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Ultimo aggiornamento 19
luglio 2002
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Questo carme viene edito per la prima volta in: Poemata, collecta et magnam partem nunc primum edita a fratre Guilielmo Grotio (Leida 1617). Una seconda edizione di Eucarestia vede la luce in: Tragedia Sophonpaneas. Accesserunt tragoedia ejusdem Christus patiens et sacri argumenti alia ex editione anni 1617, recusa emendatiora (Amsterdam, 1635). Il carme viene in seguito incluso nell'edizione parigina della Via ad pacem ecclesiasticam, in qua continetur… Poema Eucarestia, pp.345-352; e, successivamente, nell'Opera Omnia Theologica, Amsterdam, Apud Heredes Joannis Blaev, 1679, pp.632-633. Di Eucharistia esistono due traduzioni settecentesche; più precisamente, la prima, inglese, che reca il titolo: A poem of Hugo Grotius on the Holy Sacrament translated into English verse. Procul, O! Procul este prophani.. Edimburgh: Printed by R.Fleming and company, for the Author, and sold by most Book sellers in town. MDCCXXXII.
La seconda traduzione è quella francese: Eucharistia, ou un essai sur la Sainte - Céne du Signeur. Ecrit d'abord en Latin en poési. Par le savant Hugo Grotius. Traduit nouvellement en gallois, par M.Dafydd Jones, de Llanwenog avec la prière du Prince Eugene .Carmathen, Imprimé pour l'Auteur par Jan Ross. 1765. La redazione francese del carme è presumibilmente da attribuirsi al poeta David Jones (1711-1777); è noltre verosimile che essa sia stata condotta sulla base di quella inglese (cfr. Bibliographie des écrits imprimés de Hugo Grotius, par J.Ter Meulen et P. J. J. Diermanse, 1950, Martinus Nijhoff, L'Aja, p.80, 209, n.1). Ciò si può infatti evincere dalla pressoché identica sequenza dei termini (che appunto compare tanto nella versione inglese, quanto in quella francese); come anche dal fatto che quest'ultima contiene, del tutto similmente alla versione inglese, il testo e il commento del Salmo 37 e l'invocazione alla salvezza universale del Principe Eugenio (vedi sopra). L'appello ad un rinnovamento interiore e il rilievo dato all'elemento morale, contro le sottigliezze della teologia astratta, è uno dei motivi dominanti della riflessione teologica di Grozio. A causa delle controversie suscitate dall'esegesi dei testi sacri, tenute deste per rivalità di ortodossia, Grozio mirava a rifondare strumenti critici per il ripristino di una verità evangelica genuina, allo scopo di recuperare, dalla confusione delle sette, un criterio di valutazione ragionevole che rendesse possibile un coinvolgimento autentico riguardo alle scelte religiose. Questo atteggiamento antidottrinario e antiintellettualistico si accorda in maniera quasi naturale con una generale istanza etica di adesione alla concretezza e alla complessità della vita e dell'esperienza, ossia all'Essere, nella cui compiutezza e versatilità si manifesta la bontà del creato in quanto frutto della saggezza divina. L'intento umanistico e religioso che sostiene la concezione giuridico-politica di Grozio è testimoniato dal carme Eucarestia, composto nello stesso periodo del De Imperio. Lo spirito di concordia della modica theologia, che vuole a garantire, in un tempo di dissidi violenti, una convivenza tra prospettive teologiche diverse e giustifica perciò l'intervento imperativo dell'Autorità Sovrana in sacra, trova riscontro nei versi pervasi di misticismo del carme Eucarestia. La potenza di Dio Padre, Uno e Trino, viene invocata per fugare, con il fuoco dell'Amore, i veleni dell'odio, e far valere un ordine che, coincidendo con il Bene, trova il proprio fondamento nell'orizzonte onnicomprensivo dell'ordo divino. Più in particolare vi si legge: "Noi ti preghiamo dunque che, come esisti in te, nella tua essenza, così ci conceda anche di rivelarti a noi, tramite la tua opera; e tu Santo Spirito, che primariamente ci purifichi come Amore, respingi lontano da noi il veleno dell'odio, e ispira alle nostre menti lo stesso sentimento di amore con cui Dio ci ha amato. Fa' che amiamo con corrispondente amore, questo amore , sì che esso, come fuoco nato da fuoco, alimenti continuamente fuoco". Sullo sfondo di un misticismo platonico e agostiniano, nel carme Eucarestia Grozio delinea la concezione di