolini e G. Miccoli, Torino 1986, pp. 149- 193.

[5] Esemplari al riguardo i saggi di N. Rubinstein, The Beginnings of Political Thought in Florence. A Study in Mediaeval Historiography, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes V (1942), pp. 198-227 e ID., Le dottrine politiche nel Rinascimento, in Il Rinascimento. Interpretazioni e problemi, Bari 1979, pp. 183-237; v. anche D. Weinstein, The Myth of Florence, cit.; A. Brown, The Medici in Florence: the exercise and language of power, Firenze 1992 e diversi contributi contenuti in Lorenzo il Magnifico e il suo tempo, a c. di G. C. Garfagnini, Firenze 1992, in Lorenzo il Magnifico. Studi, a c. di G. C. Garfagnini, Firenze 1992 e in Lorenzo il Magnifico e il suo mondo a c. di G.C. Garfagnini, Firenze 1994.

[6] G. Todeschini, Teorie economiche francescane e presenza ebraica in Italia (1380-1462 c.), in Il Rinnovamento del Francescanesimo. L'Osservanza, cit., pp. 193-227; ID., Usus raptus. Denaro e merci in Giovanni da Capistrano, in A Ovidio Capitani -Scritti degli allievi bolognesi-, a c. di M. C. De Matteis, Bologna 1990, pp. 158-188; ID., Il problema economico in Bernardino, in Bernardino predicatore nella società del suo tempo (Atti dell'Accademia Tudertina, 14), Todi 1976, pp. 285-309; O. Capitani, San Bernardino e l'etica economica, in Atti del Convegno storico bernardiniano, L'Aquila 1983, pp. 47-68; ID., La figura di Giovanni da Capestrano alla luce dei problemi del suo tempo, in Giovanni da Capestrano. Dalla storia della Chiesa alla storia d'Europa, Bologna 1986, pp. 19-25; O. Capitani (a c. di), Un'economia politica del Medioevo, Bologna 1987; D. QUAGLIONI, Un giurista sul pulpito. Giovanni da Capestrano (+ 1456) predicatore e canonista, in 'Civilis Sapientia'. Dottrine politiche e dottrine giuridiche fra Medioevo ed età moderna, Rimini 1989, pp. 193-206; M. G. Muzzarelli, "Contra mundanas vanitates et pompas". Aspetti della lotta contro i lussi nell'Italia del XV secolo, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XL (1986), pp. 371-390 e ID., Un bilancio storiografico sui Monti di pietà: 1956-1976, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXXIII (1979), pp. 165-183; ID., Il denaro e la salvezza: l'invenzione del Monte di Pietà, Bologna 2001; v. anche R. Rusconi, Alle origini dei Monti di Pietà. I Francescani fra etica ed economia nella società del tardo Medioevo. Studi in occasione delle celebrazioni del V centenario della morte del beato Michele da Carcano (1427-1484), Bologna 1984.

A conferma di quanto affermato sopra nel testo si può vedere come la questione del rapporto tra Osservanza e poteri politici ed il rilievo politologico delle attività e delle opere di quegli esponenti minoriti vengano considerati nell'importante volume curato da K. Elm, Reformbemühungen und Observanzbestrebungen im spätmittelalterlichen Ordenwesen, Berlin 1989, in particolare nella sezione Landesherren, städtische Obrigkeit und Ordensreform, ivi, pp. 515-567; per la parte che ci interessa più da vicino, ivi, N. Rubinstein, “Reformation” und Ordensreform in italienischen Stadtrepubliken und Signorien, pp. 521-538. Lo stesso recente volume Ordini religiosi e società politica in Italia e Germania nei secoli XIV e XV, a c. di G. Chittolini e K. Elm, Bologna 2001 (Atti della XL settimana di studio del Centro per gli studi storici italo-germanici di Trento, 8-12 settembre 1997), che pure contiene studi interessanti di D. Berg (pp. 45-113) e di A.Vauchez (pp. 31-29), si occupa del XV secolo solo con i saggi di G. Andenna sulla Lombardia (pp. 331-371), di G. Vitolo sul Mezzogiorno (pp. 115-149) e di G. De Sandre Gasparini sul Veneto (pp. 205-255), senza peraltro affrontare né a livello generale né per l'area toscana la questione degli Osservanti francescani come produttori di una specifica testualità politica-consiliativa per i domini

[7] L'appellativo Balochio deriva dal suo luogo di nascita: Balocco, presso Vercelli.

[8] Nel solo quarantennio 1444-1484, anno in cui Lorenzo scopre un'"intelligenza" non fidata della quale fanno parte anche i Martelli, gli esponenti di questa famiglia ricoprirono per ben 10 volte l'incarico di Accoppiatore, per 6 volte furono eletti tra gli Arroti, per 2 sedettero nel Consiglio dei Settanta, furono anche tra i primi 40 ed i primi 30 membri. Nella Balia del 1458 Antonio di Niccolò di Ugolino fu uno degli Ufficiali del Monte, mentre nella Balia del 1466 Bartolomeo di Niccolò di Ugolino fu uno dei nove componenti della Signoria. Braccio stesso fu il secondo esponente della famiglia a sedere nel Consiglio dei Settanta (i calcoli sono stati condotti sulla base dell'appendice documentaria pubblicata in N. Rubinstein, Il governo dei Medici, cit., pp. 318-320, 323, 336, 349, 355, 364, 373-74, 383, 392, 397, 400-401, 405, 409, 411, 414; e, ivi, P. Guicciardini, Ricordo sugli scrutini del 1484, (dal ms. BNCF, Magl., XXV, 636, cc. 7r - 12r), pp. 417-425). Fonte importante per le vicende politiche di questa famiglia è U. Martelli, Ricordanze dal 1433 al 1483, a c. di F. Pezzarossa, Roma 1989.

[9] V. le epistolae funebri a Giovanni per la morte di Pietro (1 nov. 1463) e per quella di Cosimo il Vecchio (1 ago. 1464). La prima si legge in cod. y.Z.6.25, ff. 21-28, bibl. Estense di Modena, cod. 723, ff. 69r-75v, bibl. Ricc. di Firenze, cod. Landau-Finaly 152, ff. 17r-22v, bibl. naz. di Firenze; la seconda nei rispettivi codici ai ff. 28-30, 76r-77v e 22v-44v. Indicative degli stretti legami di amicizia politica tra il frate e Lorenzo sono altre due lettere che si trovano in ASF Med. av. Princ. XX 680 (scritta prima del 2 dic. 1469) e, ivi, XX 635 (scritta tra il 1469 e il 1480). Non vanno dimenticate neppure l'attività e le opere di carattere sermocinale che rappresentano una parte significativa dell'impegno e della produzione del Micheli. Indice dei rapporti con i Medici sono inoltre la dedica a Pietro del suo Breviloquium de epidemia, che compare per ben due volte nel catalogo della biblioteca medicea, nonché l'opera De insensata cura mortalium ad illusos vitae huius amatores libellus, diretta allo stesso Pietro.

[10] Si tratta del Christianarum institutionum liber ad Braccium Martellum nobilem, cod. 1093, Roma, Angelica, v. in part. il cap. X "De illis qui alio regere debent", ff. 44v-51r.

[11] L'orazione si legge in cod. Landau-Finaly 152, bibl. naz. Firenze, ff. 76r-77v. Su Francesco Micheli del Padovano gli unici studi a lui dedicati sono quelli di Riccardo Pratesi, Francesco Micheli del Padovano di Firenze, in AFH XLVII (1954), pp. 293-366; e AFH XLVIII (1955), pp. 82-130; ID, Discorsi e nuove lettere di Francesco Micheli del Padovano, in AFH XLIX (1956), pp. 83-105.

[12] Della sua posizione di appoggio alla Regolare Osservanza, peraltro nella sua specifica versione catalano-aragonese, si ha infatti notizia solo nel 1402, sette anni prima della sua morte, quando Eiximenis compare in un documento del 22 ottobre di quell'anno come religioso di fiducia della regina Maria de Luna, fondatrice del primo convento osservante della Provincia aragonese: quello di Santo Espiritu del Monte nel regno di Valencia (la supplica della regina per ottenere una bolla che ne autorizzi la fondazione è rivolta a Benedetto XIII il 22 maggio 1402, la bolla papale giungerà 15 mesi dopo il 13 agosto 1403); cfr. A. Ivars Cardona, J. R. Webster, Franciscanismo de la reina de Aragon doña Maria de Luna (1396-1406), in Archivo Ibero-Americano 42 (1982), pp. 81-123 e, ivi, B. Agullo, Fundación y dotación del convento de Santo Espiritu del Monte (Valencia), pp. 133-143; da confrontare con D. Nimmo, Reform and Division in the Franciscan Order. From Saint Francis to the Foundation of the Capuchins, Roma 1995 (2a ed.) e P. Sanahuja, Historia de la seráfica Provincia de Cataluña, cit., p. 282. Per quest'ultimo studioso le prime espressioni dell'Osservanza aragonese risalirebbero già al 1373, con sanzioni ufficiali di Clemente VII del 1388 (lettera del 28 ottobre 1388 che autorizza la vita solitaria nell'eremo di Chelva, provincia di Valencia, "sub regulari observantia"), v P. Sanahuja, Historia de la seráfica Provincia de Cataluña, cit., p. 282. Della appartenenza di Eiximenis alla famiglia dei Conventuali ci informa anche J.G. Roig i Jalpí, Resumen historial de las grandezas y antiguedades de la ciudad de Gerona, y cosas memorables suyas Eclesiasticas y Seculares, assi de nuestro tiempo como de los passados, Barcelona 1678, p. 362.

[13] Si tratta di un membro della famiglia Medici, del ramo Amerigo-Papo, (1425?-1485), fu minore conventuale, maestro in teologia, in buoni rapporti con Lorenzo. Ricoprì, oltre ad una serie di altri incarichi all'interno dell'Ordine, quello di Custode della Custodia di Toscana e di Provinciale di quella Provincia dal 1465 al 1470, beneficiato da un Breve di esenzioni e priviliegi da parte di Sisto IV nel 1474, fu inoltre vescovo di Marsico Nuovo. Gli ottimi rapporti tra Ducato di Milano e Firenze medicea si spesero anche per promuovere la sua candidatura a Ministro Generale dell'Ordine (marzo 1469). Sotto il profilo della rilevanza politica di questo frate si ricorderà il provvedimento di esilio di un frate (conventuale?) che aveva trattenuto illegalmente lettere degli ambascaitori del Duca di Milano e del Re di Napoli inviate a Lorenzo da Venezia (12 giugno 1469). Da una serie di lettere sapppiamo inoltre che Antonio costruisce per Lorenzo alcuni legami con l'ex signore di Imola, Taddeo Manfredi, (27 febbraio 1473) e con Pino II degli Ordelaffi signore di Forlì (10 aprile 1474). D'altro canto Lorenzo spinse la Signoria a stendere una lettera al Papa con la richiesta di fornire ad Antonio de' Medici il vescovado di Cortona (23 gennaio 1477). Il frate è peraltro coinvolto nella lotta tra filo e antimedicei che si svolge durante la guerra dei Pazzi subendo l'accusa di aver predicato contro il Papa e in favore dei Medici (si veda la lettera a Lorenzo del 12 giugno 1479). Per le lettere citate cfr B. Bughetti, Intorno a M. Antonio de' Medici, Frate Minore e Vescovo di Marsico Nuovo, in AFH 30 (1937), pp. 193-228 e pp. 420-55.

[14] Cfr. la lettera inviata a Lorenzo in B. Bughetti, Miscellanea, in AFH X (1917), p. 593.

[15] V. la prefazione dello stesso Antonio ai suoi Consigli della salute del peccatore, in O. Bonmann, <Memoriale> Antonii de Vercellis ad Laurentium Magnificum de Medicis, in AFH, XLIII (1950), pp. 361-410, il testo del Memoriale che utilizzeremo in questo studio è alle pp. 388-410.