Dio in quanto Amore che opera e patisce, che muore per risorgere, come a indicare una connessione mistica tra sofferenza e ricompensa. Con versi che riecheggiano le parole di S. Paolo, per cui "Dio ha scelto il nulla per dissolvere l'esistente", (I Cor., 1, 28-29), si riconosce che l'Amore divino ha introdotto nel mondo un principio di rigenerazione che sconvolge tutte le relazioni al fine di rigenerarle e di ricrearle come ex nihilo; questo si rinnova ogni volta nell'evento eucaristico. Se Amore è platonicamente figlio di Povertà e di Ricchezza e, in quanto tale, è posto sotto il segno di un desiderio costitutivamente attraversato dalla negatività e dall'imperfezione, è proprio da questo deficit e da questa incompiutezza, che si origina il rinvio ad una sovrabbondanza di senso e ad una ricerca inesauribile. Così inteso l'eros si fa forza propulsiva del logos, della ricerca del senso originario dell'Essere, in un valore primo, ontologicamente assoluto. L'Amore diventa in tal modo principio del divenire, compimento del Regno di Dio in un processo indefinito, tensione verso un ordine più appagante che, all'insegna del Bene, getta un ponte tra umano e divino. L'amore cristiano non risulta in tal senso contro natura, ma più che natura. La rivalutazione del naturale e del corporeo fatta dal Cristianesimo, si compie in tre momenti che esauriscono in sé la totalità del tempo e della storia e insieme la trasvalutano alla luce dell'eterno: la creazione del mondo, l'incarnazione divina e la resurrezione. Se nella creazione il corporeo è tratto dal nulla ad opera di Dio, rimanendo esterno al divino, nell'incarnazione il corporeo è assunto dal Figlio di Dio nell'unità della sua persona, per restaurare la creazione, violata dal peccato dell'uomo. L'incarnazione non contraddice alla creazione, ma ne rinnova il senso e ne costituisce l'ulteriore compimento. Così infatti si legge in Eucarestia: "Da essa rigenerati e nuovamente uniti a Dio, come anche uniti di nuovo l'un l'altro, siamo in virtù di essa, ritornati ad essere ciò che fummo e, dalla scissione, ricostituiti di nuovo in unità con l'Uno [… ]. In tal modo […] come lo Spirito unitosi al nostro corpo creò la prima vita, similmente questi, unendosi al corpo del Figlio di Dio, generò la seconda vita." La natura creata da Dio e riscattata dal figlio di Dio, ritorna al Padre in un circolo perfetto: deus factus est homo ut hominem faceret deum. Attraverso l'incarnazione di Gesù Cristo, la natura umana è come restaurata nel suo senso divino, quale sua possibilità essenziale: la caducità, il male e la morte, inseparabili dagli esseri corporei di per sé considerati, vengono così "scontati" alla luce dell'eterno, in virtù di un atto divino d'amore. La natura umana, divinamente trasfigurata, può dunque trovare un fondamento autonomo, proprio nella ragione sovrannaturale, che di essa costituisce il limite metafisico ontologicamente essenziale; e perciò stesso quanto la definisce nella sua autonoma eterogeneità. Essa è quanto non è Dio, la sua ek-sistenza, ossia ciò che esprime il divino come natura, come divenire nella e della natura stessa. La verità dell'autonomia naturale è dunque concepibile, quasi pre-spinozianamente, nei termini dell'esistenza modale di Dio. Il che equivale a dire che le condizioni di possibilità della libertà dell'uomo e della sua naturale autonomia affondano le loro radici nelle condizioni di possibilità dell'esistenza di Dio, storicamente incarnatosi in Gesù Cristo. Ed è proprio in virtù di questa radicale unità, che natura e Dio possono differenziarsi e distanziarsi, ma sempre e solo circolarmente: l'Eucarestia rappresenta in tal senso il loro raccordo divino; essa garantisce che, pur distanziandosi, giungeranno lo stesso a riunificarsi. Nella dialettica tra Unitas e Alteritas si dispiega pertanto il divenire naturale, aprendo il campo alla possibilità dell'autonomia dell'uomo, che, proprio in quanto modalità dell'essere divino, non è fuori di Dio, ma in Dio, fattore costitutivo del suo stesso essere. Finito e infinito, natura e Dio, intesi insieme nella loro alterità e tuttavia concepiti come riunificati nell'armonia di una medesima gradazione ontologica, di emanazione e redenzione, di degrado e risalita. Riunificati nella sola