[16] V. la sua prefazione al Sermone dei dodici frutti della confessione, in O. Bonmann, <Memoriale>, cit., p. 370.

[17] V. O. Bonmann, <Memoriale>, cit., p. 361; M. Battistini, La chiesa e il convento di San Girolamo di Volterra, in "Studi Francescani" 27 (1930), pp. 425-32; D. Pulinari, Cronache, cit., p. 53 n. 138-39; v. anche C. Schmitt. L'Osservanza francescana in Toscana secondo il Regesto dei vicari generali dal 1464 al 1488, in "Studi Francescani" 85 (1988), pp. 57-79.

[18] Cfr. O. Bonmann, <Memoriale>, cit., p. 371, v. anche R. Pratesi ad vocem in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1961, pp. 580-581, ove sono anche elencate tutte le opere di Antonio.

[19] Cfr. Regestum Observantiae Cismontanae (1464 - 1488), "Analecta franciscana XII" Grottaferrata 1983, p. 89; A. Calufetti, I Vicari provinciali dell'Osservanza di Milano, in AFH 72 (1979), pp. 3-36, in particolare pp. 13-16.

[20] Regestum Observantiae Cismontanae, cit., p. 119.

Si ricorderà anche che lo stesso Giovanni da Capestrano si impegnò direttamente nella costruzione di un saldo e fruttoso rapporto tra il potere politico lombardo e l'osservanza (per alcuni elementi fattuali v. G. Hofer, Giovanni da Capestrano, a. c. di p. A. Chiappini, L'Aquila 1955, p. 244 e p. 248; H. Angiolini, Giovanni da Capestrano, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 2000, p. 751; P. Evangelisti, Politica e credibilità personale. Un diplomatico francescano tra Tabriz e la Borgogna (1450 ca. - 1479), in c.d.s. in "Quaderni storici" fasc. 1/2005.

[21] La vicenda di questa commissione impegnata in modo così diretto nel supporto all'azione politica e amministrativa del ducato costituisce un'ulteriore conferma di quella particolare attitudine minoritica, presente sin dal XIII secolo, che vede importanti esponenti dell'Ordine impegnati a sostegno di realtà istituzionali che attraversano momenti di debolezza sia sul piano del consenso interno che nel loro percorso di legittimazione nei confronti degli altri poteri politico-territoriali.

[22] La libertà con cui questa pratica sacramentale viene utilizzata dagli Osservanti troverà una sua sanzione ufficiale nella lettera pontificia "Regimini universalis Ecclesie" del 7 febbraio 1474, emanata da Sisto IV, e conosciuta come "Mare Magnum" proprio per l'ampia serie di esenzioni e privilegi concessi ai Minori, ed estesi ai Predicatori, tra i quali il sostanziale affrancamento da ogni controllo anche in materia di amministrazione della penitenza, cfr. Bullarium Franciscanum, n. s. III, Firenze 1949, n. 606.

[23] Regestum Observantiae Cismontanae, cit., Grottaferrata 1983, p. 119; G. G. Merlo, Ordini mendicanti e potere: l'Osservanza minoritica cismontana, in Vite di frati ed eretici, Milano 1998, pp. 267-301, qui pp. 291-92; nulla ci dice al riguardo il saggio di G. Andenna, Aspetti politici della presenza degli Osservanti in Lombardia in età sforzesca, in Ordini religiosi e società politica in Italia e Germania nei secoli XIV e XV, cit., pp. 331-371. I rapporti di Antonio con il ducato sono testimoniati anche da una lettera a Galeazzo Maria Sforza -cfr AFH XXVIII (1935), p. 227- ed una a Bianca Maria Visconti Sforza, edita da P. M. Sevesi, Santa Maria della Misericordia in Melegnano, Melegnano 1932, pp. 14-16.

[24] V. A. Fabroni, Adnotationes et monumenta ad Laurentii Medicis Magnifici vitam pertinentia, Pisa 1784, pp. 109-110 (che riporta un testo del Vasari, Vitae Andreae Verrocchii, Tom. I, p. 462); e, ivi, pp. 111-115 per la trascrizione del provvedimento di damnatio memoriae della famiglia dei Pazzi del 23 maggio 1478 (ex Cod. 170. "Provisionum Reipublicae Florentinae"); su questi provvedimenti v. anche A. v. Reumont, Lorenzo de' Medici. The Magnificent, London 1876, I-II, qui I, p. 335; B. Bughetti, Assisi e Casa Medici in Studi Francescani 35 (1938) pp. 49-60.

[25] Per le relative corrispondenze epistolari tra gli esponenti medicei ed i Minori v. D. Pulinari, Cronache dei Frati Minori della provincia di Toscana, a c. di S. Mencherini, Arezzo 1913, pp. 359-61; A. Fabroni, Laurentii Medicis Magnifici vita, Pisa 1784, II, pp. 109-110; B. Bughetti, Terra Santa e Casa Medici, in Studi Francescani 34 (1937) pp. 364-370; ID., Assisi e Casa Medici, cit.; C. Schmitt, L'Osservanza francescana in Toscana secondo il Regesto dei vicari generali dal 1464 al 1488, in Studi Francescani 85 (1988), pp. 57-79; R. Pratesi, Due lettere della Terra Santa a Casa Medici, in Studia Orientalia, I, Cairo 1956, pp. 139-143.

Sul piano dei rapporti personali sono documentati quelli, molto confidenziali, con i conventuali Antonio e Romolo de' Medici (legati da rapporti di parentela con il ramo dei Bicci), Francesco Micheli del Padovano, G. B. Salviati, N. Spinelli e con gli osservanti Paolo dell'Aquila, Bernardo di Parma, Antonio da Vercelli, Niccolò Montano, Fortunato Coppoli, Gaspare da Spoleto, Andrea da Foligno.

[26] L'insediamento osservante a Volterra costituisce sicuramente, dopo la conquista della città da parte di Lorenzo, un presidio utile ai Medici e dunque un fattore di stabilizzazione rispetto al dominio fiorentino in un territorio che sente ancora come una ferita aperta il sacco del 1472.

[27] Cfr. D. Pulinari, Cronache dei frati Minori della Provincia di Toscana, cit., pp. 329-33 che segnala anche la concreta adozione di misure di pubblica sicurezza per evitare, in quelle occasioni, scontri diretti tra conventuali ed osservanti.

[28] Molto probabilmente, come nota B. Bughetti, Miscellanea, cit. p. 586, l'attività sermocinale e la presenza di Antonio a Firenze durò, com'era allora in uso, dalla domenica di Settuagesima (25 gennaio) alla terza di Pasqua (12 aprile), dato che risulta confermato anche dalla datazione delle tre lettere inviate a Lorenzo, l'ultima è ricevuta infatti il 17 aprile. Sul suo incarico di predicazione a Firenze v. anche Regestum Observantiae Cismontanae, cit., p. 246 e p. 250.

[29] La familiarità dei rapporti dell'Osservante con i Medici è immediatamente leggibile, per quanto riguarda Lorenzo, il fratello Giuliano, la moglie e la madre, sia nel paragrafo conclusivo del Memoriale, in O. Bonmann, Mem.,, cit., v. pp. 409-10, che nel tono complessivo che informa la corrispondenza con il Magnifico. Una lettera inviata a "Magnifico et illustri viro Laurentio Medici florentino civi, benefactori nostro singularissimo" (ASF, Med. av. Principato, XXII, 416, edita da B. Bughetti, Tabuale Capitulares Provinciae Tusciae O.M. (saecc. XIV-XVIII), in AFH X (1917), pp. 413-497, qui pp. 483-84) dal minorita Bartolomeo del Colle, del marzo-aprile 1478, ci dà conto come di un fatto usuale di un colloquio intervenuto tra Lorenzo e Antonio da Vercelli in quei giorni.

[30] Si vuole qui ricordare che la presenza a Firenze di Antonio da Vercelli per oltre un trimestre nel 1478 fu preceduta da almeno tre precedenti soggiorni fiorentini nel 1449, nel 1464 e, molto probabilmente, nel 1467, cfr. O. Bonmann, <Memoriale>, cit., pp. 371-73.

[31] Questa datazione di ricezione segue lo stile fiorentino, la data interna, secondo l'editore è 11 (?) marzo 1478, il testo si legge in B. Bughetti, Miscellanea, cit., p. 593.

[32] Per le fonti dell'epoca cfr. F. Guicciardini, Memorie di famiglia, p. 35, cit. in Lorenzo de' Medici, Lettere II (1474-1478), a c. di R. Fubini, dir. gen. N. Rubinstein, Firenze 1977, pp. 126-27 e, ivi, n. 10, p. 241; Piero di Marco Parenti, Storia Fiorentina, a c. di A. Perosa in A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi, Padova 1958, p. 69; per la questione del testamento v. anche ivi, n. 1 p. 14, n. 31 p. 51, e B. Bughetti, Miscellanea, cit., p. 591 e p. 593.

[33] Cfr. F. Morandini, Il conflitto tra Lorenzo il Magnifico e Sisto IV dopo la congiura de' Pazzi. Dal carteggio di Lorenzo con Girolamo Morelli, ambasciatore fiorentino a Milano, ASI 107 (1949), pp. 113-54, qui p. 134.

[34] Su questi fatti v. la lettera del 14 novembre 1478 di Lorenzo il Magnifico a Girolamo Morelli in Lorenzo de' Medici, Lettere III (1478-1479), a c. di N. Rubinstein, Firenze 1977, pp. 291-292 e n. 18, ivi.

[35] Ci si riferisce qui alla causa perorata da Antonio per conto dei monaci di S. Miniato, ovvero la riapertura della porta di S. Miniato, e al sollecito a reintegrare nei loro diritti patrimoniali Vanne e Bartholomeo de' Lapi, il primo già liberato dal carcere ad opera dello stesso Lorenzo.

[36] Si tratta di un compendio della predicazione tenuta da Antonio a Borgo S. Sepolcro nel 1466, il testo, circolante come manoscritto l'anno successivo, sarà pubblicato a Parma nel 1479 e a Modena nel 1492, ma si conosce una precedente edizione italiana del 1470.

[37] Edito a Parma nel 1479 e a Modena nel 1491.

[38] Edito a Venezia nel 1492 e nel 1505, a Lione nel 1504.

[39] Stampato a Lione nel 1504, a Venezia nel 1505 e ad Hagenau nel 1513.

[40] La fama, e l'utilità, di questi testi è testimoniata dalla loro rapida e diffusa pubblicazione a stampa, si rinvia per le notizie sulle edizioni e per la tradizione manoscritta a O. Bonmann, <Memoriale>, cit.; O. Schaeffer, De frate Antonio a Vercellis O.F.M. eiusque quadragesimali "De aeterni fructibus Spiritus Sancti in AFH XXVI (1943), pp. 253 ss.; R. Rusconi, Dal pulpito alla confessione. Modelli di comportamento religioso in Italia tra 1470 circa e 1520 circa, in Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania prima della Riforma, a c. di P. Prodi e P. Johanek, Bologna 1984 (Atti della settimana di studio dell'Istituto storico italo-germanico in Trento, 5-9 settembre 1983), pp. 259-315, in particolare pp. 270-71. Una testimonianza della sua fama e della circolazione delle sue opere, anche tra gli esponenti più importanti dell'Osservanza italiana, si ricava anche dal fatto che esistono numerose raccolte di sermoni in cui le sue prediche si ritrovano assieme a quelle di Bernardino da Siena, Roberto Caracciolo e Michele Carcano; cfr. R. Pratesi, cit., p. 581.

[41] Faccio specificamente ricorso a questo lessema nella densità semantica e per i nessi politici e "costituzionali" che esso ha assunto dopo gli importanti studi di W. Reinhard, di P. Prodi -ivi compresi quelli da lui coordinati e promossi (v ad esempio, Disciplina dell'anima, disciplina del corpo, disciplina della società tra Medioevo ed Età Moderna, Bologna 1994) e, soprattutto, di P. Schiera del quale si veda in particolare Specchi della politica. Disciplina, melancolia, socialità nell'Occidente moderno, Bologna 1999, pp. 7-149.