prospettiva della salvezza e dell'unica salvezza possibile. Per poter esistere autenticamente, il finito deve negare la necessità di una propria finita consistenza ontologica, esprimendosi autonomamente solo a muovere dall'infinito e solo nei limiti di esso; ossia derivando modalmente (modus=limite) e irriducibilmente da esso la propria stessa autonoma condizione di possibiltà. In tale prospettiva il riconoscimento dell'autonomia delle realtà terrene viene così a delinearsi, in Grozio, non come assolutezza incondizionata di quanto è naturale, ma invece come consapevolezza che entro i limiti naturali, le realtà terrene e l'uomo come parte precipua di esse, hanno proprie leggi e tendenze; ossia una struttura e una consistenza operativa propria, ma sempre sullo sfondo del quadro provvidenziale divino. In tal senso l'approssimazione al divino - che non è mai dunque intesa da Grozio come identificazione con esso - costituisce lo scopo essenziale di ogni vita religiosamente vissuta, in quanto la religione (re-ligio) è propriamente conversione, possibilità di ripristinare il legame tra uomo e Dio. Tale è appunto il senso dell'evento eucaristico. La stanchezza per le diatribe teologiche si traduce così nella teologia groziana, non in un rifiuto agnostico della tradizione, né in una sfiducia calvinistica nei confronti delle possibilità umane, ma in una comprensione critica e storica, che colloca la modica theologia groziana su di un piano diverso da quello della polemica tra chiese rivali, i cui dogmatismi avevano finito col perdere di vista tanto il fine di una cognitio integra, quanto quello di una comune piattaforma operativa. La tensione che anima il pensiero di Grozio, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, agiva più in generale a favore di una riconversione pratico-operativa del sapere, ponendosi quale sua autocoscienza critica, per orientarne gli assunti teorici in sintonia con le esigenze dell'operare umano, indicandone i criteri di attualizzaione produttiva e di progresso secondo con l'ordine e la razionalità che si riconosceva vigente nel resto del creato. Sono questi gli anni dell'"attesa del secolo aureo", in cui "bellissime scienze" avrebbero determinato un'elevazione del genere umano, come scrive Erasmo da Rotterdam in una celebre lettera del 1517 a Wolfgang Köpffel, dicendo che nulla era ancora capace di legarlo veramente alla vita e di farlo sperare, tranne un riflesso del nascente "secolo d'oro" che già s'intravedeva risplendere all'orizzonte. È ciò cui alludeva anche Bacone, raffigurando nel frontespizio della sua Instauratio Magna una caravella in procinto di salpare, con su scritto: "Multi pertransibunt et augebitur scientia". Questa stessa attesa percorrela modica theologia di Grozio, permeata di istanze umanistiche eclettiche, fra saggezza classica e Cristianesmo. Una religiosità poliedrica, dunque, quella di Grozio, concepita a partire dalla condizione umana che, riconosciuta autonoma nei limiti della propria natura, viene percepita al tempo stesso come radicalmente incompiuta e insoddisfacente; parte e partecipe dell'infinito, ma solo entro i propri limiti naturali. Nel quadro di questa dialetticità irrisolta di perfezione e imperfezione, di compiutezza e mancanza, viene a dischiudersi lo spazio teorico della riflessione teologica groziana. La natura storica della fede e delle Sacre Scritture si apre a potenzialità teorico-pratiche dispiegabili solo temporalmente. E proprio l'eccedenza che separa le facoltà umane da Dio, la divina sproporzione incomprensibile entro i limiti della pura ragione umana, funge da ponte analogico che, con l'ausilio della grazia, indicando nell'esistenza terrena l'allegoria dell'eterno, consente alle creature di riscattare l'imperfezione e la negatività della loro natura. Così, se S. Anselmo domandava: "Cur Deus Homo?", Grozio risponde "Deus homo factus, ut hominem faceret Deus". Questo orizzonte indica una mèta di un itinerario che conduce ad una ulteriorità utopica: "Ora noi conosciamo solo in parte: verrà un tempo in cui ogni cosa verrà conosciuta con assoluta certezza" (U. Grozio, Della vera religione cristiana, tr. a cura di F. Pintacuda De Michelis, Bari, Laterza, 1973, pp. 178). |
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