[42] Sull'importanza della produzione penitenziale come strumento creatore di un "diritto del quotidiano", ma anche di un "diritto sul quotidiano" del singolo individuo ha richiamato l'attenzione O. Capitani, Verso un diritto del quotidiano, in Dalla penitenza all'ascolto delle confessioni: il ruolo dei frati mendicanti, Spoleto 1996 (Atti dell'XXIII convegno internazionale, Assisi, 12-14 ottobre 1995), pp. 5-29.

[43] In generale, su questa trasformazione si vedano le importanti riflessioni di P. Schiera in Specchi della politica, cit., in particolare pp. 283-285, tuttavia proprio lo studio della testualità politica francescana (nelle sue diverse articolazioni: consiliativa, militare, etico-economica) nel Bassomedioevo, a partire dal XIII secolo, non consente di accettare la datazione di tale fondamentale mutamento sociale e politico della definizione e della funzione delle virtù collocato dall'autore “nel corso del Rinascimento”.

[44] La strutturazione del testo mostra in realtà una sintomatica ibridazione tra struttura argomentativa ed espositiva sermocinale e struttura tipica della tradizione degli specula principum. Le osservazioni di Bonmann sono invece di questo tenore:“Opusculum nostrum, minime ergo epistola consolatoria, per se magis adnumerandus esset illi generi litterario quod de regimine principum tractat ... Auctor sibi speciem principis vel regimini christiani vixdum e principiis profundioribus efformavit propriam. Consilia congerit, quae propinqua sunt et facile inveniuntur - Hoc opusculum simplex, testimonium verax est simplici scriptoris optimae eius intentionis religiosae, quod respectu solum famosi praedicatoris ipsius et rerum adiunctarum, sub quibus compositum est, aliqualiter ab eruditis observari meretur.”, O. Bonmann, <Mem.> (così da qui in avanti per la citazione del testo del Memoriale), pp. 387-88.

[45] Il puntuale riscontro dell'invio del Memoriale, che reca la data del 21 maggio 1478 (cfr. l'explicit: “Ex loco nostro sancti Hieronymi apud Volterrae, die xxi madii MCCCCLXXVIII”, <Mem.,>, p. 410), a Lorenzo, a differenza di quanto ipotizza l'editore del testo (v. O. Bonmann, <Memoriale>, cit., pp. 363-64) è confermato dal protocollo che ci informa che il Magnifico ha effettivamente ricevuto il documento sei giorni dopo: “A dì 27 [maggio 1478] A frate Antonio da Vercelli. Risposta, ringratiandolo della consolatoria mandata, etc”, in M. Del Piazzo, I protocolli di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74 e 1477-92, Firenze 1956, p. 53. Questa stessa fonte offre anche un ulteriore riscontro dei duraturi rapporti di fiducia stabilitisi tra Antonio e Lorenzo. Ancora nel 1491 l'Osservante è latore di una lettera del Magnifico al marchese di Monferrato: “A dì 24. Al marchese di Monferrato per frate Antonio da Vercelli”, (si tratta del 24 agosto 1491), ivi, p. 471. Le trascrizioni di questi protocolli sono tratti da: Protocollo I da ASF MAPrinc. LXII, 1477 marzo 25 - 1483 marzo 24, Protocollo II ivi, LXIII, 1483 marzo 25 - 1491 aprile 30, Protocollo III ivi, LXIV, 1491 maggio 2 - 1494 ottobre 25 e da una altra serie: ASF MAPrinc. LXXXIX, n. 89 1473 ottobre 1 - 1474 febbraio 28 (I fasc.), e BNC Firenze, Fondo Magliabechiano, D 985 cl. VIII etc. , 1474 aprile 2 - 1477 marzo 20 (II fasc.). Sui protocolli si veda la prefazione di M. Del Piazzo, I protocolli di Lorenzo, cit., pp. VII-XXV.

[46] Per il Parlamento del 1458 e le relative misure di consolidamento del regime cfr. N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Milano 1999 (2a ediz.), (2a ediz. orig. 1997), pp. 117-176, per le riforme dei primi anni '70, cfr., ivi, in particolare pp. 239-58.

[47] Cfr. ID., Lorenzo de' Medici. The Formation of his Statecraft, in Lorenzo il Magnifico. Studi, cit., pp. 41-66.

[48] L'ultima lettera inviata a Lorenzo da Firenze risulta ricevuta il 17 aprile, ed è stata inviata molto probabilmente il 15; cfr. B. Bughetti, Miscellanea, cit., pp. 594-95; la sua presenza a Firenze può essere fatta risalire almeno al 18 gennaio 1478, cfr. O. Bonmann, <Memoriale>, cit, p. 373.

[49] Per la sua presenza a Volterra dal 12 al 22 maggio, cfr. O. Bonmann, <Memoriale>, cit, p. 374 e l'explicit del Memoriale, ivi, p. 410.

[50] O. Bonmann, <Memoriale>, cit., p. 373.

[51] Cfr. ad es. Mem, cap. I, 3, p. 391 e, ivi, il paragrafo conclusivo, pp. 409-10.

[52] Cfr. ad es. Mem., II, 3, p. 394; ivi, II, 4, p. 396, v. inoltre l'incipit del paragrafo conclusivo, ivi, p. 409.

[53] Per questi aspetti mi permetto di rinviare a P. Evangelisti, I pauperes Christi e i linguaggi dominativi. I francescani come protagonisti della costruzione della testualità politica e dell'organizzazione del consenso nel bassomedioevo (Gilbert de Tournai, Paolino da Venezia, Francesc Eiximenis), Atti del XXXVIII Convegno storico internazionale, Todi 14-17 ottobre 2001, Spoleto 2002, pp. 315-392; importanti considerazioni e suggestioni sono contenute anche in G. Todeschini, Gli spirituali e il regno di Sicilia agli inizi del Trecento, in Federico III d'Aragona re di Sicilia (1296-1337) a c. di M. Ganci, V. D'Alessandro, R. Scaglione Buccione, Palermo, 1997, pp. 185-203.

[54] Si vedano, oltre al Memoriale, in particolare le due lettere del marzo 1478, cfr. B. Bughetti, Miscellanea, cit., pp. 592-3.

[55] Cfr ad es. “Quamobrem Caritati vestrae, mihi et ceteris cunctis benivolis, si homines, si sapientes esse et censeri volumus opus est necessitatem in virtutem commutare enormitatemque operis laudabili tolerantia reprimere et, quod humana fragilitas nequaquam potest, sanctissima et constans valeat patientia ...”, Mem., I, 1, p. 390.

[56] Mem., II, 4, p. 398.

[57] Il passo evangelico ripreso da Girolamo è Mt. 10, 16.

[58] Il passaggio che connette direttamente la figura del perfetto pauper Christi all'accortezza, alla prudentia serpentina si legge nel capitolo XVI della Regula non bullata, De euntibus inter saracenos et alios infideles, in Fontes Franciscani, a c. di E. Menestò e S. Brufani, S. Maria degli Angeli 1995, pp. 198-200. Per la sua presenza e funzione nella testualità normativa minoritica, mi permetto di rinviare a P. Evangelisti, Fidenzio da Padova e la letteratura crociato-missionaria minoritica. Strategie e modelli francescani per il dominio (XIII-XV secolo), Bologna 1998, cap. I.

[59] Hec est prudentia serpentina; nam serpens capud suum toto corpore suo operit, ut salvet. Unde Dominus dicit: Math. x°: Estote prudentes sicut serpentes”; Fidenzio da Padova, Liber Recuperationis Terre Sancte, in G. Golubovich, Biblioteca Bio-Bibliografica della Terra Santa e dell'Oriente Francescano, vol. II, Firenze Quaracchi, 1913, pp. 1-60, testo pp. 9-60, qui cap. XXV, pp. 28-29. Ma anche: “Fertur quod quidam Soldanus dixit Christianis habitatoribus Terre Sancte: <Hec est, inquid, differentia inter me et vos. Ego enim sum similis serpenti qui habet unum capud et multas caudas, et capud illud cum sit unum, omnes caudas trahit post se secundum sue libitum voluntatis. Ita ego sum unus dominus et omnes Saracenos traho post me, secundum quod ego eis dux ero injungendum. Vos autem Christiani similes estis serpenti, habenti multa capita diversos appetitus habentia, et non sufficit una cauda sequi omnium capitum voluntatem. Sic et vos Christiani, qui in Terra Sancta habitatis, quia inter vos multi sunt domini, qui diversa volunt et appetunt. Ed ideo vos non potestis ad perfectionem in vestris negotiis pervenire>.”; ivi, cap. XI, pp. 15-16.

Alla luce di questi passi si rammenterà che il richiamo alla “prudentia serpentina” contenuto nella Regula non Bullata, ove vi è la citazione letterale di Mt. 10,6, è presente proprio nel capitolo che definisce i criteri operativi e “missionari” dei francescani che si recano tra gli Infedeli.

[60] Sed et serpens erat callidior cunctis animantibus terre [Gen., III, I], id est creatus magis propter exercicium prudencie ad hominis utilitatem quam propter aliam necessitatem. Unde dicitur in Ewangelio: Estote prudentes sicut serpentes, [Mt., 10,16] non quod haberet loquelam naturalem vel usum racionis ...”; Iohannes de Marignolli, Relatio, in Sinica Franciscana, I, a c. di P. Anastasius Van den Wyngaert, Firenze Quaracchi, 1929, p. 534.

[61] I testi si leggono in L. Gasparri, Sulla tradizione manoscritta delle prediche di Roberto da Lecce. Con due sermoni inediti, in AFH 73 (1980), pp. 173-225, testi alle pp. 210-225. Per un testo ancor più esplicito e denso di versetti testamentari tipici del lessico intrinseco dell'Ordo si veda la reportatio di un sermone di Caracciolo sull'avarizia in Z. Zafarana, Per la storia religiosa di Firenze nel quattrocento, in ID., Da Gregorio VII a Bernardino da Siena. Saggi di storia medievale, a c. di O. Capitani - C. Leonardi - E. Menestò - R. Rusconi, Perugia-Firenze 1987, pp. 279-377. Se ne veda inoltre l'utilizzo nei sermoni etico-politici di Giacomo della Marca, fortemente caratterizzati da riferimenti evangelici propri del codice regolativo dell'Ordine (v. ad es. De obedientia et fidelitate subditorum dominorum temporalium, De ruina superborum, De victoria belli temporalis et spiritualis, De Saccomanno, in Cod. Vat. lat. 7780, rispettivamente ai ff. 25r-27r, 75v-77v, 126r-130r, 244r-249r).

[62] Mem.,” II, 3, pp. 393-94.

[63] Cfr. ad esempio: “... hec omnia Apostoli et cuncti discipuli eius cum summa diligentia observaverunt ... Impleverunt ipsi, fortissimi milites, iudices orbis terre, salutare mandatum, illud idem 'predicantes ubique, Domino cooperante et sermonem confirmante sequentibus signis.' Ardebant in caritate, affluentes ubique pietatis affectu et omnium necessitatibus se impendebant, omni vigilantia curantes ne dicerentur de ipsis: '<Dicunt et non faciunt>' ... Et alius quidem sic: '<Argentum et aurum non est mihi.>' Et sic omnes in vita et in morte me summis preconiis extulerunt ... et 'vendentes possessiones et substantias suas, dividebant omnibus prout cuique opus erat. Erant omnes pariter et habebant omnia communia collaudantes Deum et habentes gratiam ad omnem plebem. Ideo Dominus augebat qui salvi fierent cotidie in idipsum'”; Sacrum Commercium sancti Francisci cum Domina Paupertate, a c. di S. Brufani, Assisi 1990, (= in Fontes Franciscani, cit., pp 1705-1732), pp. 149-150.

[64] Per l'analisi di quest'opera e per questo specifico aspetto rimando a. P. Evangelisti, I pauperes Christi e i linguaggi dominativi, cit.

[65] Mem., II, 4, p. 400.

[66] Illi qui volunt religiose stare in eremis sint tres fratres vel quattuor ad plus; duo ex ipsis sint matres et habeant duos filios vel unum ad minus ....”; in Fontes Franciscani, cit., pp. 215-216.

[67] Mem., II, 4, p. 400.

[68] Sulla tipologia degli specula principum quattrocenteschi di matrice umanistica e sul loro specifico contributo alla riflessione teorico-politica cfr. il classico saggio di F. Gilbert, The Humanist Concept of the Prince and The Prince of Machiavelli, in The Journal of Modern History, XI (1939), pp. 449-483.

[69] Mem., I, 3, pp. 390-91. Per passaggi che ribadiscono questa specifica impostazione del rapporto tra Lorenzo e Antonio v. anche, ivi, II, 3, p. 393; II, 4, p. 396; II, 5, p. 398.

[70] Mem., II, 6, p. 399.

[71] In B. Bughetti, Miscellanea, cit., p. 592.

[72] Anche in questa epistola Antonio ribadisce la certa intercessione di S. Francesco per la “conservatione” di Lorenzo se egli darà risposta concreta alla richiesta dell'Osservante; per il testo cfr. B. Bughetti, Miscellanea, cit., p. 593.

[73] Sul successo delle sue prediche a S. Maria del Fiore vi è un importante testimonianza non di parte: “die Iovis quinta februarii 1477. Congregato Capitulo Florentino … Archipresbiterum, canonici prefati Capituli [deliberaverunt quod] per totam hanc presentem quadragesimam dicantur Mattutine … in cathedrali ecclesia Florentia de sero … ut obvient quibusdam scandalis de novo occurrentibus in dicta ecclesia per eos qui loca volunt de nocte capere in dicta ecclesia pro audienda predicatione etc.”, Archivio del Capitolo di S. Maria del Fiore di Firenze, Partiti, vol. A, 1467-1504, f. 31r, edito da B. Bughetti, Miscellanea, cit., p. 586.

[74] Cfr. L. Landucci, Diario Fiorentino dal 1450 al 1516 continuato da un Anonimo fino al 1542, Firenze 1883, p.16.

[75] Il testo integrale della Legis circa homicidia così come approvato dal Consiglio del Popolo si legge in B. Bughetti, Miscellanea, cit., pp. 588-89; per questo e gli altri testi votati cfr. anche ASF, Consigli maggiori. Provvisioni, vol. 169, f. 1r e ss; Consigli maggiori, Duplicati, vol. 99, f. 1r e ss.

[76] Mem., II, 11, pp. 406-407.

[77] Cfr. A. Zorzi, Ordinamenti e politiche giudiziarie in età laurenziana, in Lorenzo il Magnifico e il suo tempo, cit., pp. 147-161; cfr. N. Rubinstein, Lorenzo de' Medici. The Formation of his Statecraft, cit. p. 61.

[78] Mem., II, 11, pp. 407-8.

[79] Per la realizzazione di questa operazione testuale Antonio trova naturalmente un materiale alquanto cospicuo nella tradizione canonistica, tra i passi del Corpus Iuris Can. da lui citati vi sono infatti: 5 C17 q4; 10, C2 q1; 32, C24.

[80] Mem., II, 11, p. 408.

[81] Oltre all'Apocalisse giovannea Antonio utilizza Mt. 26, 24 e Lc. 11, 50.

[82] I testi sono stati editi da G. Pampaloni in ASI CXIX (1961), pp. 241-81 e CXX (1962), pp. 521-81, v. anche ID., Fermenti di riforme democratiche nella Firenze medicea del Quattrocento, in ASI, CXIX, pp. 11-62; v. anche N. Rubinstein, Florentine Constitutionalism and Medici Ascendancy in the Fifteenth Century, cit., pp. 442-462.

Occorre valutare i passaggi di Antonio richiamati supra alla luce del fatto che le critiche radicali di Rinuccini contro il Magnifico da posizioni apertamente filopactiane, come rileva N. Rubinstein, Il governo di Firenze, cit., p. 259, sono assai vicine ai toni ed ai contenuti del movimento di opposizione antimedieceo del 1465-66 per poterle considerare come un semplice dato isolato o meramente retorico. Sulle connessioni tra il testo di Rinuccini e il conservatorismo repubblicano di Manno Temperani e Niccolò Soderini espresso nel 1465, cfr. N. Rubinstein, ivi, pp. 189-90 e p. 260.

[83] Mem., I, 1, p. 390.

[84] Su questo specifico aspetto rimando a P. Evangelisti, I pauperes Christi e i linguaggi dominativi, cit.)

[85] Rispettivamente ASF, Consulte e Pratiche 60 f. 160r, cit. da N. Rubinstein, Lorenzo de' Medici. The Formation of his Statecraft, cit., p. 57, e L. Pignotti, Storia della Toscana, Livorno 1820, IV, pp. 117-121.

[86] Un importante studio sulla tipologia del consenso e della rappresentanza per l'età precedente all'avvento mediceo è quello di R. Fubini, Dalla rappresentanza sociale alla rappresentanza politica: alcune osservazioni sull'evoluzione politico-costituzionale di Firenze nel Rinascimento, in Rivista Storica Italiana 102 (1990), pp. 279-301.

[87] Il riferimento di elezione è ovviamento il testo di A. Rinuccini, Dialogus de libertate, a c. di F. Adorno, in Atti e memorie dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere "La Colombaria", XXII (1957), pp. 270-303.

[88] Mem., II, 3, p. 394.

[89] Cfr. Mem., II, 4, p. 400.

[90] Mem., II, 5, p. 399.

[91] Per il testo della lettera, v. B. Bughetti, Miscellanea, cit., pp. 591-2.

[92] A. Rinuccini, Dialogus de libertate, cit.

[93] A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi, cit.; Piero di Marco Parenti, Storia Fiorentina, ivi, pp. 69-76; il testo della sinodo fiorentina si legge in A. Fabroni, Adnotationes et monumenta ad Laurentii Medicis Magnifici vitam pertinentia, cit., pp. 136-167.

[94] L'esito di quell'incarico fu la stesura del Tractatus pro canonizatione divi Bonaventurae; la canonizzazione di Bonaventura avvenne il 14 aprile 1482. Il trattato fu scritto su richiesta del cardinale Stefano Nardini, cfr. L. Spätling, Tractatus pro canonizatione divi Bonaventurae a fr Antonio de Vercellis conscriptus, in AFH (48) 1955, pp. 381-426 e AFH (49) 1955, pp. 166-90 (testo pp. 397 e segg). Per le indulgenze per il duomo di Firenze, v. B. Bughetti, Miscellanea, pp. 587 e pp. 593-95.

[95] Il 13 maggio la Signoria, investita della questione della liberazione del cardinale da Donato Acciaiuoli il giorno precedente, rispose che essa riservava al Cardinale “tutti quegli buoni tractamenti che a una città tanto fedele e divota a Sua Santità si conviene” affermando tuttavia il proprio dispiacere di “non potere liberamente acconsentire” al suo rilascio prima di essersi consultata con gli alleati. Cfr. Lorenzo de' Medici, Lettere III (1478-1479), a c. di N. Rubinstein, Firenze 1977, p. 19 e, ivi, n. 3.

[96] V. A. v. Reumont, Lorenzo de' Medici. The Magnificent, London 1876, I, pp. 344-45.

[97] Mem., II, 4, pp. 397-98.

[98] Mem., II, 3, p. 393 e pp. 395-6.

[99] Mem., II, 7, pp. 401-2.

[100] Le sentenze del 28 aprile, 7 e 10 maggio, 4 agosto 1478 si leggono in appendice a A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi, cit., pp. 77-90; quella del 23 maggio in A. Fabroni, Adnotationes et monumenta ad Laurentii Medicis Magnifici vitam pertinentia, cit., pp. 111-115. Per le sentenze, oltre ai testi indicati da A. Perosa in A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi, cit., pp. XXVII-XXXI, v. anche Sententiae Domini Matthaei de Toscanis de Mediolano Potestatis, Florentiae 1477-78 in Strozzi, mss. G. Adimari, 1 c. pp. 136-155.

[101] Sul trasferimento dei Pazzi condannati a Volterra cfr. A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi, cit., n. 1 p. 53.

[102] Il testo della bolla di scomunica si legge in A. Fabroni, Adnotationes et monumenta ad Laurentii Medicis Magnifici vitam pertinentia, cit., pp. 121-129.

[103] Si veda in particolare il testo predisposto, molto probabilmente dal vescovo di Arezzo, Gentile Becchi, per la sinodo fiorentina del 23 luglio 1478 (testo in A. Fabroni, Adnotationes et monumenta ad Laurentii Medicis Magnifici vitam pertinentia, cit.). Per alcuni storici non è certo che la sinodo, che doveva tenersi in S. Maria del Fiore, abbia avuto effettivamente luogo (cfr A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi, cit., nota alle pp. 53- 54.)

[104] Mem., II, 11, p. 407. Vedi anche , ivi, II, 3, p. 395.

[105] Si ricorderanno comunque alcuni esempi di immediata flessibilità di Lorenzo: l'attenzione con cui venne trattato il cardinale Sansoni-Riario, il trattamento di favore ricevuto dal cognato di Lorenzo, la sostanziale non applicazione dei provvedimenti di damnatio memoriae contro la famiglia dei Pazzi deliberata con la sentenza del 23 maggio 1478. I provvedimenti di amnistia vennero invece adottati solo dopo il trionfale ritorno di Lorenzo da Napoli, tra la primavera del 1480 e il 15 aprile 1482.

[106] Oltre alle opere di Rinuccini e di Poliziano già citate, alla Vita civile di Matteo Palmieri e al De optimo cive del Platina (ed. a c. di F. Battaglia, Bologna 1944), sarà indispensabile un confronto anche con quelle di Leonardo Bruni. Per il loro valore politologico all'interno della cultura rinascimentale cfr. N. Rubinstein, Le dottrine politiche nel Rinascimento, in Il Rinascimento. Interpretazioni e problemi, Bari 1979, pp. 183-237 e ID., Florentine Constitutionalism and Medici Ascendancy in the Fifteenth Century, cit. Ma non si potrà prescindere da un confronto sistematico del Memoriale con i testi di Coluccio Salutati, De Tyranno (v. Tractatus de Tyranno, a c. di F. Ercole, Berlin-Leipzig 1914) e di Girolamo Savonarola, Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze (ed. con premessa di L. Firpo, Torino 1963).

[107] Il riferimento è naturalmente a M. Viroli, Dalla politica alla Ragion di stato. La scienza del governo tra XIII e XVII secolo, Roma 1994 - che peraltro non ha preso in considerzaione nessun testo scritto dai francescani nel periodo bassomedievale - ma anche alla definizione offertaci da Schiera laddove ci presenta “la ragion di Stato” come “l'insieme spesso indistinto e contraddittorio di attenzioni al nuovo "politico" (crescentemente autonomo nel suo collegamento diretto e consapevole ad obiettivi concreti, pratici e operativi) che segnano il trapasso dal compatto ordine concettuale-ideologico-istituzionale medievale all'altrettanto ma diversamente chiuso ordine statale”; P. Schiera, Specchi della politica, cit., pp. 363-64.

[108] N. Machiavelli, Il principe, ed. a c. di L. Burd, Oxford 1891, p. 282.

[109] M. Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, in Sociologia delle religioni, a c. di C. Sebastiani, Torino 1996, I, p. 233.

[110] V. supra n. 6.

[111] V. M. Weber, L'etica protestante, cit., p. 225.

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